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livello elementare
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ARGOMENTO: REPORTAGE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR IONIO – MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Taranto
Le Isole Cheradi (San Pietro e San Paolo) separano la rada di Taranto dal Mar Ionio. Nel dopoguerra la più piccola delle due (San Paolo) ospitava una base della Marina Militare (ormai abbandonata) mentre San Pietro era sede del distaccamento Marina della stazione semaforica..
L’isola di San Pietro è raggiungibile, da aprile ad ottobre, con un traghetto pubblico che consente di accedere dopo una breve e piacevole navigazione alle sue meravigliose spiagge ed alle folte e verdeggianti pinete. L’isola ha una forma quadrangolare ed ha una superficie di circa 117 ettari. Presenta cinque tratti di costa che si protendono verso il mare:
Punta Scanno, luogo dove anticamente si macellavano gli animali;
Punta Forca, destinato in antichità all’impiccagione dei condannati a morte;
Punta Dogana dove venivano fatte pagare le gabelle alle navi in transito verso il porto di Taranto;
Punta Chiana per il terreno pianeggiante;
Punta Falcone per la forma che richiama quella del rapace.
Un paradiso ecologico
I fondali sottomarini delle isole sono particolarmente ricchi e conservano diverse specie faunistiche di pregio; tra di esse interessanti specie di spugne di mare, labridi e numerosi gobidi. Non è raro poter osservare branchi di delfini, simbolo di Taranto, che sembrano prediligere le acque di queste isole per la ricchezza ittica e la loro scarsa frequentazione. Per gli appassionati di birdwatching, molte specie di uccelli e passeriformi trovano rifugio sull’isola di San Pietro; tra di essi il barbagianni, la beccaccia di mare, la quaglia, il martin pescatore, il gheppio, tortore, e naturalmente gabbiani e cormorani. Inoltre si possono scorgere piccoli rettili come lucertole e gechi sui muri delle vecchie fortificazioni.
Isola di San Pietro (Cheradi) – foto di Stefano Mineo
L’isola di San Pietro presenta una ricca vegetazione, tipica della macchia mediterranea, con una bellissima pineta che si spinge in riva al mare, alberi di leccio, querce, platani e palme. Nella stagione di fioritura si possono ammirare numerosi fiori come il papavero, il narciso (narcissus) e molte piante officinali come malva, salvia, cardi (carduus) e cespugli di capperi.
Cenni storici
Nell’era geologica del Cenozoico le isole erano unite fra loro e collegate a punta Rondinella. Nell’ultimo periodo dell’Era Pliocenica si ebbero movimenti terrestri che determinarono profondi assestamenti geografici e il prolungamento del mare, distaccatosi da punta Rondinella, formò le due isole che si assestarono nella forma attuale circa 20.000 anni fa.
Anticamente le isole erano delle colline poste a circa 130 metri sul livello del mare, costituendo lo spartiacque fra due valli fluviali di cui una occupava un area oggi comprendente il Mar Grande. Il miglioramento climatico portò alla fusione dei ghiacciai e al conseguente innalzamento del livello marino che raggiunse quello attuale, circa 6.000 anni fa.
La storia recente dell’isola di San Pietro è ben poca cosa rispetto agli eventi che la videro partecipe in più riprese della storia di Taranto, dal periodo greco fino a quello del Regno delle due Sicilie. Tucidide fu il primo a tramandare il nome delle Cheradi, dal greco Choiràdes ovvero promontorio (o corna). Anticamente le isole erano chiamate Elettridi in onore di Elettra, la figlia del dio Poseidone molto venerato a Taranto che si diceva fondata da Taras, suo figlio. Taras appare sulle monete greche a cavallo di un delfino, simbologia che ancor oggi si ritrova a Taranto.
Un altra teoria è che esse vennero chiamate Elettridi in quanto nelle sue folte pinete si trovava l’elettro, ovvero l’ambra, che era ritenuta un succo derivato dagli alberi. In realtà l’ambra, impiegata sin dall’antichità in gioielleria, è una resina fossile di aspetto vetroso e colore variabile tra il giallo e l’arancio che deriva da antiche conifere ormai estinte, tra cui il Pinus succinifera. Monili in ambra sono stati trovati anche in Grecia, dove veniva appunto chiamata elektron. Essa probabilmente proveniva dai traffici col nord Europa da cui era commercializzata verso l’Illiria e il mar Egeo. Sembra che l’ambra si trovasse anche nel meridione dell’Italia e venisse lavorata dai popoli italici e nella ricca Taranto, da sempre famosa per la sua gioielleria.
L’isola di San Pietro era chiamata dagli antichi Greci Phoebea in onore della dea Artemide (la latina Diana) per via della folta boscaglia che la colonizzava. L’isola di San Paolo era nota come Elettra (Ηλέκτρα) che fa comprendere come essa fosse un riferimento nelle Elettridi. L’isola di San Pietro, situata in una posizione strategica per la protezione della rada della città, fu sempre considerata, come quella di San Paolo, un elemento divisorio fra il mare aperto e l’area prospiciente l’ingresso del Mar Piccolo.
portolano di Taranto tratta dalla Mappa di Pīrī Reʾīs, opera dell’ammiraglio ottomano Pīrī Reʾīs, risalente al 1513. Nella carta è raffigurata Taranto, con la definizione in arabo “Qal‘atu Taranti” (Roccaforte di Taranto), nella quale possiamo notare il Mar Piccolo ed il Mar Grande delimitato dalle isole Cheradi, i due monasteri e la città fortificata quadrangolare collegata da un solo ponte da www.siderlandia.it
Abitata da Fenici, Greci e Romani mantenne una presenza di pescatori ed allevatori nel Medioevo quando furono costruiti dei piccoli monasteri dedicati a Sant’Andrea e a San Pietro che sembra favorirono lo sviluppo di piccoli villaggi, poco più che masserie, sull’isola di San Pietro. Per la sua posizione strategica, probabilmente l’isola fu anche base di appoggio dei Saraceni nelle loro incursioni sul territorio pugliese. La conoscenza del luogo è testimoniata dalla presenza di mappe che descrivono con dovizia il golfo di Taranto.
Storia recente
Verso la fine del Settecento, Napoleone Bonaparte fece edificare, sulla vicina Isola di San Paolo, il Forte de Laclos, dal nome del Generale d’Artiglieria Pierre Choderlos de Laclos, che vi fu sepolto nel 1803. Con l’unità di Italia, le isole passarono dai beni del Capitolo a quelli del Regno e sull’Isola di San Paolo fu costruito un faro per guidare i naviganti nel Mar Grande.
Alla fine del XIX secolo, in seguito alla costruzione della base navale di Taranto, le isole divennero il punto centrale di difesa della nascente infrastruttura. Sull’Isola di San Pietro fu realizzata la Batteria di San Pietro, demolendo parte del forte napoleonico, mentre sull’Isola di San Paolo furono costruite, tra il 1883 ed il 1901, la Batteria Ammiraglio Aubry e la Torre Corazzata Vittorio Emanuele II, realizzate dal tenente del Genio Emilio Marrullier.
Questa decisione fu presa dal Saint Bon nella carica di Ministro della Marina; l’Arsenale militare di Taranto, come quello di La Spezia, ottennero l’approvazione di un certo numero di sviluppi infrastrutturali. Con la legge degli Arsenali del 29 giugno 1882, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del Regno numero 160 del 10 luglio dello stesso anno, il Senato e la Camera del Regno d’Italia approvarono l’esecuzione del canale di comunicazione fra il Mar Grande ed il Mar Piccolo, del nuovo bacino “da raddobbo”, di uno scalo da costruzione, nuove officine, magazzini e laboratori ed una gru da ben 160 tonnellate con uno stanziamento di 9 milioni e 300.000 lire.
Questo ulteriore sviluppo dell’Arsenale permise la costruzione, nel 1884, della prima nave militare interamente costruita a Taranto, il regio incrociatore Puglia (nell’illustrazione di Beltrame), e la città divenne la sede del Terzo Dipartimento Marittimo (Napoli era allora il secondo).
Fra le opere ingegneristiche militari maggiori vanno menzionate alcune opere difensive all’interno della baia, quelle a difesa della rada e della base navale. Negli anni successivi alla costruzione delle citate batterie fu stabilito di chiudere gli accessi tra le isole di San Pietro e di San Paolo e tra punta Rondinella e San Pietro. Quest’opera, che richiese ben quindici anni di lavori, era stata già studiata nella metà dell’Ottocento con il progetto Valfrè e fu completata nel 1888 da una serie di studi del Genio Militare che sono ancora in parte conservati nell’Archivio di Stato di Taranto. Le dighe assunsero quindi una duplice importanza: la protezione dagli effetti dinamici del moto ondoso ionico ed una restrizione a passaggi obbligati per il traffico navale che comportarono un’ulteriore difesa da possibili infiltrazioni di unità nemiche. In particolare, si trasformò l’area costiera del Mar Grande in una rada protetta da un importante sistema di batterie di difesa con una portata di circa otto chilometri.
Con il foglio numero 1408 del 1 gennaio 1892, il Ministero della Guerra dispose, sulla base di un progetto del 26 febbraio 1890, l’esecuzione dei lavori di ultimazione delle batterie costiere tra cui anche quelle di San Pietro. Le batterie di San Pietro furono progettate per ospitare sei obici da 28 supportati da depositi munizioni, laboratori di caricamento protetti ed altre infrastrutture di servizio. In particolare, nel piano inferiore della batteria, su un area di 11,5 per 5 metri, si trovavano i locali addetti ai proietti scarichi che venivano allineati su tre strati per quattro file. Esistevano tre locali di caricamento (ognuno serviva due obici) che distribuivano il munizionamento su due linee: la prima, della lunghezza di 7,5 metri, era composta da 63 proietti, la seconda, di circa 5 metri, ne conteneva 48. Complessivamente erano disponibili trecentotrentanove proietti. Vi erano anche delle riservette per i proietti carichi, collocate nel piano superiore dei locali delle batterie sotto la parte destra di ciascuna delle traverse intermedie; esse contenevano ben 1545 spolette, 1650 cannelli e 210 razzi.
La notte di Taranto
Queste batterie, nate per un uso anti nave, non furono di utilità per contrastare l’attacco britannico contro Taranto del 1940. Nella notte fra l’11 e il 12 novembre del 1940, la città subì un devastante attacco da parte della Royal Navy britannica. La flotta inglese, al comando dell’ammiraglio Cunningham, si trovava a circa 170 miglia dalla costa e dalla portaerei HMS Illustrious furono lanciati ventuno aerei Swordfish, armati di siluri e bombe, che in due ondate successive giunsero, indisturbati, su Taranto.
Nonostante le batterie antiaeree costiere, i “pochi” palloni di sbarramento e le insufficienti reti anti siluro la flotta italiana subì gravi danni. La corazzata Conte di Cavour subì i danni maggiori, venendo parzialmente affondata. Inoltre furono seriamente danneggiati le corazzate Caio Duilio e Littorio, l’incrociatore Trento e i due cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno. Furono anche attaccati i depositi di carburante sulla terraferma. In estrema sintesi, un disastro ed una pagina da dimenticare per la nostra Regia Marina che aveva sottovalutato il rischio di un attacco aereo nemico alla base navale.
Ma la Regia Marina, come sappiamo, non si arrese e, nella notte tra il 18 ed il 19 dicembre 1941, avvenne la più celebre delle azioni della Xª Flottiglia MAS contro la flotta britannica nella base di Alessandria. L’operazione condotta da soli 6 uomini, denominata operazione G.A.3, fu vista come una rivincita delle forze armate italiane per le gravi perdite navali subite nella notte di Taranto (novembre 1940).
Ironia della sorte, molti anni dopo, nel 1984, un altra HMS Illustrious, sempre della Marina britannica, si ancorò nel Mar Grande, chiedendo aiuto alla Marina militare italiana. Il ponte elevatore della HMS Illustrious, unità di punta della Royal Navy (consegnata da solo un anno alla flotta) si era incastrato piegandosi verso un lato della nave, impedendo quindi il movimento dei velivoli harrier dall’hangar al ponte di volo. Racconto questo episodio con novizia di particolari perché in quell’occasione fui inviato come ufficiale di collegamento (compito spesso affidato ai giovani ufficiali) per coordinare le operazioni di sblocco del ponte. Fui alloggiato a bordo della nave e presentato al Comandante che, ricordo, mi accolse senza molta simpatia sottolineando il mio accento americano (provenivo da un periodo di quasi due anni negli Stati Uniti). A cena, consumai il pasto in mensa ufficiali ma, anche lì, l’accoglienza non fu delle più cortesi; un ufficiale inglese mi ricordò che nel 1940 un’altra Illustrious aveva lanciato proprio l’attacco contro Taranto. Dopo una cortissima notte, poco prima dell’alba, il pontone proveniente dall’Arsenale di Taranto arrivò sotto bordo. Mi adoperai quindi per il collegamento tra i tecnici dell’arsenale di Taranto, che erano giunti con il pontone che ospitava una gru di grandi dimensioni, e gli sconcertati ufficiali inglesi. Il ponte di volo fu agganciato, sollevato e riparato in poche ore. Ancora una volta l’efficienza della Marina italiana tolse la parola agli Alleati ed anche al non molto simpatico comandante inglese a cui ricordai la notte di Alessandria del 1941 dove solo sei uomini fecero molto di più degli aerei della Illustrious. |
Il dopo guerra
Dopo la seconda guerra mondiale, le isole Cheradi persero la loro importanza militare ma grazie alle servitù militari furono mantenute intonse da mire speculative. Per un breve periodo furono mantenute delle spiagge ad uso del personale militare e civile della Difesa. Tali strutture scesero di tono, con la concentrazione nella zona di San Vito degli stabilimenti balneari principali più facilmente raggiungibili dalla città tramite un traghetto della Marina Militare. Ora delle antiche costruzioni di San Pietro e San Paolo restano solo rovine immerse nella splendida e profumata macchia mediterranea, che sembrano sperare che l’Uomo sappia preservarle in maniera eco-compatibile.
Il patrimonio storico e naturalistico è importante e ci sono molti progetti di rivalutazione ma il rischio della speculazione è sempre dietro l’angolo. Un patrimonio da custodire e proteggere per le nuove generazioni in una terra bellissima che ha già tanto sofferto a causa dell’egoismo e stupidità umana.
Andrea Mucedola
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un ringraziamento al professor Giuseppe Mastronuzzi, docente universitario, geologo e profondo conoscitore della storia locale per avermi accompagnato in una indimenticabile visita dell’isola, illustrandomi la sua storia e le sue bellezze.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).