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livello elementare
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ARGOMENTO: REPORTAGE
PERIODO: ODIERNO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: geografia
Dove andiamo oggi?
Ci spingiamo nella costa orientale del Canada, nel golfo di San Lorenzo. Questo grande golfo, che scopriremo fra poco, è delimitato a nord dalla penisola del Labrador, ad est dalla grande isola di Terranova, a sud dall’isola di Capo Bretone e dalla penisola di Nova Scotia e ad ovest dalla costa del Nuovo Brunswick e dalla penisola di Gaspè.
Il Golfo comunica con l’Oceano Atlantico a nord tramite lo stretto di Belle Isle, ad est, tramite lo stretto di Caboto e a sud tramite con quello di Canso. Questo golfo ospita molte isole e copre una superficie di circa 259.000 km². Prende il nome dal fiume San Lorenzo che, prima di sfociare nel golfo, forma un amplissimo estuario dove sfociano anche i fiumi Miramichi e Restigouche. Raccoglie centinaia di acque torrentizie e fluviali e, da nord, i fiumi Natashquan ed il Little Mecatina.
Il Golfo di San Lorenzo è uno degli elementi geografici costieri più affascinanti delle americhe, per molti aspetti scientifici, storici e culturali. Nelle sue acque prolifera il plancton che attira forme di vita maggiori come foche, balene e beluga. In esso finisce trasportato dai fiumi, un turbine di sedimenti e resti vegetali provenienti dal grande continente nordamericano.
Ma non finisce qui. Nel cielo autunnale è possibile scorgere stormi immensi di oche delle nevi che migrano dall’Artico verso l’Atlantico facendo sosta nel golfo. Il risultato è una ricchezza di vita tale da avere una biodiversità impossibile da ritrovare se non in pochi altri posti nel nostro pianeta.
Da un punto di vista puramente geologico, la regione del golfo è relativamente giovane. Circa 10.000 anni fa la zona era ricoperta da una coltre ghiacciata spessa finanche due chilometri. Nella successiva fase di scioglimento della calotta gelida, l’areale del golfo venne a trovarsi in un’esplosione di vita marina proveniente dall’Atlantico settentrionale. Recenti ricerche geologiche hanno mostrato uno spessore di circa cinquecento metri di sedimenti quaternari che si depositarono a seguito dello scioglimento dei ghiacci, con tassi di sedimentazione pari a trenta metri ogni mille anni.
L’isola del Capo Bretone è un dito di roccia (vecchia di mezzo miliardo di anni) lunga settanta miglia marine, che separa il golfo a sud dall’Oceano Atlantico con l’abisso Laurenziano. Le tempeste che avvengono all’uscita del golfo, verso oriente, sono spesso violente e, a testimonianza di ciò, vi sono decine di relitti affondati a causa di queste tempeste. Le temperature delle acque sono sempre gelide, anche in estate. Questo è dovuto ad un ramo della corrente del Labrador che è la confluenza di due correnti artiche, quella della Groenlandia occidentale e quella dell’isola di Baffin. Il suo effetto è tale che le acque di queste coste sono più fredde di 7-10 °C rispetto a quelle presenti lungo le coste occidentali nord americane o europee alla stessa latitudine. La bassa salinità della corrente del Labrador comporta la formazione di ghiaccio in inverno anche a latitudini piuttosto basse. In primavera e in estate, questa corrente trasporta gli iceberg che rappresentano un pericolo per la navigazione.
I nativi
9000 anni fa la comunità indiana dei Mi’kmaq, un popolo nativo americano, si instaurò nell’area compresa a sud del golfo, tra Terranova ed il Québec, vivendo di caccia e pesca. Sebbene un tempo erano ritenuti dei popoli primitivi, si è recentemente scoperto che in realtà avevano raggiunto un certo livello tecnologico nella lavorazione delle pelli e del legno. Ma la cosa forse più straordinaria è che erano in grado di rappresentare dei “concetti” con l’uso di strani geroglifici molto simili a quelli degli antichi … Egizi, non solo nella grafia anche nella … pronuncia delle parole.
Confronti tra i geroglifici micmac e quelli dell’antico Egitto. I primi erano già in uso nel 1738, quando l’Abbé Maillard scrisse il suo Manuel Hiéroglyphique Micmac. Se si pensa che quelli egizi furono decifrati nel 1823, quando Champollion pubblicò il suo primo studio sulla Pietra di Rosetta, il mistero si infittisce. Gli ideogrammi mostrano che gli antenati dei Micmac avevano familiarità con i metalli e che usarono gli stessi segni degli antichi Egizi per indicare l’argento e l’oro. da link
Questi grafi erano già in uso nel 1738, quando un sacerdote francese a seguito dei coloni, l’abate Maillard, scrisse un primo trattato sui Hiéroglyphique Mi’kmaq. Se si pensa che i geroglifici egizi furono decifrati nel 1823, quando Champollion pubblicò il suo primo studio sulla Pietra di Rosetta, il mistero si infittisce. Le similitudini fra di loro sono tante che fanno sospettare che gruppi primitivi abbiano attraversato l’Atlantico in tempi neolitici, durante l’Età del bronzo, effettuando dei veri e propri traffici commerciali per trasportare coloni e merci fra le due sponde di un Atlantico che doveva essere molto più piccolo. Questi viaggi furono forse praticati da popolazioni europee e mediterranee, il cui vocabolario nei moderni dialetti degli algonchini dell’est di cui i Mi’kmaq facevano parte? I primi coloni francesi che cercarono di convertirli notarono questa strana somiglianza linguistica, ed ancor oggi il mistero di questa similitudine non è stato ancora svelato. La loro dieta si basava sulla carne di foca, uova di uccelli marini, salmoni e storioni ma anche di balene. Vivevano in una terra, dal punto di vista climatico, ostile ma possedevano regole sociali ben definite che li portavano a raggrupparsi in estate per la grande caccia e pesca per poi ridursi in piccoli gruppi durante i mesi più freddi nella foresta.
In seguito arrivarono i primi europei; per primi i baschi nel 1372, inseguendo le balene, e poi i francesi, i portoghesi e gli inglesi che instaurarono i primi rapporti commerciali, non sempre pacifici, con gli indigeni. Agli occhi degli europei, le acque del Golfo di San Lorenzo apparvero subito come una miniera inesauribile, specialmente se confrontate con le, già allora, sfruttate distese marine del Mediterraneo. La corrente del Labrador ricca di nutrienti favoriva una abbondanza di risorse inaspettata e la pesca era sempre abbondantissima.
La pesca
Nel 1600 l’attività di pesca e conservazione salata dei merluzzi era passata da alcune decine di migliaia al milione o poco più: forse vi avvenne uno dei primi sfruttamenti intensivi perpetrati dal genere umano da lì in poi. Per non parlare delle balene e delle foche; insomma un valore in oro che superava di gran lunga lo stesso metallo nobile depredato dalle colonie spagnole dell’America Centrale verso l’Europa. Alla fine del seicento la pescosità cominciò a diminuire. Nelle acque del golfo cominciarono a ridursi le riserve di pesce e dei mammiferi marini. Le prime a risentirne furono le popolazioni di balene e di trichechi; i lunghi periodi di gestazione delle specie non riuscivano a sopperire alle richieste di grasso dall’Europa e dai vicini coloni americani. Per fortuna, negli ultimi anni, il numero di balene mostra segni di una ripresa, anche se lenta. Questa tendenza vale anche per le popolazioni di merluzzi; gli “ottimi” astici sembrano essere gli unici a non risentire della pesca intensiva attualmente in atto.
La ricchezza di vita del Golfo di San Lorenzo è strettamente interconnessa alle correnti dell’Atlantico, ricche di nutrienti, che si mescolano con quelle dei fiumi provenienti dalla foce del fiume San Lorenzo. Per millenni le acque del golfo sono state un supermercato stracolmo dal quale attingere, ma ora i tempi sono cambiati. Gli interessi stanno cambiando. Ad incrociare nelle gelide acque del golfo di San Lorenzo non ci sono solo pescatori locali con le loro barche super tecnologiche ma anche le compagnie petrolifere sempre alla ricerca di nuovi giacimenti.
Petrolio
I dirigenti di alcune compagnie stanno progettando e finanziando studi per l’apertura di un nuovo pozzo petrolifero nell’area di Old Harry; gli ambientalisti e le popolazioni Mi’kmaq sono sul piede di guerra, poiché temono che i gelidi inverni provochino sversamenti di greggio direttamente in mare. Nel nord america non sarebbe il primo caso di sfruttamento di risorse a danno dell’ambiente e dei nativi. La stessa situazione avvenne in passato anche in Alaska, causando un drammatico impatto ambientale le cui foto fecero il giro del mondo.
area di Old Harry
L’area a ovest di Terranova è già ricca di pozzi esplorativi in alcuni dei quali sono stati scoperti giacimenti importanti. Il margine meridionale dell’abisso Laurenziano (la zona meridionale del golfo) è stata oggetto di numerosi studi e di installazioni petrolifere con pozzi esplorativi ormai dismessi. In sintesi, un ambiente ecologico, un oasi di vita sotto minaccia. Quello in cui si spera è un futuro migliore e sostenibile per l’ecosistema del Golfo di San Lorenzo. Purtroppo sappiamo che ciò è un’utopia, perché gli interessi sono troppo alti. Arrivederci al prossimo viaggio.
Aaronne Colagrossi
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nasce a Campobasso nel 1980 ed ottiene, nel 2006, la laurea in Scienze Geologiche presso l’Università del Molise e, nel 2009, la laurea in Geologia Applicata all’Ingegneria presso l’Università “La Sapienza”. Scrive dal 2010, elaborando con uno stile personalissimo le sue passioni per la scrittura, le scienze, i viaggi, la fotografia e la storia navale. Ha pubblicato numerosi articoli su OCEAN4FUTURE dimostrandosi autore eclettico. Al suo attivo numerosi romanzi d’avventura sul mare e reportage di viaggio.
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