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1999 La bonifica delle bombe alleate in Adriatico – parte II

tempo di lettura: 11 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVII SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Adriatico, bombe, bonifica 
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Ci eravamo lasciati alle prime controverse reazioni politiche a seguito dell’incidente del peschereccio Profeta. Oggi racconteremo come si svolsero le operazioni di bonifica, dei protagonisti che trasformarono una “missione impossibile” per molti in un successo, e delle lezioni apprese che posero le basi per le Forze di Contro Misure Mine del III millennio.
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Lo svolgimento dell’operazione
Inizialmente fu preparato l’ordine per i tre cacciamine della 54 squadriglia che erano ormai giunti all’altezza di Ancona, ordinandogli di iniziare immediatamente una ricerca circolare sul punto presunto dell’incidente. Per fortuna, le diverse profondità in gioco erano comprese tra i 20 ai 120 metri, ovvero nel range dei nostri sistemi sonar di ricerca. Il venti maggio ebbe inizio l’operazione, che venne poi chiamata PROFETA, sotto il controllo operativo (OPCON) della Squadra Navale.

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Nelle settimane successive tutti i cacciamine disponibili ovvero i rimanenti quattro della 54esima (uno era ai lavori) ed i tre della 57esima furono inviati in zona. Il comando tattico della forza fu assegnato al Capitano di Fregata Giuseppe Manca, Caposquadriglia della 57a squadriglia che aveva sede a Messina. Devo ammettere che in quei momenti, da Comandante della 54a Squadriglia, avrei preferito essere in mare con le mie otto navi che avevo fino ad allora seguito ed addestrato ma, col senno del poi, mi resi subito conto che la valutazione della missione di guerra (all’epoca prima ed unica nel suo genere dal dopoguerra) e le scelte operative dovevano essere predisposte e gestite in altra sede, ovvero al Comando della Squadra Navale, necessariamente da personale specialista per facilitare le decisioni del Comandante in Capo della Squadra Navale, essendo politicamente la posta in gioco molto alta .

Il Comandante della Squadra, Ammiraglio di Squadra Paolo Giardini, a meno di particolari emergenze, veniva informato dettagliatamente sull’andamento della missione tre volte al giorno (alle sette del mattino, a mezzogiorno ed a mezzanotte). La pianificazione fu estremamente accurata, valutando l’impiego ottimale dei mezzi, i turni operativi e le necessità logistiche. 

Nei primi giorni incontrai anche due EOD della US NAVY (specialisti statunitensi nella distruzione degli ordigni esplosivi in mare) che, pur dimostrandosi molto collaborativi, restarono perplessi sulla nostra intenzione di bonificare le bombe cluster (che scoprimmo chiamarsi BLU 97). Ci dissero che pochi giorni prima due EOD inglesi erano morti in un villaggio in Kosovo cercando di ingabbiarle per poi distruggerle con una carica. Il rischio, ci dissero, era altissimo a terra figurarsi in mare. Ne esistevano di tre tipi, non sempre facilmente riconoscibili: un tipo incendiario, uno esplosivo ed un terzo che “sparava” un dardo di fiamma per forare le corazze dei bunker o dei serbatoi. Proprio una di queste aveva probabilmente ferito il comandante del peschereccio Profeta. Se fosse stato di un altro tipo, il capitano non sarebbe stato così fortunato a sopravvivere. Iniziammo quindi l’opera di bonifica su quegli ordigni di piccole dimensioni, letali e mai affrontati in mare dai nostri specialisti.

Fu così che fu generata un’organizzazione di impiego delle Forze di contromisure mine mai attivata prima
Il dover operare per lunghi periodi fuori sede, lontani da porti in grado di fornire un supporto adeguato, portò alla necessità di sviluppare una rete logistica basata su moduli abitativi e logistici realizzati all’interno di container. Fu deciso di dislocarli in prossimità degli spot di ormeggio, alle foci del Po. Un servizio di camion a rimorchio provvedeva al trasporto continuo di personale, materiali di ricambio e del munizionamento necessario per le operazioni di bonifica. Un fattore sensibile, se non essenziale, per condurre nei tempi previsti la missione. Voglio sottolineare che l’esperienza maturata in quel periodo mise le basi per la creazione di un concetto nazionale di forward logistic site, sperimentato con successo ed ora utilizzabile in qualsiasi area del mondo.

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Il Crotone (distintivo ottico M 5558) è un cacciamine della Marina Militare italiana classe Gaeta, (o Lerici II serie) all’epoca appartenente alla 54 Squadriglia di CMM – 

La ricerca delle bombe da parte dei cacciamine veniva effettuata utilizzando l’ottimo sonar AN SQQ14 IT dotato di VDS (Variable Depth Sonar) che apparve perfetto per operare in quelle acque. Sottolineo ottimo perché fu proprio in quell’occasione che potemmo valutare la migliore efficienza discriminatoria dei nostri apparati a fronte dei sonar a scafo imbarcati sulle unità NATO di altri Paesi.


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La capacità di scoperta del sonar consentiva di individuare oggetti delle dimensioni di una lattina di coca cola appoggiata sul fondale a 100 metri di profondità. I contatti sonar, scoperti e poi classificati, venivano passati agli operatori dei ROV (veicoli filo-guidati) che procedevano all’identificazione ottica finale per il riconoscimento degli oggetti.

Con la prima scoperta degli accumuli delle cluster in prossimità delle bombe, per fortuna ben visibili ai sonar, ed il loro successivo riconoscimento tramite i veicoli filoguidati allora in dotazione, Pluto e MIN 77, ci ponemmo il problema di come distruggerle. L’impiego di sommozzatori disattivatori ordigni (EOD) fu valutato troppo pericoloso. La probabilità di esplosioni accidentali delle cluster, anche per il semplice sfioramento di una di loro con le pinne, avrebbe potuto causare una tragedia. Si optò quindi per l’impiego dei mezzi subacquei, attraverso il rilascio di cariche comandate dall’esterno da posare in prossimità delle bombe.

Purtroppo, i primi tentativi di distruggerle con cariche tradizionali fallirono. Sebbene i ROV portassero le cariche a stretto contatto con i mucchi delle cluster, a seguito dell’esplosione le sub-munizioni, mosse dall’onda d’urto, si spostavano nei pressi senza attivarsi per simpatia. Furono interessati gli Enti tecnici della Marina e fu grazie all’intuizione dell’ammiraglio (AN) Dino Nascetti, massimo esperto di esplosivi subacquei della Marina Militare, che fu sperimentato un complesso sistema di cariche contrapposte che, esplodendo in contemporanea, schiacciavano con le onde d’urto generate dall’esplosione gli ordigni, causandone la definitiva distruzione.

Bisognava però trovare un sistema per poterle raccogliere tutte insieme. L’impiego di subacquei era stato scartato immediatamente per i rischi associati alla manipolazione delle cluster, ma fu l’ingegno e l’intuizione di un ufficiale di MARICODRAG, il Capitano di Corvetta Paolo Maggiani, a risolvere il problema. Maggiani ideò uno strumento semplice come l’uovo di Colombo, mai impiegato in precedenza. Fece saldare dai nostri tecnici, dislocati alla base avanzata, due ramponi, una specie di rastrelli impiegati dalle reti a strascico per grattare il fondo del mare. Questi rastrelli erano stati sequestrati dalla locale Capitaneria di Porto perché il loro uso per la pesca era vietato e diventarono uno strumento perfetto per i nostri compiti.

ramponi anti mine

ramponi, a destra e sinistra resti delle bombe bonificate – cortesia Museo del Comando delle Forze di Contro Misure Mine di La Spezia – photo credit andrea mucedola

Grazie alla sua esperienza pregressa di dragatore, il Comandante Paolo Maggiani realizzò un sistema a sciabica ad hoc per la raccolta degli ordigni. In pratica il cacciamine trainava il rampone che grattando la superficie del fondale fangoso catturava gli ordigni all’interno delle maglie facendoli accumulare nel sacco posteriore. Una volta che il sacco era pieno si poteva iniziare la fase di bonifica con i ROV. Tutta la fase di raccolta veniva seguita al sonar da un altro cacciamine nelle vicinanze che guidava il tragitto del sacco suggerendo al primo cacciamine le direzioni più opportune.

In estrema sintesi, un’intuizione geniale che ci consentì di iniziare la raccolta delle BLU 97 in maniera efficiente e passare rapidamente alla loro bonifica. Sebbene possa sembrare un operazione semplice, in realtà le difficoltà marinaresche di coordinamento dei mezzi impiegati furono notevoli, specialmente nelle prime fasi. L’addestramento degli equipaggi e la loro motivazione furono encomiabili, come fu espresso in seguito dal Comando della NATO.

pillenwerfen

pillenwerfen, un decoy in grado di produrre una grande quantità di bolle sono-assorbenti

Un altro problema che ci ponemmo nella prima fase di pianificazione fu il rischio di un eventuale danno biologico. Sebbene la bonifica avvenisse a quote profonde, su fondali fangosi con pochissima vita, la preoccupazione della Marina Militare fu quella di ridurre i danni dovuti all’esplosione delle cariche per i pesci in transito. Contattai l’università di Pisa dove ricevetti informazioni precise e dettagliate dal professor Francesco Cinelli, biologo e ecologo marino di fama internazionale, per poter valutare l’eventuale impatto. Nonostante il tipo di fondale, caratterizzato da un sedimento fangoso molto elastico, non rappresentasse un problema, fu deciso di limitare eventuali danni ambientali nel volume d’acqua superiore impiegando, oltre che le tecniche standard NATO per allontanare i mammiferi marini (prodotte dal Centro di ricerca della NATO di La Spezia), anche le pillenwerfen, dei generatori di bolle impiegati un tempo dai sommergibili come decoy per ingannare le navi sulla loro presenza. In pratica dei dischi che rilasciati in acqua producevano grandi quantità di bolle, ottime quindi per ridurre se non annullare gli effetti dell’onda d’urto causata dalle esplosioni. Questi metodi risultarono vincenti e non si apprezzarono mai morie di pesce in superficie.

Mezzi in gioco
Non ultimo, vorrei citare i veri protagonisti dell’operazione PROFETA, i circa mille uomini che furono impiegati sulle unità navali e nei reparti operativi e logistici a terra nelle diverse attività. Il cosiddetto ordine di battaglia prevedeva l’uso indistinto di tutti i cacciamine nazionali, all’epoca suddividi su due squadriglie, sotto il controllo operativo diretto della Squadra Navale (CINCNAV).

54 Squadriglia cacciamine: CF spec. Md Andrea Mucedola – che fu distaccato da subito come capo cellula di guerra CMM a CINCNAV
54ESIMA SQUAD
57 Squadriglia cacciamine: CF spec. DT Giuseppe Manca distaccato in Adriatico come ufficiale in Comando Tattico (OTC) di tutta la forza di CMM nazionale.

57 SQUAD

Tutti gli Uffici del MARICODRAG, comandati dal Capitano di Vascello Md Fedel, in sede e dislocati  nel Forward Logistic Detachment alle foci del Po, con il supporto delle componenti logistiche del Dipartimento marittimo dell’Alto Tirreno.

Ufficiali e personale della Marina Militare e della Guardia Costiera di sede in Adriatico.

A queste forze nazionali si aggiunsero nel giugno 1999, undici unità di CMM della NATO con una nave supporto, suddivise in due gruppi navali distinti. Uno dei quali fu comandato dall’allora CF Md Michele Cassotta.

L’operazione NATO, denominata ALLIED HARVEST, consentì la scoperta e successiva bonifica di 93 ordigni, alcuni recenti ed altri risalenti alla seconda guerra mondiale, disseminati in un’area di 1041 miglia quadre. Il coordinamento operativo tra le forze NATO e italiane fu sempre assicurato dalla cellula di guerra CMM di CINCNAV in coordinamento con il Comando NATO di Nisida, Napoli. Per comprendere la complessità dell’operazione, i cacciamine coinvolti in mare arrivarono ad essere anche dieci contemporaneamente, operando in operazioni reali in prossimità di altre unità nazionali e NATO impegnate nelle operazioni in Kosovo (KFOR).

Due mesi di fuoco
Inutile dire che l’attenzione dei mass media fu massima e furono sempre informati dell’andamento dell’operazione e delle nostre attività. La dead line per terminare la missione fu fissata per il 14 luglio 1999. Ricordo che, alle 23:30 del 14 luglio 1999, mi presentai nell’ufficio del Comandante in Capo della Squadra, Ammiraglio di Squadra Paolo Giardini,  comunicandogli che l’operazione di bonifica degli ordigni era terminata con successo. Non fu un eccesso di ottimismo. Nei mesi seguenti, al termine del mio comando navale, lasciai la 54 squadriglia ed assunsi l’incarico di Capo di Stato Maggiore del COMFORDRAG, nuovo comando che sostituì il MARICODRAG. Per scrupolo e verifica continuammo ad inviare per un anno i nostri cacciamine in missioni esplorative nelle stesse zone ma nessun ordigno relativo alle operazioni nei Balcani fu mai ritrovato.

Una minaccia sempre presente
Questo non vuol dire che l’area non possa presentare ancora degli ordigni affondati nel sedimento del fondale. Statisticamente, gli specialisti sanno che la percentuale di bonifica di un’area non può mai arrivare al 100%. Inoltre è noto che, verso la fine della seconda guerra mondiale, proietti e munizionamento di vario tipo furono intenzionalmente o per cause belliche affondati in diverse località del mar Adriatico. Ma non solo. Durante un controllo delle acque della ex Jugoslavia fu ritrovata, ad oltre 150 metri di profondità, una mina ormeggiata austro-ungarica della I guerra mondiale, che era ancora agganciata alla sua catena di ormeggio, retaggio di un mare da sempre teatro di guerre. E’ quindi possibile che forti mareggiate o l’azione di pescherecci a strascico possano spostare ordigni da un’area all’altra o portarne alla luce di nuovi. Nell’operazione in Adriatico, furono anche ritrovati dai cacciamine numerosi residui di inciviltà come bidoni, lavatrici e frigoriferi che, non si sa come, navigarono a lungo in Adriatico prima di affondare in mezzo al mare.

Riconoscimenti
L’operazione di bonifica post Kosovo fu in seguito presentata al NATO Naval Armament Group (NNAG), la riunione navale più importante della NATO, riscuotendo un unanime consenso. Questo apprezzamento da parte della NATO confermò le capacità della nostra componente di contro misure mine ponendo l’Italia come nazione leader nel Mediterraneo. Ho usato il verbo confermare perché voglio ricordare che nel dopo guerra un altro ufficiale italiano, il Comandante Falco Accame, aveva anche lui sviluppato un innovativo sistema combinato di dragaggio ad influenza che divenne poi dottrina in tutta l’Alleanza.

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resti di una cluster bomba frammentazione incastrati nei denti di un rampone – Museo del Comando delle Forze di Contro Misure Mine di La Spezia – photo credit andrea mucedola

Conclusioni
In estrema sintesi, fu un lavoro di squadra fantastico ed i risultati parlano ancor oggi da soli. Furono trovati e distrutti tutti gli ordigni dichiarati dalla NATO nelle Jettison area con una superficie di bonifica equivalente a ventimila campi di calcio, controllati con una precisione geografica di cinque metri e mappati grazie ai sistemi GIS ERICA/CARS di bordo. Vorrei sottolineare che senza quel sistema, sviluppato  dall’Ufficio Studi di MARICENTROMINE, l’operazione sarebbe stata molto più complessa se non impossibile da realizzare. L’area esplorata riguardava la parte centrale dell’Adriatico settentrionale fino al Gargano, unendo con le congiungenti tutte le sei jettison area dichiarate. Nel conteggio degli ordigni bonificati, oltre ai 143 ordigni NATO, si aggiunsero casse e proietti di munizionamento della I e II guerra mondiale che furono anch’essi bonificati per rendere sempre più sicuri i fondali dell’Adriatico settentrionale. Questi risultati furono forniti alla stampa in una conferenza presso il Comando della Squadra Navale nel mese di luglio 1999, in un’analisi pragmatica dell’operazione svolta in acque internazionali ma prospicienti le nostre coste e quindi frequentate assiduamente dai nostri pescherecci.

Agli equipaggi ed allo staff fu meritoriamente assegnata la medaglia NATO per il contributo alle operazioni in KOSOVO (KFOR). Tutto questo fu ottenuto grazie agli equipaggi  dei cacciamine e di tutto lo staff del MARICODRAG/COMFORDRAG ma soprattutto grazie alla visione dell’Ammiraglio Paolo Giardini, allora Comandante in Capo della Squadra Navale, che seppe riconoscerne il valore, facilitando il loro complesso compito sempre con direttive chiare e pragmatiche.

Non ultimo poche parole sulle forze specialistiche italiane del Dragaggio e speciali del COMSUBIN che, voglio ricordare, operarono indipendentemente nello stesso periodo anche nelle acque interne del lago di Garda con un team di palombari disattivatori ordigni (EOD), dimostrando ancora una volta, dopo le operazioni svolte in Golfo Persico, la loro professionalità e capacità.

Come premesso nel titolo, quell’anno, il 1999, fu l’anno della svolta per le nostre forze specialistiche di Contro Misure Mine. Lo sviluppo seguente della componente CMM, fortemente voluto dall’ammiraglio Giardini, comprese l’acquisto di nuovi materiali, strumenti e mezzi logistici che portarono la componente di CMM nazionale ad una svolta epocale che la pone oggi fra quelle più apprezzate in ambito NATO.

Consentitemi di chiudere con un vecchio detto, che trovai scritto su un pannello in una base statunitense, rivolto ai colleghi delle unità maggiori della Squadra, “dove voi andate, noi ci siamo già stati”. L’importanza di questa componente specialistica non deve essere sottovalutata, in particolare guardando le possibili minacce asimmetriche del III millennio. La capacità di poter intervenire rapidamente per la sicurezza dei nostri mari non si può inventare, e la storia navale, dalla guerra di Corea ad oggi, ce lo ha insegnato.

Andrea Mucedola
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2 commenti

  1. Corrado Corrado
    12/10/2017    

    Abbiamo scritto una pagina importante di storia dell nostra Marina. Onori a noi! Onorato di aver contribuito in qualità di Capo Componente Sonar di Nave Rimini. Ricordi indelebili, esperienza incommensurabile!

    • 12/10/2017    

      ho voluto scrivere la storia di questa missione per onorare tutti gli uomini che vi parteciparono … grazie ragazzi

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