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Geopolitica del Medio Oriente a fronte del conflitto Israelo-Hamas

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Medio Oriente, conflitto Israele-Hamas

Le ripercussioni del conflitto israelo-palestinese

In seguito ai combattimenti nell’area di Gaza, susseguenti alle stragi del 7 ottobre 2023, il Mar Rosso si è rivelato una cassa di risonanza di quel perdurante e doloroso conflitto. L’inatteso sostegno militare dei ribelli Houthi, attivamente sostenuti dall’Iran, si è tradotto in attacchi di rappresaglia contro il traffico commerciale che transita davanti alle coste yemenite, inizialmente limitati ai mercantili riconducibili agli interessi israeliani ma poi allargatisi a qualunque nave, militare o civile, battente bandiera di un Paese amico di Israele.

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Economicamente il tutto si è tradotto in una iniziale perdita di proventi da parte dell’Egitto che ha registrato una riduzione del traffico attraverso il canale di Suez e, quindi, degli introiti ad esso correlati, che rappresentano una delle principali risorse nazionali, insieme al turismo e al gas naturale. Ciò proprio nel momento in cui Il Cairo si sta adoperando nella realizzazione di grandi infrastrutture, di cui il raddoppio del Canale rappresenta la principale voce. Una perdita economica che non influiva solo sull’economia egiziana, ma anche sulle economie europee e sulla Cina, principale Paese esportatore di merci verso l’Occidente, lungo la rotta del Mar Rosso.

Alle continue offese dalla milizia Houthi alla libertà di navigazione si sono successivamente aggiunte anche azioni di sabotaggio contro i sistemi di comunicazione internazionali, come i cavi subacquei digitali e telefonici che passano nello Stretto di Bab-el-Mandeb, che uniscono il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Gli USA e la Gran Bretagna, assieme ad altri Stati mediorientali e dell’Estremo Oriente, nel dicembre 2023 hanno avviato la missione “Prosperity Guardian” e, nel successivo gennaio, i due Paesi hanno avviato anche l’operazione “Poseidon Archer”, che prevede di colpire la minaccia alla fonte, cioè i siti di lancio di droni e missili degli Houthi in territorio yemenita. La risposta delle Nazioni Unite agli attacchi degli Houthi si è concretizzata il 10 gennaio con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2722 (2024), con la quale si chiedeva l’immediata cessazione degli attacchi e si prendeva atto del diritto degli Stati membri, in conformità al diritto internazionale, di difendere le loro navi.

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Da parte sua il Consiglio UE ha approvato il 29 gennaio un concetto di gestione della crisi in Mar Rosso, dando così il via agli atti formali che hanno poi portato alla definitiva approvazione dell’operazione navale dell’Unione Europea denominata “Aspides”, approvata a grande maggioranza (271 sì e 6 no) dal Parlamento italiano il 5 marzo. Tra i Paesi che si erano dichiarati disponibili fin da subito ad assumere un ruolo operativo nella missione (Francia, Germania, Grecia e Italia); comunque Italia e Germania si stavano già predisponendo in area di operazioni (Caio Duilio) e avevano già provveduto ad abbattere dei droni diretti verso le unità militari, ripetendosi nei giorni successivi, in risposta a nuovi attacchi degli Houthi. 

La missione “Aspides” si è così aggiunta alle altre due missioni dell’UE già attive nell’area per altri scopi: l’operazione “Atalanta” (Golfo di Aden e Oceano Indiano presso le coste somale) e l’operazione “Agenor” (Golfo Arabo/Persico). Ciò nonostante, gli Houthi hanno dichiarato che interromperanno la loro azione di destabilizzazione solo qualora venga raggiunta una soluzione politica definitiva al conflitto israelo-palestinese (due Stati). Avendo ancora negli occhi le terribili immagini della strage del 7 ottobre, al momento una tale soluzione sembrerebbe piuttosto complicata da raggiungere e, anche qualora fosse realizzata, non è detto che gli Houthi rispetterebbero quanto promesso.


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Tanto più se consideriamo il fatto che gli Houthi hanno ben altri obiettivi prioritari, in cui la questione di Gaza offre solo uno spunto di visibilità internazionale (e propaganda). Essi, infatti, stanno giocando una partita che riguarda il futuro assetto dello Yemen e la loro prova di forza è un “pizzino” inviato ai negoziatori in merito alle loro rivendicazioni.

Ma una domanda sorge spontanea: quanto sono affidabili gli Houthi?

Anche ipotizzando che gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti, con il concorso di Arabia Saudita e Oman per la composizione della situazione yemenita avessero successo, quale sicurezza ci sarebbe circa il mantenimento della parola data? In tutta questa situazione, la presenza del delicato e trafficatissimo passaggio di Bab-al-Mandeb, e la possibilità di interferire con la libera navigazione (anche con mezzi non particolarmente costosi/sofisticati) accresce i motivi di perplessità e preoccupazione.

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Gli attori esterni

Abbiamo già accennato al ruolo svolto dagli attori esterni alla regione, come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea. In tale ambito risulta di particolare rilievo Gibuti, che ospita, come detto, USAFRICOM e l’unica base navale cinese oltremare. Ma a Gibuti sono presenti (con varia intensità) anche dispositivi militari francesi, italiani, giapponesi, ecc … La presenza in quella che può essere definita la porta di accesso al Mar Rosso è importante per i diversi obiettivi geopolitici dei vari Paesi. Per la Francia, per esempio, la cui capacità di influire sulle dinamiche regionali ha subito un significativo ridimensionamento, dovuto ad alcune ambiguità evidenziate nel corso degli ultimi venti anni, Gibuti è anche il trampolino di lancio verso l’Oceano Indiano, dove Parigi ha degli interessi. Per gli Stati Uniti, invece, si tratta di una postazione dalla quale osservare il Sahel e la regione nordorientale del continente.

Per la Cina, come detto, è il punto di sbarco ideale per favorire i propri interessi in Etiopia, nel Corno d’Africa e nella penisola arabica (anche attraverso la presenza cinese nel porto saudita di Jizan). Una presenza che è cresciuta lentamente, attraverso investimenti nei settori delle infrastrutture, agricolo e minerario, facilitati dalle riforme di Deng Xiao Ping e dei suoi successori e definitivamente decollati con la globalizzazione, alla base del grande exploit economico della Cina. Tali investimenti, va sottolineato, sono quasi sempre accompagnati da onerosi prestiti con severi strumenti di garanzie collaterali. Investimenti che, nell’area del Mar Rosso, riguardano anche la ferrovia 1 che dovrebbe collegare Port Sudan a N’Djamena, capitale del Ciad.

Ma questi non sono gli unici attori geopolitici presenti sul Mar Rosso. La compagine “straniera” è molto più fluida e ramificata e, per influire sulle dinamiche regionali, è sempre collegata alle strutture marittime. La Turchia, per esempio, sta elaborando una specie di presenza diffusa e puntiforme che si evidenzia da Suakin (porto del Sudan settentrionale) fino a Mogadiscio, attraverso la presenza di istruttori militari. Dopo il crollo dell’URSS la Russia è uscita dalla scena regionale per oltre un decennio, con le stesse rappresentanze diplomatiche che furono ridotte all’osso. Ciò nonostante, negli ultimi venti anni Mosca ha sostituito Parigi in alcune aree della regione e del Continente, assecondando la sua propensione verso i mari caldi. In tale ambito, i russi stanno lavorando per la realizzazione di una base navale sulle coste sudanesi, in modo da costituire una ideale linea di collegamento tra Sebastopoli (Crimea), Tartus (Siria), con la collegata base aerea, e Dongoleb (a sud di Porto Sudan), attraverso il Canale di Suez. Un asse che permetterebbe, tra le altre, ai mercenari del gruppo Wagner di accedere, attraverso il Darfur, alle regioni del centro Africa, dove detto gruppo è particolarmente attivo e le cui brutalità e violenze indiscriminate nella cosiddetta azione di stabilizzazione e lotta al jihadismo sono probabilmente destinate nel medio-lungo termine a produrre un rigetto da parte delle popolazioni, con effetti opposti a quelli voluti.

Nell’ambito della competizione dinamica per il controllo dei porti sul Mar Rosso l’emiratina Abu Dhabi Ports ha, invece, ottenuto la gestione di vari terminali sulle coste somale e yemenite del Golfo di Aden 2.
Fine III parte – continua
Renato Scarfi

Note

1 China Railway Design Corporation
2 Berbera, Bosaso, al-Moukalla e Aden

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