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livello elementare
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ARGOMENTO: NAVIGAZIONE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: metodi di navigazione antichi, Polinesia
Una zattera alla deriva nel pacifico, il Kon Tiki
I più giovani forse non hanno mai sentito parlare del viaggio del Kon Tiki, una zattera ideata dall’esploratore e scrittore norvegese Thor Heyerdahl per dimostrare che la colonizzazione della Polinesia poteva essere avvenuta, in epoca precolombiana, da popolazioni provenienti dal Sud America, utilizzando delle semplici zattere che navigavano alla deriva trasportate dalle correnti.
Il Kon Tiki fu costruito con tecnologie conosciute sin dalla preistoria, impiegando materiali naturali. Inizialmente, gli esploratori, cinque norvegesi ed uno svedese, si recarono in Perù per reperire i materiali necessari per la costruzione della zattera, tra cui un tenero e leggerissimo legno di balsa.
Sebbene portassero con loro una radio e degli strumenti di navigazione, l’imbarcazione non aveva nulla di moderno, ed era stata costruita basandosi sulle cronache scritte dai colonizzatori spagnoli.
Il viaggio iniziò il 28 aprile 1947 e Heyerdahl e i cinque compagni di viaggio restarono in mare, alla deriva delle correnti, per ben 101 giorni, attraversando il Pacifico verso ovest sospinti dai venti e dalle correnti. Il 7 agosto del 1947 i navigatori si arenarono sulla barriera corallina di Raroia nell’arcipelago delle Isole Tuamotu. L’impresa ebbe un enorme successo mediatico seguito da molti libri ed un documentario corredato dai filmati effettuati durante il viaggio. Il film, che vi proponiamo, vinse l’Oscar come miglior documentario nel 1952.
In estrema sintesi, Thor Heyerdahl dimostrò che in epoche remote le popolazioni dal centro/sudamerica avevano potuto raggiungere le isole del Pacifico e colonizzarle.
Rimasero però aperte molte domande. Dopo il primo approdo, come facevano a navigare in un’area immensa come il Pacifico? Restarono isolati nei loro atolli di approdo o riuscirono a mantenere dei contatti fra di loro? Quale erano le loro capacità nautiche?
Una scoperta straordinaria
Un geografo dello Smithsonian Museum, Doug Herman, ha recentemente scritto un interessante articolo sulla navigazione tradizionale dei Polinesiani che svela molti aspetti sconosciuti sulle capacità di quei popoli del mare di navigare e che, sotto un certo aspetto, va a confutare la tesi della deriva incontrollata di quegli antichi navigatori sostenuta da Thor Heyerdahl.
La ricerca si è basata sulle fonti antiche che hanno rivelato che gli abitanti del Pacifico non solo avevano conoscenze del moto delle stelle ma erano in grado, sin dai tempi antichi, di navigare tra le isole seguendo rotte per lunghe distanze. Non si trattava quindi di spostamenti casuali di zattere alla deriva ma vere e proprie navigazioni grazie a capacità nautiche basate su nozioni antiche che in Occidente si erano perse. Nel XIII secolo i Tahitiani erano in grado di percorrere grandi distanze e probabilmente si erano stabiliti alle isole Marchesi ancora prima. A quando risaliva questa loro capacità? Per poter rispondere a queste domande bisognava quindi ricercare fra le isole gli ultimi depositari di tali antiche conoscenze che permettevano senza l’ausilio di nessun strumento tecnologico moderno di navigare.
La testimonianza di Cook
Nel 1778 il capitano Cook, a bordo del H.M.S. Endeavour arrivò per primo alle isole Hawaii nell’ambito di una spedizione scientifica per tracciare il corso del pianeta Venere. Nella sua campagna si fermò a Tahiti dove conobbe un sacerdote locale, Tupaia, inviato a bordo come mediatore culturale. Tupaia era un esperto navigatore che si era trasferito a vivere a Tahiti, un’isola situata 2.500 miglia più a sud delle Hawaii, ed era stato arruolato da Joseph Banks per aiutarli a navigare in quei mari sconosciuti.
James Cook rimase presto sorpreso di vedere come Tupaia fosse in grado di conversare con gli abitanti delle isole che incontravano nelle loro stesse lingue. Immaginò quindi che dovesse esserci stata una radice comune, un unico popolo che viveva in quel grande oceano e in qualche modo si era distribuito colonizzando quelle isole lontane.
Per identificarli Cook creò un nuovo termine, Polinesiani, il popolo delle “molte isole”, abitanti tutte le terre dall’isola di Pasqua alla Nuova Zelanda (Aotearoa) nel sud-ovest, fino alle Hawaii, poste più a nord. Questi tre caposaldi definiscono ancora oggi quello che viene definito il “Triangolo Polinesiano”, la “nazione” più grande della Terra che conta più di mille isole sparse su sedici milioni di miglia quadrate di Oceano. Questa comunione linguistica dimostrava che quei popoli erano quindi tutti legati fra loro da una antica radice comune. Un’ipotesi difficile da dimostrare in quanto essi, apparentemente, non avevano la tecnologia per poter navigare da una parte all’altra di quell’immenso oceano.
La teoria di Cook fu accolta con scetticismo e anche Thor Heyerdahl rifiutò questa presunta eredità culturale pregressa, sostenendo che la navigazione nel Pacifico si basava in gran parte sui venti del Pacifico che scorrono prevalentemente da Est a Ovest; per cui le loro imbarcazioni dovevano per forza spostarsi alla deriva, trasportate dalle correnti, raggiungendo alla fine un atollo dove poi si stabilivano creando delle nuove colonie.
Navigare in maniera olistica
Questa teoria contrastava con la tradizione orale dei Polinesiani che riferivano di poter navigare contro vento ovvero da ovest verso confermata dalle tracce linguistiche ed archeologiche comuni che erano già state descritte da Cook. Per i nativi polinesiani, la navigazione non era solo un’arte antica ma una pratica spirituale e scientifica. Ai navigatori polinesiani veniva richiesta una conoscenza profonda del cielo notturno e dei cambiamenti della latitudine celeste durante tutto l’arco dell’anno. Con questa conoscenza, le stelle costituivano di fatto una bussola stellare ed un mezzo per determinare quella che nel mondo occidentale era chiamata latitudine.
Voglio ricordare che il concetto di latitudine è un concetto moderno e in questo caso non va inteso come riferimento cartografico ma di “spostamento di direzione” verso il nord o verso il sud astronomico. In pratica, sebbene un trasferimento casuale sarebbe stato possibile non avrebbe potuto spiegare i movimenti trans insulari di quei popoli.
I viaggi dell’Hōkūle’a
Nel 1976 la Polynesian Voyaging Society, un’associazione nata per studiare e perpetuare la scienza nautica tradizionale dei Polinesiani, organizzò il primo viaggio di Hōkūle’a, una grande canoa che doveva ripercorrere le rotte degli antichi con le loro tecniche.
Per poter navigare con le antiche conoscenze, la Polynesian Voyaging Society trovò forse l’ultimo navigatore tradizionale in grado di poter guidare l’Hōkūle’a senza alcun strumento moderno. Il suo nome era Mau Piailug, un marinaio di una piccola isola della Micronesia chiamata Satawal. Mau accettò di recarsi alle Hawai’i e condurre la Hōkūle’a fino a Tahiti percorrendo il percorso inverso di quello effettuato da Cook.
Nel 1978, Hōkūle’a ritentò nuovamente il viaggio per Tahiti ma la grande canoa, pesantemente caricata, si capovolse a causa del mare in tempesta. Uno dei membri dell’equipaggio, Eddie Aikau, cercò invano di raggiungere la costa con una tavola da surf tradizionale per ottenere aiuto. Alla fine l’equipaggio fu salvato ma di lui non se ne seppe più nulla. Nel 1979, Mau tornò alle Hawai’i per addestrare un nuovo navigatore sulle conoscenze degli antichi, Nainoa Thompson che, nel 1980, fu in grado di replicare il viaggio di Mau del 1976, navigando anche da Tahiti alle Hawai’i.
Dopo questi viaggi, Hōkūle’a continuò a navigare sulla scia delle rotte degli antenati, compiendo un viaggio di due anni ad Aotearoa (1985-1987) ed un viaggio a Rapa Nui (1999), una delle isole più isolate sulla terra, nell’estremo sud-est del triangolo polinesiano. In ogni suo viaggio Hōkūle’a confermò come gli antenati fossero in grado di navigare attraverso l’oceano aperto, raggiungendo le isole dove volevano stabilirsi.
La navigazione degli antichi polinesiani
L’avventura del Hōkūle’a dimostrò l’efficacia di tecniche di navigazione degli antichi polinesiani, basate sulla posizione del sole e delle stelle per impostare la navigazione diurna e notturna, fornendo direzione e latitudine. Di particolare interesse apparì la tecnica della bussola stellare, un costrutto mentale e non tecnologico come la bussola occidentale.
Il processo sembra apparentemente semplice ma, in realtà, richiede una grande esperienza. Il navigatore polinesiano identificava le stelle quando si innalzavano dall’orizzonte e memorizzava la loro posizione per trovare la direzione. Il suo riferimento più importante era la costellazione della Croce del Sud che, come la stella polare ha una direzione fissa, indicando però il Sud geografico. La sua forma richiama un aquilone dove l’allineamento della stella superiore, Kaulia/Gacrux, e di quella inferiore, Ka Mole Honua/Acrux, mostra la direzione meridionale. Come per la stella polare nell’emisfero nord, anche la Croce del Sud si alza man mano che ci si avvicina al polo sud. Alla latitudine delle Hawaii, la distanza dalla stella superiore alla stella inferiore è la stessa distanza da quella stella inferiore all’orizzonte, ed è di circa 6 gradi. Questa configurazione si verifica solo alla latitudine delle Hawaii.
Inoltre, gli antichi navigatori conoscevano le direzioni dei treni d’onda e le usavano per navigare verso le isole; essi venivano a volte rappresentati con collane di cordicelle vegetali o bastoncini intrecciati. Il navigatore, sapendo che il vento genera le onde, analizzava la direzione delle onde deducendo a ritroso la rotta. Inoltre, le caratteristiche delle onde fornivano valutazioni sulla vicinanza della costa. Su alcune isole polinesiane, furono realizzati dei grafici con bastoncini intrecciati e conchiglie (rappresentanti le isole) per insegnare sia le posizioni degli atolli sia le correnti ed il moto ondoso.
La navigazione si affinava dopo il tramonto quando il navigatore osservava nuovamente la direzione delle onde e la riferiva al cielo stellato. Un metodo semplice e sicuramente non accurato ma che consentiva di navigare con delle direzioni sufficientemente costanti verso le isole.
Un altro aiuto per i navigatori polinesiani era la capacità di determinare, tramite l’incontro con alcune specie di uccelli, la vicinanza delle terre più vicine. Un’osservazione delle nuvole all’orizzonte al tramonto poteva aiutare a rivelare la presenza di nuove isole.
In sintesi, la sperimentazione del Hōkūle’a ridiede “dignità” alle capacità di navigazione di quei popoli del mare. Non si trattò quindi di scoperte più o meno casuali di isole con zattere alla deriva, come ipotizzato dagli esploratori del Kon Tiki, ma di navigazioni consapevoli, effettuate da esperti ed attenti marinai che per millenni attraversarono l’oceano Pacifico colonizzandolo. Conoscenze nautiche antiche che forse erano note anche in Occidente ma che si persero nel tempo.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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