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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: IMPERIALE ROMANO
AREA: MEDITERRANEO
parole chiave: miles, nautae, remiges, classiarii
Innanzi tutto definiamo meglio i classiari. Abbiamo accertato che, oltre alle attività marinaresche e al remeggio, l’altra delle tre principali funzioni svolte dagli equipaggi navali consisteva nell’uso delle armi, sia quelle individuali, sia le grandi macchine belliche imbarcate. Per tale importante funzione, la marina romana ha impiegato, fin dalla prima guerra Punica, dei militari appositamente formati, che per semplicità chiameremo sempre classiari.
classiari sul ponte – I secolo a. C. – Museo archeologico di Napoli – Foto Domenico Carro
Innanzi tutto definiamo meglio i classiari. Abbiamo accertato che, oltre alle attività marinaresche e al remeggio, l’altra delle tre principali funzioni svolte dagli equipaggi navali consisteva nell’uso delle armi, sia quelle individuali, sia le grandi macchine belliche imbarcate. Per tale importante funzione, la marina romana ha impiegato, fin dalla prima guerra Punica, dei militari appositamente formati, che per semplicità chiameremo sempre classiari. Sappiamo anche che, in tutte le situazioni in cui non vi era l’immediata disponibilità di classiari, i comandanti romani sono ricorsi all’imbarco di aliquote di legionari preventivamente selezionati fra i più valenti e coraggiosi dei volontari; in questo caso diremo che tali militari hanno assolto la funzione dei classiari. In questo articolo, così come in quelli seguenti, parleremo quindi dei classiari veri e propri, cioè dei fanti di marina e dei relativi quadri durante l’epoca imperiale. Occorre tuttavia tener presente che molte delle loro condizioni di arruolamento, di servizio e di congedo erano identiche a quelle delle altre categorie: per tutti gli aspetti in comune verrà ancora utilizzata la parola classiari – impiegata in senso letterale (uomini della flotta), secondo l’uso comune – purché non rischi di essere fraintesa; altrimenti verrà indicata la specifica parte del personale di cui si parla.
classiari sul ponte – I secolo a. C. – Museo archeologico di Napoli – Foto Domenico Carro
Status degli arruolandi
In epoca contemporanea, lo studio del personale della marina imperiale è stato influenzato da una tesi sostenuta dal Mommsen; secondo questo autorevole studioso, sette epigrafi relative a comandanti navali (sei trierarchi e un navarco), presunti schiavi e liberti di Augusto e Tiberio, dimostravano che nei primi tempi dell’impero, il servizio navale era formato da uomini della familia imperatoris, come se le flotte fossero una proprietà personale del principe. Tale assunto, lievemente ridimensionato dal Ferrero 1, era stato condiviso da tutti, ma è stato finalmente rigettato dai più recenti approfondimenti. Questa conclusione è peraltro del tutto coerente con la mentalità di Augusto, ostinato sostenitore delle più antiche tradizioni romane, che certamente non concedevano agli schiavi il privilegio e l’onore di servire in armi la Patria. Come abbiamo già visto, quella stessa preclusione – che in epoca repubblicana non era mai stata violata nemmeno in situazioni di estrema emergenza (quando si era sopperito all’urgente necessità di nuovi equipaggi liberando gli schiavi da arruolare) – rimase in vigore per tutta l’epoca imperiale, venendo infine recepita anche nel Digesto giustinianeo. D’altronde le due maggiori flotte imperiali erano state costituite, come detto, con le navi ed equipaggi della grande forza navale vittoriosa a Nauloco e ad Azio. Quei primi classiari, che furono arruolati, formati e duramente addestrati da Marco Agrippa, erano quindi certamente degli uomini liberi.
Inconvenienti del servizio navale
Il reclutamento di tutto il personale militare necessario per sostituire sistematicamente i congedati avvenne su base volontaria. In tale situazione, qualsiasi ragazzo attirato dalla vita militare si trovò a dover valutare quali fossero i percorsi più favorevoli fra le varie opzioni a lui accessibili. Questo giudizio era destinato a rimanere inevitabilmente influenzato da alcuni perenni inconvenienti del servizio navale. Vi erano innanzi tutto i pericoli del mare; il timore della navigazione marittima non fu certamente fobia sorta in epoca romana, poiché il rischio di morte in acqua – con la temuta prospettiva di lasciare il proprio corpo in pasto ai pesci o comunque privo di sepoltura – è ben presente nella letteratura greca classica, ad iniziare dall’Odissea e da Esiodo, così come negli epigrammi funerari dell’epoca successiva. Le preoccupazioni dei Greci derivavano dall’onnipresente possibilità di incorrere in un naufragio. Questo stesso assillo è stato attribuito anche al leggendario sapiente Anacarsi, come risulta dalle seguenti tre sue presunte sentenze, tramandate dalla tradizione e trascritte da Diogene Laerzio. Avendo accertato che lo scafo di una nave era spesso solo quattro dita, Anacarsi osservò che quella era la distanza che separava i naviganti dalla morte; quando gli chiesero quali fossero le navi più sicure, rispose che erano quelle tratte a secco sulla terraferma; quando qualcuno volle sapere se fossero più numerosi i vivi o i morti, egli replicò chiedendo in quale delle due categorie avrebbe dovuto conteggiare i naviganti. Di qui il noto detto, a lui attribuito: «Ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e quelli che vanno per mare».
Combattenti romani pronti a sbarcare su di una sponda nemica da un mezzo navale rappresentato in proporzioni ridotte per dare la preminenza alle figure umane, secondo l’uso romano. Scena LXXXI della Colonna di Marco Aurelio, a Roma (foto Domenico Carro)
Più immediatamente tangibile era la durezza della vita di bordo, per l’accentuata instabilità delle navi di piccole dimensioni, quali erano quelle dell’antichità, per l’obiettiva impossibilità di dotare quegli scafi, dagli spazi estremamente angusti, di sistemazioni idonee ad assicurare ai numerosi uomini dell’equipaggio un livello di comodità confrontabile con quello delle sistemazioni a terra, nonché per il maggior rigore della disciplina. Questi gravi svantaggi hanno sempre reso difficile l’arruolamento volontario, tanto che dal Duecento in poi nelle galee vennero messi ai remi anche carcerati, schiavi e prigionieri di guerra, mentre un più sbrigativo sistema di reclutamento, rimasto in vigore anche nella marina velica, fu quello di inviare delle squadre armate nelle bettole dei porti per prelevare gli ubriachi e portarli di peso su di una nave in partenza, a bordo della quale quei malcapitati si risvegliavano in alto mare trovandosi costretti a firmare il proprio arruolamento. La ripugnante situazione all’interno dei pur scintillanti vascelli dell’epoca moderna è stata descritta dalla penna di Oriana Fallaci a proposito del suo trisavolo, il livornese Francesco Launaro, vissuto fra il ‘700 e l’800. Naturalmente le condizioni di vita a bordo delle navi da guerra romane non potevano essere deteriorate a tal punto, poiché la durata delle loro navigazioni era più breve di quella dei velieri che percorsero le rotte oceaniche fino all’800. Il maggior disagio sofferto dal personale imbarcato era comunque presente anche allora, ed è perdurato nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, come recentemente ha avuto occasione di osservare il Capo di Stato Maggiore della Marina italiana.
Ai predetti due sensibili inconvenienti si aggiungeva la maggior durata della ferma; a fronte dei 16 anni previsti per i pretoriani, 20 per le coorti urbane e per i legionari, 25 per le truppe ausiliarie, il personale delle flotte veniva congedato dopo 26 anni di servizio, aumentati a 28 a partire dal principato di Settimio Severo, forse a causa del forte incremento degli impegni operativi delle flotte in seguito alla ripresa delle ostilità contro i Parti. Questa disparità non è molto sorprendente, visto che, nella recente storia della nostra Repubblica, con la coscrizione obbligatoria, per oltre 40 anni il servizio militare in Marina è stato più lungo di quello delle altre forze armate, in considerazione dei più lunghi tempi necessari per formare dei marinai. In quell’epoca abbiamo avuto occasione di vedere che, fra i ragazzi residenti nelle località marittime soggette alla leva di mare, venivano comunemente considerati più fortunati quelli che, con qualche espediente, riuscivano a farsi passare all’Esercito o all’Aeronautica, per ridurre il previsto loro impegno sotto le armi e per poter ottenere delle destinazioni meno disagevoli. Si trattava evidentemente di una scelta orientata da un’obiettiva convenienza personale, di certo senza implicare un improprio giudizio di minor prestigio della Marina. Per motivi sostanzialmente analoghi, così come anche per gli altri due motivi precedentemente indicati (pericoli del mare e durezza della vita a bordo), i giovani che decidevano di arruolarsi in epoca imperiale per effettuare una carriera da volontari sotto le armi avevano degli ottimi motivi per considerare l’opzione della flotta con qualche perplessità, date le obiettive penalizzazioni che questa presentava rispetto alle altre alternative percorribili.
Domenico Carro
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estratto dal saggio Classiari di Domenico Carro – Supplemento alla Rivista marittima aprile-maggio 2024 – per gentile concessione della Rivista Marittima, dedicato alla memoria del figlio Marzio, corso Indomiti, informatico visionario e socio del Mensa, prematuramente scomparso
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1 Ermanno Ferrero, Iscrizioni e ricerche nuove intorno all’ordinamento delle Armate dell’Impero Romano, Loescher & C., Torino, 1884.
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ammiraglio di divisione della Riserva della Marina Militare Italiana, dal momento del suo ritiro dal servizio attivo, assecondando la propria natura di appassionato cultore della Civiltà Romana, ha potuto dedicarsi interamente all’approfondimento dei suoi studi storiografici, nell’ambito dei quali ha pubblicato numerosi libri e saggi, creato l’interessantissimo sito ROMA AETERNA ed il foro di discussione FORVM ROMAETERNA (2001-2013), poi sostituito dall’istituzione di pagine estratte da “Roma Aeterna” nelle maggiori reti sociali, quali Linkedin, Facebook, Twitter, Youtube, Flickr, etc. Non ultimo, l’ammiraglio Carro è relatore in importanti convegni, nazionali ed internazionali sui temi della storiografia romana e della salvaguardia della cultura marittima.
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