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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Titanic, caldaie
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Se una leggera “toccata”, molti anni addietro, fra una superpetroliera da 320.000 tonnellate e l’impavesata di un’altra nave, aveva provocato il taglio di una lamiera di tre centimetri e mezzo di spessore, possiamo immaginare la lacerazione che provocò l’urto contro una montagna di ghiaccio per una nave da 52.000 tonnellate quale era il Titanic.
il tentativo del Titanic di evitare l’iceberg (porting around) accostando a sinistra e poi subito a destraTitanic porting around.svg – Wikimedia Commons
Ma nessuno se ne rese subito conto: il primo segnale di soccorso, un CQD – Come Quick Danger (venite presto, pericolo) fu trasmesso solo dopo venti minuti e la prima lancia di salvataggio fu ammainata oltre un’ora dopo la collisione. In effetti il Titanic, costruito dai Cantieri Harland & Wolf di Belfast, era una nave allestita con i migliori concetti tecnici in uso a quei tempi e non aveva nulla da invidiare alle navi odierne. Allora non esisteva la saldatura elettrica e le lamiere dello scafo erano completamente rivettate, il che conferiva una maggiore elasticità. Le sue quindici paratie stagne gli consentivano di galleggiare anche con più di tre compartimenti allagati, ma la falla interessò cinque compartimenti e, in particolare, l’ultimo, le caldaie di prora, fu determinante per l’affondamento.
Per ordine del Comandante Smith (vedi la foto degli ufficiali in alto), il Quarto Ufficiale, Joseph Boxhall, fece una rapida ispezione a prora e diede una prima situazione dei locali allagati, in particolare le stive ed il deposito della posta, dove i cinque postal clerk (ufficiali postali) cercavano disperatamente di salvare i sacchi di posta portandoli sul ponte superiore. L’encomiabile attaccamento al lavoro costerà loro la vita. Boxhall, dopo aver fatto il suo rapporto al Comandante Smith, ebbe l’incarico di determinare il punto nave. Era già stata fatta una rilevazione stellare alle 7.30 p.m. e, partendo da questa, Joseph Boxhall stimò una velocità di circa 22 nodi, ma non poté tener conto delle correnti. In estrema sintesi il risultato fu: 41° 46’ N – 50° 14’ W ed il punto nave fu subito notificato al Primo Marconista, John Phillips, che cominciò a trasmettere i primi segnali di soccorso, “MGY (sigla del TITANIC) says CQD”, ma ben presto convertì il CQD in SOS (Save Our Souls – salvate le nostre anime) segnale da poco tempo adottato dalle stazioni ricetrasmittenti di bordo. Il progettista della nave, Thomas Andrews, che si trovava a bordo, fu subito consultato dal Comandante Smith e, fatto un rapido calcolo, preventivò che la nave sarebbe affondata nel giro di poco più di un’ora, forse un’ora e mezza. Non restava che abbandonare la nave, ma come fare a svuotare un alveare pieno di 2.500 persone in così poco tempo e con dei mezzi di salvataggio del tutto inadeguati? A questo punto viene da chiedersi se cinquanta anni prima gli emigranti di terza classe del Titanic erano più evoluti e meno timorosi. Probabilmente no: durante l’affondamento centinaia di passeggeri morirono annegati nelle loro cabine, famiglie intere come la famiglia Goodwin, padre, madre e sei figli tutti in tenera età, attesero il fato pregando, impietriti dal terrore.
Pianta del ponte della nave dell’RMS Titanic che mostra la posizione delle scialuppe di salvataggio. Le scialuppe di salvataggio principali sono evidenziate in verde, mentre le lance di emergenza sono evidenziate in rosso. Due delle scialuppe di salvataggio pieghevoli sono contrassegnate in viola. Altre (non presenti in questo diagramma) erano situati sul tetto degli alloggi degli ufficiali dietro la timoneria.
Lifeboats of the Titanic – Wikipedia
Sul TITANIC non c’erano abbastanza scialuppe di salvataggio per tutti i passeggeri ed equipaggio, neanche per la metà delle persone presenti a bordo, ma anche se ci fossero state non avrebbero fatto in tempo ad ammainarle: infatti le ultime scialuppe, che erano del tipo collassabile, cioè con il bordo pieghevole, furono trascinate in mare dalla nave nell’ultima fase dell’affondamento.
Grafico raffigurante la disposizione delle scialuppe di salvataggio sul ponte dell’RMS Titanic con informazioni sull’orario di rilascio, il numero di persone che occupava ciascuna scialuppa di salvataggio a fronte della capacità effettiva e un’istantanea “misurata” di quanto vuota o piena era ciascuna scialuppa il 15 aprile 1912 – wikimedia commons Immagine di pubblico dominio.
Drammatico il racconto di una trentina di passeggeri che si salvarono salendo sulla chiglia di una scialuppa capovolta. Le prime scialuppe furono calate in mare mezze vuote. Di fatto, c’era una certa riluttanza da parte dei passeggeri ad abbandonare un qualcosa di solido e maestoso per portarsi su un piccolo guscio dall’aspetto traballante. Vi fu poi un momento in cui il Comandante distribuì le pistole agli ufficiali perché potessero fare fronte ad una prevista calca di passeggeri ma, salvo qualche sporadico episodio con colpi sparati in aria, la maggior parte delle persone si comportò in modo ordinato e disciplinato. “Be British” esortava il Comandante Smith e tutti si comportavano con molto self control. Bisogna doverosamente ridimensionare questa leggenda dell’enorme perdita di vite umane dovuta alla carenza di barche di salvataggio. Mai un abbandono nave fu più complesso, confuso, lento e farraginoso. In poche parole non era previsto e, come tale, mai programmato. Il Primo Ufficiale Murdoch, sul lato destro della nave, ed il Secondo Ufficiale Lightoller su quello sinistro, si prodigarono fino all’inverosimile per salvare il maggior numero di persone, ma fu un’operazione oltremodo difficoltosa.
Il sistema Welin Davit era di tipo meccanico e consisteva in una gru radiale in cui entrambi i bracci venivano spostati contemporaneamente tramite un sistema a vite; utilizzava per la discesa dei cavi di Manila. Il disegno rappresenta il tipo di gru utilizzato sull’RMS Titanic – autore Pearson Scott Foresman Davits 2 (PSF).png – Wikimedia Commons
Il sistema di ammaino del tipo “Welin” era lento e disagevole: vi erano due paranchi da dosare contemporaneamente, nessun membro dell’equipaggio sufficientemente addestrato ed infine l’ordine di dare la salvezza solo a donne e bambini che causò il rifiuto di molte donne a salvarsi senza i loro mariti. “Women & children only”, solo donne e bambini, urlava il Secondo Ufficiale Lightoller, e si presentarono davanti a lui due coniugi non più giovani che si tenevano per mano come due adolescenti: erano Ida e Isidor Stauss, i proprietari dei grandi magazzini Macy’s di New York. La moglie fu invitata a salire sulla scialuppa mentre il marito fu gentilmente invitato a rimanere a bordo. A questo punto la moglie ritornò indietro e disse: “Abbiamo sempre vissuto insieme e quindi moriremo insieme”. Si sedettero sulle sedie a sdraio del ponte passeggiata ed attesero insieme che il mare arrivasse a sommergerli. Morirono così uniti come erano vissuti, il loro amore sopravvisse per l’eternità.
Tra di essi, Madeleine. Aveva indossato la cintura di salvataggio, l’ultimo laccio allentato per non comprimere troppo l’incipiente maternità. Seguiva il marito verso il ponte lance dove i passeggeri stavano radunandosi in attesa di imbarcarsi sulle scialuppe. La lancia N°4 era stata ammainata all’altezza del ponte passeggiata, ma i finestroni erano chiusi ed i passeggeri dovettero attendere molto tempo prima che qualcuno dell’equipaggio venisse ad aprirli. L’imbarcazione era quasi vuota quando Madeleine Astor con il marito si avvicinarono per imbarcare: “Solo le donne e i bambini” disse il Secondo Ufficiale Lightoller. Forse Madeleine avrebbe voluto seguire l’esempio di Ida Strauss e rimanere sulla nave accanto al marito, ma non era sola: portava in grembo una creatura che doveva assolutamente salvare, un figlio che aveva diritto alla vita. Fu allora che il marito la convinse con una pietosa bugia: “Ti raggiungerò con un’altra scialuppa quando arriverà la nave che sta venendo in nostro soccorso”. Si separarono per sempre. John Jacob Astor seguì con lo sguardo l’imbarcazione che si allontanava, poi salì sul Ponte Sole e si avvicinò al canile dove stava rinchiusa la loro cagnetta Kitty, aprì il canile e la liberò. Madeleine guardava la nave che stava affondando sempre più lontana e vedeva la bestiola che correva sul ponte. Più tardi, a bordo del “CARPATHIA” attenderà invano una lancia con a bordo il marito. Non era la sola: molte altre mogli avevano lasciato il marito sulla nave nella vana speranza di vederlo arrivare su di un’altra imbarcazione. Il cadavere irriconoscibile di Jacob Astor fu ripescato molti giorni dopo da una nave incaricata di ricuperare i corpi dei naufraghi. Fu identificato per le lettere J.J.A. ricamate sul risvolto del colletto.
Renato Cerutti
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Genovese, classe 1930, e successivamente anche veneto “per adozione”, dopo essersi diplomato all’Istituto Tecnico Nautico di Genova, sezione Costruttori Navali, svolge il servizio di leva come Ufficiale di Complemento del Genio Navale, con imbarco sulla Corvetta Baionetta. Successivamente, dopo un breve periodo passato all’Ansaldo a Genova, inizia una lunga carriera come ufficiale di macchina che lo porterà ad effettuare imbarchi su varie tipologie di navi mercantili e compagnie di navigazione quali, ad esempio, Home Lines, Costa e Texaco, ricomprendo incarichi di livello sempre più elevato, fino a quello di Direttore di Macchina di varie Unità. Continuerà con tale attività, intervallata da un paio di brevi esperienze a terra, fino alla pensione. Appassionato di materie tecnologiche, soprattutto (ma non solo) quelle attinenti alla propulsione navale, ha coltivato, oltre alla passione per la marineria, anche un entusiastico interesse per l’aeronautica, quale “mancato pilota” (per motivi contingenti transitori). Da pensionato ha collaborato con l’UNUCI e la Marina Militare Italiana tramite i sui scritti nautici, come quello qui proposto, pubblicato dalla Rivista Marittima nel 1998. Renato Cerutti ci ha purtroppo lasciato nel 2020, insieme a tanti altri, con la prima “ondata” del COVID.