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Radar nautico: uno strumento utile ma da conoscere bene

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: NAUTICA E NAVIGAZIONE
PERIODO: XX-XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: radar

 

Ne sentiamo parlare da sempre, il radar. Oggi parliamo della sua storia e del suo, ancor oggi importante, utilizzo in campo nautico il cui corretto impiego è tutt’altro che scontato.

Il termine Radar, comunemente utilizzato dai mass media, è in realtà un acronimo per Radio Detection and Ranging, ovvero “scoperta e misurazione di distanze via radio”. Il termine “radar” fu coniato nel 1940 in campo militare dalla US Navy (marina militare degli Stati Uniti d’America). Il primo ad usare le onde radio per segnalare «la presenza di oggetti metallici distanti» fu Christian Hülsmeyer che nel 1904 dimostrò che era possibile rilevare la presenza di una nave nella nebbia.

Ugo Tiberio, il padre del radar italiano

Il sistema poteva però indicare solo la presenza di un bersaglio ma non la sua distanza. Nel 1922, Guglielmo Marconi ebbe l’idea di sviluppare un radiotelemetro per effettuare la localizzazione a distanza di oggetti in movimento e, nel 1933, ne propose la realizzazione ad un gruppo di militari italiani, tra i quali il colonnello Luigi Sacco. Sacco la affidò ad un brillante ufficiale tecnico della Regia Marina, l’ingegner Ugo Tiberio, che prestava servizio come insegnante a Livorno, presso la Regia Accademia Navale. A causa dello scetticismo dello Stato Maggiore, sebbene avesse realizzato diversi prototipi, non ottenne mai i fondi necessari per arrivare a un sistema radar operativo. In qualche occasione, Tiberio fu anche deriso dalle gerarchie militari che non credevano nelle sue ricerche considerandole fantascientifiche. Anche l’ammiraglio Jachino, dopo una sua presentazione sul possibile impiego di un sistema di scoperta basato sulle onde elettromagnetiche, lo invitò a dedicarsi esclusivamente all’insegnamento dell’elettronica ai corsi in Accademia Navale. Una storia che richiama il Nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito nella sua patria, frase citata nei Vangeli e pronunciata da Gesù che purtroppo trova conferme nella vita reale ancora oggi.

Solo dopo la disfatta di Capo Matapan (28-29 marzo 1941), dovuta anche all’uso del radar da parte dei Britannici, furono finalmente assegnati i fondi necessari per realizzare i primi sistemi italiani, che furono denominati Gufo (radio telemetro EC-3) e Folaga.

Gufo (radio telemetro EC-3) sulla RN Littorio

Al termine della guerra i meriti di Ugo Tiberio furono finalmente riconosciuti a livello internazionale. L’ingegnere italiano, che aveva visto lontano, continuò il suo insegnamento, scrivendo numerose pubblicazioni, diventando titolare della cattedra di elettronica all’università di Pisa, incarico che ricoprì per vent’anni.

Ma torniamo alle prime esperienze sui radar.
All’estero, ricercatori americani, tedeschi, francesi e, principalmente, britannici svilupparono il radar come sistema di difesa contro gli attacchi aerei.
Storicamente, nel 1936, l’ungherese Zoltán Bay fu il primo a produrre un modello funzionante di radar nei laboratori di Tungsram. Essendo uno strumento di interesse bellico, vennero sviluppati diversi sistemi sempre più efficienti in termini di precisione e utilizzabilità che si scoprì potevano avere un loro impiego anche in campo civile. Nel dopoguerra l’uso di sistemi radar si diffuse soprattutto per il controllo del traffico aereo e navale commerciale e per le rilevazioni meteorologiche.

La sua utilità fu riconosciuta in campo commerciale marittimo e il suo impiego fu previsto dall’International Convention for the Safety of Life at Sea, SOLAS ’74.  In seguito, con la miniaturizzazione dei componenti, il radar divenne in breve tempo dotazione corrente di buona parte delle imbarcazioni da diporto.

principio di funzionamento del radar … da Trentoincina

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Come funziona?

In parole molto semplici, il funzionamento di un radar si basa sull’irradiazione (emissione) di energia elettromagnetica ad elevata potenza, di tipo impulsivo, concentrata in una certa direzione.

Se nel suo tragitto l’onda incontra un oggetto viene riflessa ritornando al ricevitore. La misurazione del tempo che passa dall’emissione del segnale alla sua ricezione, moltiplicato per la velocità di propagazione, ci fornisce la distanza dell’oggetto.

L’orientamento dell’antenna all’atto dell’emissione dell’impulso (dato ad esempio da un sistema girobussola) e il tempo di ritorno del segnale forniscono quindi la posizione dell’oggetto; la differenza fra due rilevamenti successivi (o lo spostamento in frequenza doppler in un singolo rilevamento, nei modelli più recenti) permette la determinazione della sua velocità e direzione. In sintesi, avendo rilevamento e distanza di un bersaglio si può stabilire la sua posizione relativa istantanea rispetto alla nostra posizione.

Bande di frequenza
Le frequenze elettromagnetiche sono suddivise in fasce di frequenze (nei radar per lo più comprese tra le UHF e le SHF). Le fasce di frequenza sono a loro volta racchiuse in bande. La tabella seguente fornisce la classificazione in bande comunemente usata.

Solitamente i radar nautici operano nella banda S e X. Per poter valutare i differenti sistemi vanno esaminate le loro caratteristiche. In particolare, parametri come:
– la potenza di picco ovvero la potenza irradiata che può variare tra i 25 e 50 Kw;
– l’impulso (pulse) o tempo di irradiazione;
– la cadenza dell’impulso (pulse repetition rate), che può variare da 500 a 4000 impulsi al secondo.

L’energia viene irradiata tramite un’antenna altamente direttiva, che ruota nel piano orizzontale. Se volessimo rappresentare questa emissione noteremmo che l’energia è concentrata spazialmente in un lobo che può essere rappresentato in una componente orizzontale (di 1-2 gradi) ed una verticale più ampio di 20-25 gradi.

Fisicamente, utilizzando frequenze maggiori, il segnale viene attenuato ed ha una portata minore. Vedremo che questo problema affligge anche i sonar. L’antenna, oltre che ad irradiare l’energia, ha il compito di riceverla indietro. Molto semplicemente, una volta emessa energia, l’antenna riceve l’eco di ritorno che viene trasformato in segnali elettrici e rappresentato su uno schermo. Sugli schermi si possono avere rappresentazioni “pure” o “asservite a sistemi cartografici”, particolarmente utili per i sistemi GIS (geographic information system), che possono fornire dati utilizzabili per valutare lo sviluppo delle condizioni meteorologiche altamente significativi.

Il principio di funzionamento dei radar è semplice ma è affetto da fattori che possono diminuire la sua efficacia.
Un effetto fisico che disturba le ricezioni radar è la riflessione che comporta la ricezione di altri segnali di ritorno dovuti a riflessioni indirette.

Gli oggetti colpiti dall’energia elettromagnetica restituiscono un eco con la stessa frequenza di quella emessa dal radar e la loro risposta è legata alla conducibilità elettrica dell’oggetto colpito e, ovviamente, alla sua dimensione e forma in quanto essa è diversa in funzione della superficie irradiata; la migliore risposta si ha per oggetti che presentano superfici piane verticali rocciose o metalliche; al contrario si hanno risposte deboli e non affidabili quando si hanno oggetti con strutture angolate che possiedono una bassa conducibilità elettrica, come le spiagge sabbiose o le lastre di ghiaccio. Non a caso le navi e gli aerei stealth, progettati per avere una superficie di riflessione dispersiva e minore, restituiscono una bassa risposta radar.

Consigli pratici
Nella pianificazione della rotta e durante la navigazione costiera è sempre opportuno tenere conto del tipo di costa … una spiaggia sabbiosa molto ampia può restituire al radar errori di centinaia di metri e farci finire su pericolosi bassi fondali. La portata reale del radar dipende dalla rifrazione, dall’altezza dell’antenna sul mare (più è in alto e maggiore è la portata), e dell’altezza del bersaglio sul livello del mare.

L’orizzonte radar (in condizioni standard dell’atmosfera) è dato dalla formula:

2,23* √h  dove h è l’altezza dell’antenna in metri

La massima portata pratica (range) di un radar è data da:

R =2,23* (√altezza antenna + √altezza oggetto)

teoricamente semplice … ma non è esattamente così
In pratica, dobbiamo considerare che le prestazioni standard sono affette da problemi tecnici (anche temporanei), interferenze di radar vicini, disturbi interni della nave (spoke), disturbi di origine meteorologica (echi di clutter), capacità di discriminazione, echi falsi e multipli, errori di rilevamento legati al beccheggio e rollio, mancanza di un allineamento perfetto tra radar e girobussola. Molto spesso questi errori sono dell’ordine di un grado ma l’insieme può essere significativo.

I sistemi più moderni offrono una maggiore elaborazione del segnale e un trasmettitore/ricevitore adattativo digitale che regola automaticamente i parametri in base all’ambiente e alle condizioni del mare.  Nell’esempio sottostante (RayMarine) sono implementate delle funzioni di filtraggio che possono aiutare ad individuare bersagli anche con la pioggia e i temporali, riducendo gli echi di clutter. Altre funzioni integrate in questi sistemi sono gli allarmi di close approach, utili per l’anticollisione con bersagli radarabili. Questi allarmi possono calcolare automaticamente il moto dei bersagli, la distanza di minimo avvicinamento ed il tempo in cui si verificherà. 

radar Raymarine

In sintesi, il radar è un eccellente aiuto per la navigazione ma potrebbe NON assicurare la precisione e sicurezza della navigazione al 100%. I sistemi radar interfacciati con i sistemi di navigazione sono dotati di allarmi di prossimità ma questo NON vuol dire che possiamo affidarci ciecamente al radar. Molti incidenti nautici avvengono proprio per questo. Quindi: guardate sempre fuori con il vostro binocolo. Ricordatevi il vecchio detto, “il miglior posto per tenere un binocolo è al collo”. Un radar di navigazione è un utile strumento ma non potrà mai sostituire i vostri occhi, specialmente di notte. 

 

 

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