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Ipercapnia: insidia dell’immersione profonda – parte I

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: FISIOLOGIA SUBACQUEA
parole chiave: ipercapnia
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Chiunque abbia frequentato corsi per immersioni profonde o con decompressione ha di certo approfondito il tema dei rischi connessi con la respirazione di azoto e ossigeno iperbarici.
Questi due gas sono infatti i costituenti principali sia dell’aria che delle miscele Nitrox; durante una immersione a profondità impegnative essi raggiungono una pressione parziale che può avvicinarsi ai livelli di guardia, da tenere quindi sotto controllo. Il rischio legato all’ossigeno è la sua tossicità sul sistema nervoso centrale (che può portare ad un attacco convulsivo) mentre il problema legato all’azoto è la ben nota sindrome narcotica da aria compressa.

L’ossigeno, come è noto, va mantenuto prudenzialmente entro la pressione parziale di 1,4 bar, mentre l’azoto inizia a dare sintomi di narcosi, in soggetti sensibili, ad una pressione parziale oltre i 3 bar. Potremmo quindi pensare che tenere a bada questi due gas sia sufficiente a gestire una immersione profonda in sicurezza.

Ma c’è un terzo incomodo
Presente nell’aria, in percentuali veramente minime rispetto agli altri due gas, esiste un gas che costituisce una minaccia subdola e silenziosa: l’anidride carbonica o, più correttamente, diossido di carbonio (CO₂). Molti ritengono, a torto, che il diossido di carbonio non costituisca un pericolo proprio perché presente nell’aria soltanto in percentuale minima. In realtà esso è un prodotto tossico della respirazione cellulare, ovvero del processo che permette di ottenere energia dall’ossidazione degli zuccheri o dei grassi. Per essere eliminato, il diossido di carbonio (CO₂) , dopo essere stato generato nei tessuti, si riversa nel sangue venoso e da questo viene portato ai polmoni per essere espulso.

Proprio questo è il compito fondamentale della espirazione, la cui importanza è spesso sottovalutata: eliminare efficacemente la CO₂ prodotta. Se l’espirazione non avviene in modo efficiente, il tasso di anidride carbonica nel sangue tende a stabilizzarsi su livelli più alti del normale, dando luogo ad ipercapnia, il cui effetto più comune è la sensazione di fame d’aria e l’aumento del ritmo respiratorio. Normalmente tale aumento della ventilazione aiuta a riportare la CO₂ nel sangue alla normale concentrazione, ma quando si è in immersione l’efficienza di questo processo è sensibilmente alterata a causa di vari fattori fisici e fisiologici, tanto da risultarne ridotta. L’ipercapnia diviene quindi un pericolo latente delle immersioni profonde o caratterizzate da fasi di affaticamento intenso e prolungato.

slide estratta da REGULATION OF RESPIRATION (slideshare.net)

Essa comporta una situazione di rischio elevato per un duplice motivo. In primo luogo l’ipercapnia è un pericolo di per se, una vera e propria intossicazione che indice una se-rie di propri sintomi ed effetti fisiologici che possono arrivare ad essere gravi o gravissimi. In secondo luogo l’eccesso di CO₂ rende più critici gli effetti e le conseguenze sia della tossicità dell’ossigeno che della narcosi da azoto, entrambe sempre in agguato in immersioni profonde e impegnative. Per evitare l’ipercapnia si agisce in due modi: limitando la produzione stessa di anidride carbonica, e assicurando che essa sia eliminata con la massima efficienza possibile.

Per limitare la produzione di CO₂ è necessario controllare l’attività muscolare, principalmente evitando lavoro pesante e sforzi eccessivi o prolungati. Essi talvolta non possono essere evitati, ad esempio quando ci si trova a dover fronteggiare una corrente inaspettata, ma bisogna escludere già in fase di pianificazione dell’immersione i lunghi trasferimenti, ambienti con forti correnti, mare mosso, e fare attenzione alla disposizione dell’attrezzatura in modo che offra la minima resistenza all’avanzamento, etc.

Per assicurare invece una efficiente eliminazione delle CO₂ prodotta, occorre effettuare una respirazione regolare e profonda, curando soprattutto la fase di espirazione, e disporre di secondi stadi di erogazione che abbiano prestazioni ottime, non quelle sbandierate con facile entusiasmo a seguito del proprio ultimo acquisto, ma quelle certificate dalle case costruttrici, verificabili valutando i risultati dei test e le caratteristiche tecniche dell’erogatore. Per immersioni a bassa profondità l’ipercapnia è più facile da mantenere a distanza, in quanto vengono meno alcuni fattori che a profondità maggiori contribuiscono in modo determinante all’accumulo di CO₂, in particolare l’aumento dello sforzo inspiratorio ed espiratorio legati all’alta viscosità dell’aria ad alta pressione.

A molti sarà capitato di dover compiere uno sforzo straordinario e prolungato a profondità medio alte: tipicamente fronteggiare una corrente intensa. E’ facile che ciò sfoci ben presto nella sensazione sgradevolissima, malgrado il ritmo respiratorio sia accelerato, che il flusso di gas fornito dall’erogatore sia insufficiente. Può persino sembrare che ci sia un guasto, un impedimento che non consente un adeguato passaggio di gas, come una frusta malamente ripiegata o un erogatore difettoso, e ciò malgrado la lancetta del manometro scenda velocemente per i consumi più elevati, dimostrando indirettamente che il flusso di gas è più che sostenuto. E sovente, anziché cercare di rallentare il ritmo respiratorio e di espirare in modo più profondo, si cerca un istintivo sollievo dalla dispnea respirando e nuotando convulsamente, in un giro vizioso che non fa che aumentare il rischio dell’ipercapnia. Si può arrivare a dover dominare l’istinto di risalire a gran velocità o addirittura di togliere di bocca l’erogatore per prendere una sufficiente boccata … d’acqua.

Ma possiamo trovarci in situazione di ipercapnia senza affatto rendercene conto. I sintomi dell’eccesso di anidride carbonica possono essere del tutto assenti, o in alcuni casi essere confusi con quelli della narcosi. Quando sono avvertibili, ecco quali sono quelli che si presentano con maggior frequenza, in ordine di severità:

 aumento della frequenza respiratoria e cardiaca
 fame d’aria (dispnea)
 cefalea , anche dopo l’immersione, spesso unico sintomo riportato
 copiosa sudorazione
 confusione mentale, azioni insensate
 vertigini e nausea
 convulsioni, perdita di coscienza

Come le altre sindromi descritte, l’ipercapnia ha una azione concomitante con quella degli altri gas compressi, e risulta sempre complicato discriminare con precisione i sintomi ed effetti dell’una rispetto alle altre.

Per capire meglio le cause e gli effetti dell’eccesso di CO₂, occorre prima di tutto dare un’occhiata a come viene regolata la respirazione in condizioni normobariche, ovvero respirando normalmente fuori dall’acqua, nella vita di tuti i giorni. Scopriremo un sofisticato sistema di controllo attivo che regola il ritmo e la profondità del respiro in base al tasso di anidride carbonica ed ossigeno nel sangue, che vengono costantemente rilevati. Successivamente potremo valutare quali alterazioni al meccanismo della respirazione sopraggiungono durante una immersione impegnativa, quando ci troviamo immersi in un ambiente a pressione notevolmente maggiore di quella atmosferica, indossando una muta aderente, con bassa temperatura esterna, un maggiore sforzo muscolare e soprattutto con un erogatore frapposto tra l’ambiente esterno e le vie aeree. Vedremo come e perché queste caratteristiche ambientali possano dar luogo ad una alterazione dell’efficienza respiratoria che può portare, a volte anche senza sintomi premonitori, ad una situazione di ipercapnia. Tutto questo sarà argomento del prossimo articolo, se avrete la pazienza e la buona volontà di seguirmi ancora. A presto!

Luca Cicali

 

 

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