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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Titanic, caldaie
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Negli anni ‘50 la Torpediniera Giacinto Carini della Marina Militare Italiana, costruita nel 1916 nei Cantieri ODERO, era ancora in servizio dopo un onorevole impiego nelle due Guerre Mondiali. Le caldaie, del tipo a tubi d’acqua, avevano la combustione a nafta, ma l’aria comburente era fornita attraverso un sistema di tiraggio forzato “Closed stokeholds”, a camere chiuse.
La vecchia nave era adibita al servizio di addestramento degli allievi dell’Accademia Navale e, per accedere alla sala caldaie, bisognava passare attraverso una botola in coperta che immetteva in una garitta a tenuta stagna; per cui, una volta chiusa la botola con noi dentro, si poteva aprire una porta scorrevole che immetteva nel locale caldaia vero e proprio. Questa manovra era necessaria per evitare la fuoriuscita dell’aria in pressione che si trovava nel locale. Il Sottotenente del Genio Navale addetto alle caldaie mi diceva che questo sistema, oltre ad assicurare il tiraggio necessario ai forni, offriva l’indiscutibile “vantaggio” per il personale di macchina, di morire di caldo nella stagione calda e morire di freddo nella stagione fredda.
Gli impianti del Titanic
schema dell’impianto di propulsione del Titanic – da https://www.titanicology.com/Titanica/TitanicsPrimeMover.htm
Il Titanic aveva questo sistema di tiraggio forzato, anzi ne aveva tre: uno per ognuna delle prime tre ciminiere. La quarta ciminiera serviva da cofano alla sala macchine di poppa dove alloggiava la turbina di bassa pressione che dava il moto all’elica centrale.
schema della centrale elettrica del Titanic da https://www.titanicology.com/Titanica/TitanicsPrimeMover.htm
Il sistema di ventilazione a camere chiuse faceva sì che i locali caldaia fossero abbinati a due a due, cioè il N°1 col N°2, il N°3 col N°4, il N°5 col N°6. Era come se, paradossalmente, vi fossero tre enormi imbuti rovesciati che facevano capo alle prime tre ciminiere, ognuno contenente alla base due compartimenti caldaia divisi da una paratia stagna. Per ordine del Direttore di Macchina, Joseph Bell, anche i compartimenti caldaie N°3 e N°4 furono ben presto evacuati, le caldaie intercettate, i forni spenti, aperti gli scarichi del vapore all’atmosfera, chiuse le valvole degli eiettori della fuliggine e fermati i ventilatori del tiraggio forzato.
schema della caldaia scozzese da https://www.titanicology.com/Titanica/TitanicsPrimeMover.htm
Fu posta particolarmente cura nel chiudere le doppie porte di evacuazione attraverso le condotte di ventilazione, in modo che l’intero cofano rimanesse completamente stagno sia all’aria sia all’acqua. Le uniche aperture rimaste erano quelle delle prese d’aria sul “Ponte Sole” che sarebbero diventate delle vie d’acqua soltanto quando il mare fosse arrivato a tale livello. Quando l’acqua raggiunse la sala da pranzo di Terza Classe, adiacente al cofano caldaie, questo grosso involucro che abbracciava i due compartimenti fece da barriera e la nave ebbe così una riserva di spinta che le permise di rimanere a galla per un tempo maggiore di quello che il Progettista, Thomas Andrews, aveva preventivato.
Trentacinque persone votate al sacrificio: questa era la forza della Sala macchine del compartimento caldaie N°2, dove erano rimaste le ultime cinque caldaie accese. Ora la produzione di vapore per le pompe di zavorra e per le “turbodinamo” era al limite. Eppure bisognava continuare a pompare acqua fuori bordo e produrre corrente elettrica per la stazione radio e l’illuminazione della nave. Dispersioni a massa dalle linee elettriche, che man mano venivano a contatto con l’acqua di mare, costringevano il Capo Elettricista a sezionare e ridurre il carico sul “Main Switchboard”, il quadro elettrico principale. Fino all’ultimo si evitò il black-out.
la “vita” nei locali caldaie del Titanic dove la “black gang” lavorava in condizioni disumane spalando carboneTitanic boiler room | Rare photos, Titanic, Best boutique hotels (pinterest.com)
Chi ha vissuto momenti di black-out nella Sala Macchine di una nave, sa quanto sia angoscioso e stressante il tempo che intercorre nell’oscurità totale. Ma questo sul Titanic fu evitato grazie alla alta professionalità a capacità del personale di macchina. Fu soprattutto grazie al loro grande spirito di sacrificio che fu evitato un disastro ancora più grande. È quello che è sempre accaduto ed accade tuttora quando affonda una nave o cade un aereo: in sala macchine o in cabina di pilotaggio difficilmente ci sono superstiti.
Renato Cerutti
immagini da wikimedia commons e Titanic’s Propulsion Plant (titanicology.com)
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Genovese, classe 1930, e successivamente anche veneto “per adozione”, dopo essersi diplomato all’Istituto Tecnico Nautico di Genova, sezione Costruttori Navali, svolge il servizio di leva come Ufficiale di Complemento del Genio Navale, con imbarco sulla Corvetta Baionetta. Successivamente, dopo un breve periodo passato all’Ansaldo a Genova, inizia una lunga carriera come ufficiale di macchina che lo porterà ad effettuare imbarchi su varie tipologie di navi mercantili e compagnie di navigazione quali, ad esempio, Home Lines, Costa e Texaco, ricomprendo incarichi di livello sempre più elevato, fino a quello di Direttore di Macchina di varie Unità. Continuerà con tale attività, intervallata da un paio di brevi esperienze a terra, fino alla pensione. Appassionato di materie tecnologiche, soprattutto (ma non solo) quelle attinenti alla propulsione navale, ha coltivato, oltre alla passione per la marineria, anche un entusiastico interesse per l’aeronautica, quale “mancato pilota” (per motivi contingenti transitori). Da pensionato ha collaborato con l’UNUCI e la Marina Militare Italiana tramite i sui scritti nautici, come quello qui proposto, pubblicato dalla Rivista Marittima nel 1998. Renato Cerutti ci ha purtroppo lasciato nel 2020, insieme a tanti altri, con la prima “ondata” del COVID.