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Sicurezza marittima: Quali sono le aree geografiche più sensibili? – parte I

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO:  GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO

AREA: MONDO
parole chiave: petrolio, emergenze ambientali

Petrolio, oro nero,  materia fossile non rinnovabile. Quante volte abbiamo sentito parlare nel bene e nel male di questa fonte energetica. Il termine petrolio deriva dal latino e significa semplicemente “olio di pietra”. Conosciuto sin dall’antichità, viene oggi estratto per lo più da giacimenti che si trovano negli strati superiori della crosta terrestre. Essendo un idrocarburo composto da idrogeno e carbonio e da altre sostanze che vengono definite impurità (come lo zolfo) si presta alla sua trasformazione, attraverso un processo di raffinazione, in altri combustibili come ad esempio le benzina, il gasolio, il cherosene e altri derivati.

Da decenni, nel bene e nel male, se ne prevede il suo esaurimento ma, di fatto, si continuano a scoprire giacimenti che ne fanno stimare un impiego per almeno altri cinquant’anni. Attualmente i maggiori Paesi del mondo produttori di petrolio sono Russia, Arabia Saudita ed Emirati, Stati Uniti, Iraq, Cina, Canada e Iran. Una volta estratto viene raffinato ed impiegato per uso interno o venduto allo stato greggio ad altri Paesi dove, a seconda della sua composizione chimica e della domanda, le raffinerie locali possono produrre diversi derivati. Non solo quindi carburanti ma anche sostanze chimiche necessarie per la realizzazione delle materie plastiche.

 

In pratica, allo stato attuale, non potremmo farne a meno, almeno fino a quando non riusciremo a sostituire le risorse necessarie per i fabbisogni energetici con materiali non fossili e meno inquinanti, sfruttando energie rinnovabili e più pulite a favore dell’ambiente. 

Tutti contenti? Non proprio. Chi ha grandi risorse fossili potrebbe non avere interesse a perdere la superiorità strategica derivante dal loro possesso. Non a caso, per la sua importanza, il petrolio è ancora causa di contenziosi internazionali che negli ultimi anni sono sfociati in gravi crisi e guerre. Oggi voglio parlarvi di quanto il suo trasporto possa influenzare la sicurezza politica ed economica in determinate aree geografiche.

Per mare
Il trasferimento del petrolio greggio avviene principalmente via mare attraverso rotte commerciali consolidate, vere e proprie autostrade del mare, solcate da impressionanti giganti del mare. Queste petroliere, che possono raggiungere dimensioni anche importanti, attraversano aree strategiche spesso interessate da instabilità politica dove ai pericoli naturali si sommano quelli derivanti da attività criminali quali la pirateria ed il terrorismo. I mercantili, nel loro cammino, debbono passare attraverso stretti marittimi, chiamati convenzionalmente chokepoint, in cui il rischio associato alla loro navigazione aumenta sensibilmente.

Non mi riferisco, ovviamente, ai pericoli legati ad una cattiva navigazione in acque cosiddette ristrette ma a quelli derivanti da azioni belliche o terroristiche intese a limitare o bloccare queste vie d’acqua.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è GEOPOLITICA-PETROLIO-FLUSSI-CHOKE-POINTS-Volume_of_crude_oil_and_petroleum_products_transported_through_world_transit_chokepoints__2016_36176590831.png

Per volume di transito di petrolio, lo Stretto di Hormuz (che esce dal Golfo Persico verso il Mediterraneo o verso l’oceano Indiano) e lo Stretto di Malacca (che collega l’Oceano Indiano ed il Pacifico) sono di fatto i punti strategici più importanti del mondo di oggi – Fonte https://www.flickr.com/photos/eiagov/36176590831/ – autore U.S. Energy Information Administration (EIA)Volume of crude oil and petroleum products transported through world transit chokepoints ( 2016) (36176590831).png – Wikimedia Commons

Attraverso gli stretti
Oggi parliamo di tre chokepoint che, come vedremo, sono stati al centro delle cronache in questi ultimi 70 anni. Iniziamo il nostro viaggio virtuale partendo dal Golfo Arabico (o Persico) attraverso lo stretto di Hormuz, il braccio di mare attualmente di maggiore importanza strategica per le economie di tutto il mondo. Molti di voi ricorderanno le immagini che lo resero  tristemente famoso durante la guerra delle petroliere negli anni ’80.  Questa guerra fu la logica conseguenza del sanguinoso conflitto tra Iran e Iraq in cui centinaia di migliaia di persone persero la vita. Nel settore marittimo, nei primi quattro anni di guerra, ci furono numerosi attacchi da entrambe le parti alle navi mercantili ed alle petroliere che attraversavano lo Stretto di Hormuz. L’escalation si ebbe nel 1984, quando gli attacchi alle petroliere aumentarono nel tentativo di interrompere le esportazioni di petrolio e costringere l’antagonista al tavolo dei negoziati. A queste azioni, l’Iran rispose attaccando le navi cisterna che trasportavano il petrolio dal Kuwait e dall’Arabia Saudita con la sua milizia più fedele, i pasdaran. Un evento decisivo avvenne il 21 settembre 1987, quando un elicottero della fregata U.S.S. Jarrett, un’unità coinvolta nella operazione segreta Prime Chance, sorvegliando la nave posamine iraniana Iran Ajr scopri che gli Iraniani stavano posando occultamente delle mine navali nei pressi di Hormuz. Quando l’elicottero riportò che erano in corso delle operazioni di minamento da bordo dell’Iran Ajr, fu ordinato dal Pentagono lo “stop the mining“. Fu un ordine perentorio e gli elicotteri aprirono il fuoco sulla nave iraniana uccidendo anche alcuni marinai. Un squadra di Navy SEAL abbordò la nave e confermò la presenza delle mine ad urtanti. La nave fu catturata e pochi giorni dopo, il 26 settembre, un team di disattivatori ordigni della Marina statunitense (EOD MU 5) affondò la nave in acque internazionali.

Di fatto l’evento della Iran Arj fu il primo tentativo di bloccare il traffico internazionale attraverso le rotte commerciali di instradamento dello stretto di Hormuz. La domanda che ci possiamo porre è perché, se questo stretto è cosi importante, non ci siano stati in seguito altri tentativi coercitivi di bloccarlo? Il perchè è legato dalla consapevolezza che un’azione determinata provocherebbe una reazione ben oltre una risposta episodica. Nel prossimo articolo vedremo come i tre choke point hanno registrato nel tempo attacchi terroristici di diverso tipo ai quali la comunità internazionale seppe rispondere con determinazione.

in anteprima – mare BéjaÏa – Algeria – autore foto  TedjcomFile:A sea of oil.jpg – Wikimedia Commons

 

 

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