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livello medio
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XX – XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Haldane, decompressione
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Le pietre angolari di Haldane
” Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è”, Galileo Galilei
Nel precedente articolo, Luca Cicali ci ha raccontato il cammino che portò Haldane ad elaborare le prime tabelle decompressive, che furono pubblicate assieme ai fondamenti della sua teoria nel 1908. Le tabelle di Haldane vennero quindi accettate universalmente e furono immediatamente applicate alle immersioni dalla UK Royal Navy e, nel 1912, anche dalla Marina Americana che le utilizzò per più di mezzo secolo. Vediamo oggi come questi primi fondamentali studi hanno portato agli algoritmi dei computer moderni.
Haldane’s paper documents the effects of inadequate decompression strategies in lists of injured and killed goats. Source: The Journal of Hygiene, Vol. 8, No. 3 (Jun., 1908), pp. 342-443.
Nonostante sia passato tanto tempo dalla pubblicazione delle prime tabelle di Haldane, buona parte delle basi teoriche con le quali fu realizzato il modello sono ancora valide nei moderni modelli decompressivi. Ricordiamo quindi brevemente i principi fondamentali fissati dal grande fisiologo scozzese:
a. l’organismo può essere schematizzato in gruppi di tessuti, o compartimenti, ognuno con il proprio semi-periodo (detto anche semiperiodo). La saturazione di un compartimento è considerata praticamente raggiunta dopo 5 semi-periodi;
b. ad una variazioni istantanea della pressione della miscela respirata, la tensione di inerte nei compartimenti varia con legge esponenziale sia in fase di saturazione che di desaturazione;
c. è stabilito un rapporto massimo di sicurezza (detto rapporto di Haldane), tra la massima pressione ambiente raggiunta e la pressione alla quale si può risalire senza avere incidenti. Tale rapporto è pari a 2 per tutti i compartimenti. Se non si eccede il rapporto di Haldane non si ha formazione di bolle nel sangue e nei tessuti;
d. la fase di risalita di una immersione va interrotta prima che la pressione ambiente si riduca più di quanto permetta il rapporto critico. La sosta deve durare per il tempo necessario a far diminuire la tensione del gas disciolto di quanto basta per permettere un ulteriore avvicinamento alla superficie senza violare il “rapporto di Haldane”, e così via sino alla superficie.
La strategia per evitare la MDD (malattia da decompressione) è quindi legata alla proprietà dei tessuti umani di tollerare un livello di tensione di inerte superiore alla pressione ambiente, entro il limite del rapporto critico.
Il subacqueo può quindi continuare a risalire in sicurezza finché non viola il rapporto critico neanche per un solo compartimento. Se riesce a raggiungere la superficie mantenendo questa condizione ha effettuato una immersione entro la cosiddetta “curva di sicurezza”, altrimenti dovrà osservare delle soste decompressive.
Robert Workman ed i valori “M”
Il lavoro di Robert Workman fu sviluppato dal 1956 nell’ambito del team di ricercatori dell’Unità Sperimentale Subacquea della Marina statunitense, (NEDU). Il rapporto di Haldane venne rimpiazzato da Workman con un parametro limite, detto valore “M”, per Maximum, dove M è il valore della massima tensione di inerte accettabile in un dato compartimento affinché non si sviluppi la malattia da decompressione.
M non è un valore costante ma dipende dal compartimento considerato e dalla profondità. Quindi durante una immersione, per essere in condizioni di sicurezza la tensione di inerte T in ciascun compartimento deve mantenersi sempre inferiore al valore M che corrisponde alla profondità alla quale ci si trova. M è pari alla somma di due addendi: il primo è un valore costante prefissato, M0, e il secondo è ottenuto moltiplicando un coefficiente, (chiamato ΔM), per la profondità, (d=depth).
Ciò vuol dire che a profondità maggiori, anche il limite M accettabile per la tensione è maggiore. Ogni compartimento ha i propri coefficienti M0 e ΔM.
Sono i valori M0 a delimitare la curva di sicurezza, in quanto stabiliscono il massimo livello accettabile di inerte in un compartimento per giungere alla superficie, (d=0). Il valore di ΔM fissa invece la velocità di variazione di M con la profondità. Valori elevati di ΔM, come nel caso dei tessuti veloci, comportano un più veloce aumento di M con la profondità, quindi una maggiore “permissività” di accumulo di inerte con la profondità, ovvero tappe decompressive meno profonde. Insomma, un compartimento risulta tanto più tollerante alla tensione di inerte accumulata, quanto più sono elevati i valori dei coefficienti M0 e ΔM, e questo è ciò che accade per i tessuti più veloci.
Workman utilizzò nove compartimenti, con tempi di emisaturazione che vanno da 5 a 240 minuti. Ciascuno dei compartimenti è quindi definito in base a tre parametri:
il semiperiodo T | M0, massima tensione che consente la risalita libera alla superficie |
ΔM, tasso di aumento di M con la profondità |
Se consideriamo un piano cartesiano che ha per asse orizzontale la tensione di inerte nei compartimenti, e per asse verticale la profondità, il valore M di ciascun compartimento può essere rappresentato da una retta, come mostrato in figura.
Rette dei valori M in funzione della profondità
Ogni retta-valore M inizia in un certo punto dell’asse orizzontale corrispondente al valore M0, e ha una certa inclinazione, come mostrato in figura, (il numero dopo la lettera “C” rappresenta il compartimento, “T” il suo semiperiodo). Possiamo notare che i compartimenti con semi periodo (T) maggiore (cioè i più lenti) hanno maggiore inclinazione ed un valore di M0 più spostato a sinistra.
Cosa vuol dire?
Semplicemente significa che i compartimenti più lenti sono meno tolleranti alla tensione di inerte sia per il ritorno diretto in superficie (tempo di “non decompressione” inferiore) che a qualunque altra profondità (richiedono tappe di decompressione più profonde).
Ciò è naturalmente compensato dal fatto che i tessuti più lenti richiedono molto più tempo per raggiungere elevati livelli di tensione di inerte disciolto. Proviamo ora a simulare un’immersione, ipotizzando per semplicità che esista solo un compartimento (nel nostro caso solo il n. 3), che ha un semi-periodo di 20 minuti ed un coefficiente M0 pari a 2,19.
Facciamo l’ipotesi che il profilo di immersione sia stato tale che, all’istante di decidere la risalita, la tensione di inerte nel compartimento 3 sia pari a 3,8 bar (è il computer subacqueo che stima questo dato). Ci possiamo quindi domandare se siamo dentro o fuori della curva. Poiché 3,8 è maggiore del valore M0 del compartimento 3, (pari a 2,19 bar), non è permesso il ritorno diretto alla superficie, quindi siamo fuori curva.
Quale è allora la profondità della prima tappa di decompressione necessaria?
Basta tracciare un segmento verticale che parte dal punto corrispondente a 3,8 bar sull’asse delle tensioni e va ad incontrare la retta obliqua del compartimento n. 3. A questo punto corrisponde sull’asse delle profondità il valore di 10,7 metri, e questa sarà la quota della prima tappa. Durante questa tappa e durante quelle eventualmente successive, sarà necessario attendere finché la tensione scenda al di sotto di 2,19 per poter finalmente essere in superficie.
Ma in realtà l’organismo non è fatto di un solo tessuto o compartimento scelto a caso
Quindi, nel caso reale, per capire se l’immersione è con o senza decompressione è un pò più complicato. Si tratta cioè di comparare la tensione massima raggiunta da ciascun compartimento, nello stesso istante, con le rispettive tensioni di soglia M0, verificare se sono state superate, e ripetere questi calcoli in continuazione durante l’immersione. Se questa condizione si verifica anche per un solo compartimento l’immersione richiederà la decompressione. Complicato per un uomo ma semplice per un computer che fa migliaia di calcoli al secondo. Ma per fare questo ci vogliono degli algoritmi.
Possiamo adesso domandarci: cosa hanno a che fare i valori di M con il rapporto di sovrasaturazione critica di Haldane?
Moltissimo, i valori M di Workman sono i rapporti di sovrasaturazione di Haldane “modificati”, al punto che possiamo tracciare sul nostro piano una retta, che chiamiamo retta di Haldane, che rappresenta proprio il rapporto di Haldane espresso sotto forma di valore M, per il quale M0 vale 1,58 e ΔM 0,258.
E’ come se Haldane avesse stabilito per tutti i compartimenti un valore M0 pari a 1,58 bar, lo stesso valore M0 che Workman assegna al compartimento “lento” n.6, con semi-periodo di 120 minuti. In pratica, la vera novità di Workmann e del limite M fu una maggiore conservatività generale e l’adozione di criteri di massima sovra-saturazione di inerte specifici di ogni compartimento. Ma non finisce qui … vedremo nel prossimo articolo come il professor Bühlmann fece ulteriormente evolvere il lavoro di Workman per acquisire una maggiore sicurezza (con delle tabelle più conservative) anche per le immersioni in quota (altura).
fine parte I – continua
Luca Cicali
Per approfondire l’argomento si consiglia di leggere il libro di Luca Cicali “Oltre la curva”
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