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Pompei ed Ercolano: l’emergenza – Parte III

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: I SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Vesuvio, flotta Miseno
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Il 24 ottobre del 79 l’ammiraglio si trovava – con la sorella e il nipote – nella propria residenza, in posizione dominante nel porto di Miseno (fig. 1).

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Da lì, verso l’ora settima, venne avvistata la nube gigantesca a forma di pino, anche se non ne risultò chiara l’origine (nemmeno osservandola dalla terrazza superiore della villa) [27], perché il Vesuvio era privo del cono vulcanico [28] ed era parzialmente coperto dal promontorio di Posillipo (fig. 2).

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La conoscenza della data ci consente di verificare l’ora di inizio della fase “pliniana” dell’eruzione, manifestatasi con la tipica nube costituita dalla colonna eruttiva e dalla sua espansione a livello della stratosfera. Sappiamo che le ore romane non indicavano un istante preciso, ma un intervallo equivalente a un dodicesimo dell’arco diurno. Poiché, nel 79, il 24 ottobre calendariale corrispondeva al 25 ottobre astronomico [29], la hora septima designava l’intervallo 11.44 – 12.38. L’ora intera più vicina a quanto venne stimato dai presenti (ovvero poco dopo la culminazione del Sole, avvenuta alle 11.44) è mezzogiorno [30]. A tale orario va dunque ancorata la sequenza delle varie fasi dell’eruzione.

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L’avvistamento della nube suscitò la curiosità scientifica dell’erudito, che ordinò di approntare una liburna (la più veloce delle unità della flotta) per potersi rapidamente avvicinare ad osservare quel fenomeno del tutto sconosciuto. Ma prima che l’ammiraglio salisse a bordo della liburna, giunse il messaggio della sua amica Rectina: la sua villa essendo sotto al Vesuvio, lei stessa non poteva fuggire se non per nave; atterrita dalla minaccia incombente, lo pregava di salvarla da quel pericolo così grave [31].

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L’arrivo di questo messaggio pone un duplice problema: come è stato inviato? E perché è stato inviato? Il messaggio non fu certamente portato da un messaggero, poiché nessuna via di fuga – terrestre o marittima – avrebbe potuto essere praticabile per un messo senza esserlo anche per Rectina. E allora? La soluzione l’ha ottimamente individuata Flavio Russo [32]: il messaggio è pervenuto da una stazione semaforica. Noi conosciamo l’aspetto delle torri semaforiche dai bassorilievi della Colonna Traiana e sappiamo che le comunicazioni ottiche furono utilizzate in epoca imperiale anche nel golfo di Napoli [33], ove doveva essere presente una rete di stazioni di segnalazione semaforiche (diurne e notturne) [34] intervallate in modo appropriato, così come molte analoghe torri costiere erano disseminate su varie altre coste del Mediterraneo [35].

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Quanto al perché della richiesta di aiuto di Rectina, sappiamo che in tutte le ville marittime era disponibile del naviglio, da trasporto (per merci ed eventuale personale) e da diporto: tutti mezzi navali a vela, e quindi tutti dipendenti dalla direzione del vento. All’inizio dell’eruzione, il vento in superficie doveva quindi provenire da Libeccio, visto che impediva alle navi di salpare dalla costa vesuviana. Si trattava grosso modo dell’Africus della rosa dei venti romana [36] (fig. 3).

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Quel vento, tuttavia non rimase costante: durante la prima fase dell’eruzione la ricaduta delle prime ceneri verso Est mostra che il vento in quota doveva già essere ruotato da Ponente (fig. 4), anticipando la rotazione che poi si verificherà in superficie. Dall’Africus al Favonius. Poi, durante la prima parte della fase “pliniana”, le pomici bianche sono ricadute verso Sud-Est, mostrando una nuova rotazione del vento in quota (verosimilmente seguita, con qualche ritardo, dal vento in superficie). Dal Favonius al Corus.

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Infine, nella seconda parte della fase “pliniana”, dopo le 19, le pomici grigie sono ricadute verso Sud-Sud-Est, sotto l’impulso di un vento di Maestrale che era presente sia in quota che in superficie, impedendo alle navi di salpare da Stabia (fig. 5). Dal Corus al Thrascias. Questa rotazione del vento in superficie di circa 90° in senso orario nell’arco di circa 6 ore (fig. 6) è perfettamente coincidente con quella che si verifica normalmente nel golfo di Napoli quando è presente il regime di brezza [37]. La lettura del messaggio di Rectina indusse Plinio a concepire una inedita operazione navale di “protezione civile”. Fece pertanto approntare le quadriremi (fig. 7) unità ben più capienti della piccola liburna, ma anch’esse molto veloci [38]. Dalle epigrafi del II-III secolo ne conosciamo una dozzina [39], ma è probabile che in epoca Flavia fossero anche più numerose [40]. Poiché quel 24 ottobre era, come abbiamo visto, un giorno feriale, gli equipaggi furono in condizione di prendere il mare molto rapidamente dopo l’ordine di Plinio.

La navigazione iniziale

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Salpate da Miseno, che rotta dovevano assumere le quadriremi? Plinio avrebbe potuto farle irradiare affinché ciascuna di esse raggiungesse al più presto il tratto di costa assegnato. Tuttavia l’ammiraglio doveva prima avvicinarsi alla costa per verificare di persona a quali rischi avrebbe esposto i propri uomini. Plinio il Giovane ci conferma implicitamente che quella fu la rotta iniziale: “dritta la rotta e dritto il timone verso il pericolo” [41]. Si trattò dunque della rotta diretta verso il Vesuvio, ovvero verso Ercolano, che appariva quasi sotto alla colonna eruttiva a chi proveniva da Miseno. Con il Libeccio che girava a Ponente, le navi iniziarono a navigare con il vento in poppa. Data la progressiva rotazione del vento, superato il promontorio di Posillipo le navi proseguirono con il vento sempre molto favorevole, nei settori poppieri [42] di sinistra (fig. 8).

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Navigando con la prora in direzione del Vesuvio, gli equipaggi vedevano il “pino”, ovvero la colonna eruttiva che si innalzava sopra al vulcano ad un’altezza di gran lunga maggiore di quelle – già spaventose – che sono state fotografate durante le ultime tre più violente delle eruzioni esplosive del Vesuvio (1872, 1906 e 1944). In effetti essi avevano davanti agli occhi una colonna immane costituita da gas vulcanico, pomici, ceneri e frammenti di magma, che provocava una progressiva oscurità, esplosioni e terremoti, oltre ad una serie ininterrotta di fulmini, con lampi e tuoni, raggiungendo la quota della stratosfera: nella prima fase da 14 fino a 26 km per poi innalzarsi ancora, nella seconda fase, fino a 32 km di quota. Quell’inedito spettacolo era tale da incutere negli equipaggi un incoercibile terrore superstizioso, come quello che si verificò a Miseno nella successiva notte: “Vi era chi per paura della morte invocava la morte. Molti alzavano le braccia verso gli Dei; moltissimi affermavano che non c’erano più Dei, e che quella notte sarebbe stata eterna, l’ultima del mondo.” [43].

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Quel terrore istintivo aveva contagiato anche lo stesso Plinio il Giovane: “…ero sostenuto dal pensiero – tanto deplorevole quanto consolante – che tutto sarebbe perito insieme a me.” [44]. Per dei timori molto minori, in tutte le epoche degli equipaggi si sono ammutinati, e ciò era accaduto anche nelle flotte romane, nonostante la ferrea disciplina militare [45]. Ma sulle quadriremi di Plinio non si registrò alcun panico. Durante quella navigazione lo stesso comandante in capo della flotta continuò ad ostentare la massima tranquillità, dettando al segretario le proprie osservazioni sull’eruzione in atto. Questo particolare non è affatto sorprendente poiché riflette l’atteggiamento più positivo che possa assumere un comandante navale in una situazione critica: essendo ovviamente consapevole di essere continuamente osservato dai suoi uomini (nei limitati spazi di bordo si vive necessariamente a stretto contatto di gomito), egli deve accentuare in modo credibile il proprio comportamento sereno e fiducioso, poiché qualsiasi sintomo di perplessità verrebbe immediatamente percepito e si ripercuoterebbe negativamente sul morale e sul rendimento dell’equipaggio [46]. Nel caso specifico, inoltre, l’attenzione di Plinio ai vari fenomeni che egli osservava verso prora non era banalmente ispirata dalla curiosità scientifica del “naturalista”, ma in primo luogo dallo scrupolo dell’ammiraglio nell’analizzare gli sconosciuti fenomeni che si verificavano in prossimità delle coste dalle quali doveva prelevare la popolazione in pericolo. Qui si interrompe il racconto del nipote, perché subito dopo egli parla della caduta di cenere e pomici [47]; ma dalla vulcanologia noi sappiamo che nell’avvicinamento alla costa di Ercolano questo fenomeno non poteva affatto essere presente [48]. Questa nuova scena descritta da Plinio il Giovane si riferisce dunque alla fase finale della navigazione dello zio, davanti a Pompei. Tale anomalia discende evidentemente dai già descritti limiti della memoria umana. Per colmare questa rilevante lacuna nella sequenza degli eventi possiamo comunque beneficiare del valido aiuto dell’archeologia.

Fine  parte III – continua 

Domenico Carro

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PARTE I PARTE II PARTE III PARTE IV PARTE V

 

Note

[27] Plin. epist. 6, 16, 4-5.

[28] Sull’antica forma del Vesuvio: Carro 2021, pp. 31-33.

[29] Il calendario giuliano aveva conteggiato come bisestile l’anno secolare 800 AUC (47 d.C.), introducendo il primo dei dieci giorni di sfasamento che saranno poi rimossi nel ‘500 dalla riforma gregoriana.

[30] Calcoli più particolareggiati in Carro 2021, pp. 53-54.

[31] Plin. epist. 6, 16, 8.

[32] Russo, Russo 2004, pp. 122-123.

[33] A Capri pervennero da lontano dei segnali con notizie importanti per Tiberio (Suet. Tib. 65, 5).

[34] lle segnalazioni diurne con aste mobili accenna Vegezio (Veg. mil. 3, 5).

[35] Ad esse accenna Plinio il Vecchio (Plin. nat. 2, 181).

[36] Includeva dodici venti, intervallati di 30° (Plin. nat. 2, 119; Veg. mil. 4, 38).

[37] Per le condizioni meteo-oceanografiche nel golfo di Napoli e le relative fonti specialistiche (studi condotti soprattutto a cura di ricercatori dello storico Istituto Universitario Navale, di Napoli, poi denominato Università degli Studi di Napoli “Parthenope”): Carro 2021, pp. 57-61.

[38] I Romani avevano scoperto come si potessero costruire delle quadriremi estremamente veloci nel corso della I guerra Punica (Pol. 1, 46-47) e avevano fin da allora progettato le proprie costruzioni navali applicando gli stessi criteri (Pol. 1, 59).

[39] Annona, Concordia, Dacicus, Fides, Fortuna, Libertas, Mercurius, Minerva, Salus, Venus, Vesta, Victoria (Carro 2003, vol. XI, pp. 191-207).

[40] Fino ad una decina di anni prima dell’eruzione la flotta Misenense includeva ancora numerose quinqueremi (e quindi molte più quadriremi, in proporzione) visto che la progettata fossa Neronis doveva consentire addirittura alle quinqueremi di incrociarsi vogando in senso opposto (Suet. Nero 31, 5).

[41] rectumque cursum recta gubernacula in periculum tenet (Plin. epist. 6, 16.

[42] Gran lasco o lasco

[43] Plin. epist. 6, 20, 14-15.

[44] Plin. epist. 6, 20, 17.

[45] L’episodio più recente era stato l’ammutinamento degli equipaggi della flotta di Claudio, che si erano opposti per qualche tempo alla traversata verso la Britannia, nel 43 d.C., per timori ben poco giustificabili (Cass. Dio 60, 19, 2), visto che Giulio Cesare aveva già fatto effettuare alle sue flotte due identiche traversate meno di un secolo prima (nel 55 e 54 a.C.).

[46] È singolare notare che tale criterio – valido in tutti i tempi – era specificamente raccomandato nella trattatistica militare coeva di Plinio il Vecchio, come si vede in uno specifico passo dello Strategikos di Onasandro (Onas. 13, 1-3).

[47] Plin. epist. 6, 16, 11.

[48] Ercolano, come si vede dalla stratigrafia, fu pressoché esente da tali ricadute.

 

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