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livello elementare.
ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: ARCHEOLOGIA DELLE ACQUE
AREA: DIDATTICA
parole chiave: archeo
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L’archeologia subacquea non consiste nel semplice ricercare oggetti sommersi, indagare antiche strutture o individuare relitti affondati. Poiché il fine di questa scienza-disciplina è la ricostruzione storica degli eventi nel passato, diventa importante conoscere le dinamiche che hanno guidato le azioni degli uomini che quel passato l’hanno vissuto.
È logico comprendere che tali azioni siano state dettate da esigenze di sfruttamento delle risorse disponibili. Una di queste risorse per la navigazione è costituita dal conoscere le baie, anse, ridossi dove fosse possibile, in passato, l’approdo e l’atterraggio per ripararsi dalla violenza del mare agitato, e rifornire l’imbarcazione di acqua dolce, cibo, di effettuare eventuali riparazioni e conseguentemente far riposare l’equipaggio. Spesso siamo tenuti a credere che i porti in antichità fossero strutturati come siamo abituati a vederli oggi, con moli di cemento, frangiflutti e pontili. In realtà non è così, o quasi mai così. Solo i romani si cimentarono, con la loro proverbiale capacità ingegneristica, a progettare e costruire porti simili ai nostri. Le fonti scritte che ci riportano le notizie disponibili al riguardo usano il termine “porto” anche quando si trattava di semplici approdi. Gli stessi poemi omerici, come l’Iliade e l’Odissea, ci raccontano di come i marinai dell’epoca fossero avvezzi a tirare in secco le “nere navi” quando, giunti nel luogo dove passare la notte, sbarcavano per avere un maggior comfort e poter accendere fuochi per scaldarsi, per cuocere il cibo e riparare l’imbarcazione da eventuali danni subiti. Se osserviamo una moderna carta nautica, spesso troveremo baie ridossate alle traversie che riportano nomi (il termine esatto è toponimi) che utilizzano il sostantivo “porto” anche se strutture portuali vere e proprie, così come siamo abituati a concepirle, non ne esistono, né mai sono esistite in quei luoghi. In realtà i toponimi celano spesso delle chiare ed evidenti informazioni sull’utilizzo affine all’approdo delle imbarcazioni per trovare rifugio in quelle baie o ridossi. Indagare questi luoghi è lavoro dell’archeologo subacqueo che può reperire, attraverso questa ricerca, informazioni importanti sulle relative rotte di avvicinamento, sulle merci oggetto di scambio, sulle strutture a terra e in acqua, funzionali alla navigazione.
Il primo problema è comprendere come si è evoluta la linea di costa. In un recente lavoro svolto in una nota località turistica della Sardegna (ancora in corso) ho potuto constatare come certe opere di consolidamento e modifica della linea di costa, eseguite alla fine dell’800, hanno creato i presupposti per un avanzamento costante della battigia che in certi periodi ha progredito anche di 3,4 metri in un solo anno, tanto da costituire ora, un vero problema. La priorità quindi per poter eseguire una corretta ricerca è quella di ricostruire l’evoluzione della costa nel corso dei secoli. Innanzi tutto occorre precisare che dopo le grandi opere ingegneristiche romane dei primi secoli dell’impero in genere il territorio non ha subito sostanziali modifiche fino all’inizio dell’era industriale. I periodi della tarda antichità e del primo medioevo sono stati secoli in cui si è constatata una significativa riduzione della popolazione nei grandi centri abitati con la conseguenza di una drastica modifica delle logiche commerciali, insediative e di utilizzo delle risorse da parte della popolazione. Si è passati da un’economia di fiorente scambio (l’Africa Romana era leader nelle forniture di generi di prima necessità a Roma, e in genere in tutta la penisola) a un’economia chiusa in cui si produceva e consumava tutto nel luogo dove era insediata la comunità.
Da questo dato quindi si può comprendere come le significative modifiche antropiche, ad opera dell’uomo dell’interfaccia mare-terra, siano avvenute nell’epoca recente, a partire dal XVII-XVIII secolo. In questo quadro quindi ci può venire in aiuto una ricerca bibliografica alla scoperta di mappe, fogli catastali, documenti che descrivano con immagini o racconti dettagliati i luoghi oggetto della nostra indagine.
saline, isola di Gozo, photo credit andrea mucedola
Spesso gli archivi storici custodiscono le informazioni che ci servono per acquisire notizie utili alla nostra ricerca. Un altro contributo fondamentale lo forniscono i geomorfologi, aiutandoci a capire come si sono mosse le masse di terreno, rocce, sabbie, sedimenti, nel corso dei secoli compresi nella nostra ricerca, e come questi hanno modificato il paesaggio. I colleghi specializzati in palinologia, con lo studio dei pollini presenti nella stratigrafia, possono rivelarci le essenze arboree presenti nell’epoca di riferimento aiutandoci a comprendere i tipi di alberi presenti nel luogo e che colture erano praticate o che alimenti vegetali erano disponibili. Inoltre, gli archeozoologi che, attraverso lo studio dei resti ossei degli animali, possono darci indicazioni sull’allevamento e sull’alimentazione umana dell’epoca che sappiamo essere a base di carne, pesce, molluschi.
Con la lettura del paesaggio così ricostruito possiamo a questo punto immaginare come potessero svilupparsi lo sfruttamento delle risorse del territorio, partendo dall’individuazione dei “porti” intesi come luoghi ideali per l’atterraggio delle imbarcazioni, con lo sfruttamento delle fonti d’acqua dolce, delle piante che potevano fornire legno per le riparazioni o le costruzioni di moli di carico-scarico delle merci; delle cave da cui si ricavavano blocchi per la costruzione di magazzini e case; delle colture e dell’allevamento che si potevano praticare per l’alimentazione umana.
Vedendo il luogo che indaghiamo con gli occhi di chi ci ha preceduto millenni or sono, possiamo ipotizzare le logiche insediative funzionali alle migliori condizioni climatiche, alla difesa del territorio, allo sfruttamento delle risorse. Potremo così individuare le micro-aree dove concentrare le ricerche, attraverso piccoli saggi di scavo, rilievi geo-radar, e valutazioni delle osservazioni dall’alto attraverso le immagini fornite da micro-elicotteri radiocomandati. Queste indagini avranno lo scopo di confermare o smentire l’ipotesi ricostruttiva fatta dagli archeologi. Un lavoro affascinante che tende a dare una nuova immagine all’archeologo: non più quella di cercatore di tesori, ma quella di scrittore della storia attraverso l’utilizzo della lettura del paesaggio grazie alle risorse tecnologiche messe a disposizione da altre scienze.
Ivan Lucherini
pubblicato sul numero 8 di ScubaZone
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archeologo subacqueo, appassionato ai temi della valorizzazione, della diffusione dei contenuti storici dei nostri Beni Culturali è iscritto all’elenco nazionale del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo come esperto abilitato alla redazione degli elaborati sulla VIARCH (valutazione di impatto archeologico). Si occupa di valorizzazione scrivendo progetti che rendano fruibili e contestualizzati gli apporti di ogni conoscenza materiale, e progettando percorsi multimediali provenienti dallo studio di siti di rilevanza storica. La sua attenzione si concentra soprattutto sugli ambienti costieri e marini, con approfondimenti sui temi del commercio e della navigazione antica. Laureato in Archeologia, curriculum tardo antico e medievale, all’Università di Sassari con una tesi dal titolo: “L’Archeologia subacquea di alto fondale, evoluzione delle metodologie di indagine e nuove prospettive nell’archeologia subacquea oltre i 50 metri di profondità” con una votazione di 110/110 e lode. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia alla scuola di dottorato in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo dell’Università di Sassari con una tesi dal titolo: “Evoluzione del paesaggio costiero nella Sardegna nord occidentale: Bosa e il suo fiume. Metodi avanzati di indagine.” Inoltre Lucherini è iscritto all’elenco regionale RAS delle guide turistiche e Course Director PSS (Valutatore nei corsi per istruttori subacquei) e OTS (Operatore Tecnico Subacqueo).