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Impianto idrico a bordo, il fai da te a prova di norma – parte I

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: NAUTICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Imbarcazioni
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Qual è l’impianto idrico ideale?
Questa è una domanda che non ha una risposta unica, e potremmo rispondere dipende dall’uso e dalla “vita di bordo” che si fa. Quello che è certo è che ogni barca nasce con una sua identità impiantistica ben precisa. Spesso viene tradita da una successiva personalizzazione “self made“ che inevitabilmente ne modifica le prestazioni e altera l’idea originale per cui fu sviluppata secondo ben precisi criteri progettuali e normativi, discutibili o meno.

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photo credit @Sacha Giannini

In campo terrestre ed edilizio le certificazioni e le “dichiarazioni di conformità impianti” (oggi chiamate DiCo e regolate dal DM 37/08) assumono ruoli primari in qualsiasi intervento di coinvolgimento impiantistico come nelle trattative d’acquisto. Sono obblighi di legge, non consigli. Siamo controllati in ogni passo nell’uso e consumo della nostra casa! Per i nostri Yachts e cabinati, così ben dotati di comode “ utenze domestiche”, è riservato invece un trattamento “non terrestre”. Non esistono obbligatorietà di prescrizioni e certificazioni nelle attività manutentive post-vendita, tranne eccezioni strutturali, modifiche sostanziali in carena e motore. Il resto sono più calorose raccomandazioni e in alcuni casi difficilmente reperibili o consultabili se non addirittura a pagamento. Figuriamoci comprarle, meglio cambiare bandiera!

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photo credit @Sacha Giannini

Cosa accade in mare allora?
In campo nautico lavori e lavoretti impiantistici a bordo sono spesso di “attività libera” e il più delle volte indisciplinata! Nonostante molti sistemi impiantistici sono “a vista” ed esposti maggiormente a danneggiamenti, manipolazioni, usura e controlli rispetto al “sotto traccia” dell’edilizia, è assente una regolamentazione tecnica e una disciplina sanzionatoria. Almeno per gli yachts non “in classe”, i registri di classifica RiNa, Lloyd’s, Bureau Veritas attestano e certificano apparecchiature, equipaggiamenti e gli impianti essenziali per garantire l’affidabilità e la sicurezza in mare soprattutto per le navi oltre i 24 mt.

Dal 2017 la nuova direttiva 2013/53/UE, abrogando la precedente 94/25/CE, ha disposto che tutte le nuove unità da diporto fino a 24 mt e i propri componenti progettati (come anche gli impianti) siano soggetti a marcatura CE di conformità alla pertinente normativa europea. Non è solo un passaporto per la commercializzazione europea ma anche un “punto nave” per ristabilire criteri progettuali, di sicurezza e di inquinamento in mare (come l’obbligo di casse nere per scarichi wc). Oggi nell’attività cantieristica e manutentiva del diporto e nel “fai da te“, tra improvvisati e più seri refitting impiantistici (idrico sanitario, elettrico, gas e combustibile) come nella compravendita dell’usato, non è richiesto quindi alcun certificato che asseveri l’installazione a regola d’arte.

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photo credit @Sacha Giannini

L’abilitazione di un progettista o dell’installatore stesso, il rilascio di un’attestazione che ne ha regolarizzato lo specifico rinnovo/modifica, la semplice manleva nella rivendita di usato in “garanzia”, non sono disposizioni contemplate dal legislatore italiano in ambito nautico.

Un controllo di legge, pur generico, in Italia in realtà esiste
In media ogni 5 anni, e si chiama “attestato di idoneità”, molti lo chiamano ancora il RiNa. E’ il certificato di sicurezza che ogni yacht privato battente bandiera italiana deve avere tra i documenti obbligatori a bordo e attesta che si può (ancora) navigare!
Che si tratti di rinnovo, convalida o rilascio l’ente certificatore attraverso  propri ispettori controlla se tutto, o in parte, è conforme all’uso. Sono davvero minime le prescrizioni da rispettare per continuare a navigare in regola, nonostante il popolo navigante è offeso e oltraggiato da questa tassa (perché così viene vissuta), rifugiandosi spesso nell’immunità estera. Ma guardiamo oltre il tributo (in media poche centinaia di euro ogni 5 anni per un 40 piedi) e come un’occasione per fare da soli controlli approfonditi e …sonni tranquilli in rada.
Nello specifico, durante una visita di idoneità, il check al sistema idrico sanitario è mirato principalmente alla sicurezza, all’accessibilità, al funzionamento e all’usura di prese a mare e saracinesche, delle tubolature spiralate (tipo “armorvin”) in aspirazione e scarico, delle fascette stringi tubo (meglio due per lato per scarichi passa scafo) ed eventuali valvole di non ritorno. Si controllano poi trasudi, ossidi o laschi su raccorderie metalliche tipo gomiti, portagomma e riduttori.

I più scrupolosi verificano anche la presenza nella linea di scarico wc di un sifone o semplice collo d’oca sopra la linea galleggiamento, meglio con il “gomito” a toccare il ponte di coperta (e non sotto il lavandino), la tenuta pompa wc e dell’eventuale valvola di non ritorno incorporata (sistema Twist’n’Lock) comandata direttamente dalla maniglia, che evita il riflusso … quasi sempre!

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photo credit @Sacha Giannini

Insomma, tutto questo serve per essere veramente al sicuro?
Il buon senso, l’esperienza, la salvaguardia della propria incolumità e l’utilizzo comunque di prodotti in commercio collaudati e dotati di marcature CE o di enti certificatori, sono sufficienti?
Ognuno di noi è certificatore, è responsabile di se stesso?

Fino a 9,99 mt, si! oltre, no!!! Qui il legislatore italiano ha deciso cautamente di intervenire a proteggerci. Se la barca ha un centimetro in più o uno in meno rispetto ai dieci, diventa un’ altra “cosa” come se i mari fossero diversi, le onde, le perturbazioni, gli impianti installati, lo scafo e i rinnovi quinquennali (unici minimi controlli di sicurezza previsti nel nostro paese). Noi armatori di imbarcazioni da diporto di 10,01 mt siamo tutti dei potenziali banditi e/o sprovveduti per non aver imparato nulla dal mare e quindi sottomessi a verifiche di galleggiabilità o di una presunta tale. Se abbiamo ancora la valvola del gpl, l’intercettazione gasolio dalla plancia, il flessibile del gas in validità, estintori carichi, che le valvole delle prese a mare si aprano e chiudano e non si sbriciolano come biscotti in mano!

Diversamente se siamo armatori di un natante di 9.99 mt, più corto di 2 cm, abbiamo imparato tutto e si è pienamente consapevoli dell’ importanza della manutenzione e dei guai che ne sono associati in caso di trascuratezza e nessuno ci controlla. Forse trasmettiamo più fiducia! Distinguiamo la sicurezza da tutto il resto. In mare i componenti impiantistici che causano rischi alla incolumità come l’elettrico, il gas e il combustibile sono particolarmente delicati e, salvo eccezioni, di competenza professionale e non hobbistica. L’impianto idrico sanitario, escludendo prese a mare, passa scafi e tubolature connesse, di fondamentale importanza e di tentato approfondimento normativo, ha un livello di pericolosità minore al punto che, qui, è ammesso un pò tutto, dal bricolage all’eclettismo creativo!
Si improvvisano schemi idrici e l’uso di materiali variegati di dubbia provenienza. Tubi da giardino giuntati con portagomma per innaffiatoi, filtri di bio-piscine gonfiabili, pompe elettriche recuperate dall’acquario in soffitta, valvole di non ritorno senza “andata” e pressostati fuori controllo!  Un uomo spesso a casa non capisce “un tubo” e non chiama mai l‘idraulico. In barca invece si diventa … veri uomini!

Fine I parte – continua

Sacha Giannini

 

PARTE I PARTE II PARTE III

PARTE IV PARTE V

 

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