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Centoventi palombari per una corazzata, il recupero del Leonardo Da Vinci – I parte

tempo di lettura: 4 minuti

 

livello elementare 
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO – TARANTO
parole chiave: Leonardo da Vinci, sabotaggio, palombari
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Ci sono storie dove quello che conta non è il successo nel raggiungere un determinato obiettivo ma il semplice tentativo di affrontare una impresa impossibile affinché le generazioni future possano trarre l’energia per le sfide sempre più difficili che il futuro ci può riservare. E’ il caso della Regia Nave “Leonardo Da Vinci”, una corazzata varata nel 1911 a Genova ed entrata in servizio alle soglie della Prima guerra mondiale, il 17 maggio 1914.

FIGURA 1

Figura 1 – La R.N. “Leonardo da Vinci” attraversa il canale navigabile a Taranto

Dislocava a pieno carico circa 25.000 tonnellate ed era lunga 168,9 metri. Sicuramente un vanto per la Regia Marina che vedeva in questa moderna “dreadnought” il risultato di una cantieristica di alto livello. Nella notte del 2 agosto 1916, mentre si trovava ormeggiata nel Mar Piccolo di Taranto con l’equipaggio al completo (1.190 uomini tra ufficiali e marinai), un violento incendio divampò verso le ore 23.00 nella parte poppiera, in vicinanza di un deposito di munizioni. Questo fatto preoccupò moltissimo il Comandante della Nave, il Capitano di Vascello Galeazzo Sommi Picenardi che ordinò l’allagamento del deposito di munizioni poppiero e il raffreddamento delle paratie e dei ponti adiacenti che andavano arroventandosi. Evidentemente queste precauzioni non bastarono perché a un certo punto si udirono una serie di esplosioni sottocoperta,  talmente potenti da provocare degli squarci sul ponte che fecero le prime vittime tra l’equipaggio che andava radunandosi in coperta. 

FIGURA 2

Figura 2 – Viene sistemata la braga ad un palombaro che sta per immergersi sul relitto della corazzata (Archivio Ufficio Storico Marina Militare).

Alle 23.22 avvenne una prima terribile esplosione e alle 23.40 una esplosione più violenta ancora spezzò la carena della nave e fece capovolgere la corazzata in pochi minuti. Morirono 228 uomini di equipaggio e 21 ufficiali tra cui il Comandante Sommi Picenardi. Le indagini svolte in seguito vollero addebitare l’esplosione a un’azione di sabotaggio per opera di traditori al soldo del nemico austriaco o nostalgici dei Borboni ma, in realtà, le cause dell’incendio che provocò l’esplosione delle munizioni non furono mai chiarite.

FGURA 4

Figura 3 – Uno dei 120 palombari che si avvicenderanno sulla corazzata nei quasi quattro anni di estenuanti lavori (Archivio Ufficio Storico Marina Militare)

Per una tragica fatalità proprio in quel due novembre erano state caricate a bordo un notevole numero di munizioni da 305 per le prove di tiro che si sarebbero dovute svolgere il giorno successivo. In realtà, la possibilità di incendi a bordo delle navi non era un evento così improbabile. Incuria, fatalità e la non osservanza di norme, alcune delle quali non adeguate, potevano benissimo essere state all’origine dell’incendio che poi determinò l’affondamento della corazzata. La grande nave si presentava quindi con la chiglia che guardava il cielo. La coperta, con tutte le strutture più forti come le torri triple e binate e le torri di comando, era affondata nel fondo melmoso. Lo scenario fu apocalittico, irreale; dovunque sul mare galleggiavano detriti, chiazze oleose e, purtroppo, corpi. Agli occhi degli esperti stranieri convenuti a Taranto il recupero sembrava impossibile. Convennero che l’unica cosa da fare era demolire la corazzata un pezzo alla volta, aggiungendo ulteriore sconforto al dolore per una così grave perdita.

FIGURA 3

Figura 4 – Foto di gruppo di palombari partecipanti ai lavori sulla “Leonardo da Vinci” in fiera posa insieme al loro comandante (Archivio Ufficio Storico Marina Militare).

Contrariamente alla logica, le autorità italiane, militari e civili non furono dello stesso avviso degli esperti e, con un decreto dell’11 agosto, venne nominata una commissione di ingegneri che avrebbe avuto l’incarico di studiare la fattibilità di un lavoro di recupero che mirasse a poter poi ripristinare la corazzata in condizioni di piena efficienza.

fine parte I  – continua

Fabio Vitale

 

      

 

 

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