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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: marina militare, operazioni di cacciamine, Kossovo
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Tutto ebbe inizio la mattina del 13 maggio 1999, con tre unità della 54 Squadriglia alla fonda davanti all’isola di Tavolara, Sardegna, in una splendida e calda giornata di sole, con mare calmo ed una leggera brezza marina da nord.
isola di Tavolara – photo credit andrea mucedola
La storia che racconto oggi è quella di un evento recente che può essere considerato il più importante, in ordine di magnitudine, dopo la grande bonifica dei porti italiani al termine della seconda guerra mondiale. Fu un evento importante perché rappresentò l’anno della svolta per le forze di contromisure mine italiane che si proiettarono in una dimensione operativa totalmente nuova alle soglie del 3 millennio. Racconterò la bonifica nel Mar Adriatico delle bombe, rilasciate in emergenza in acque internazionali, dagli aerei della NATO in ritorno dalle missioni nei Balcani durante il conflitto del Kosovo; un evento che all’epoca causò, dal punto di vista mediatico e politico, non pochi imbarazzi e speculazioni.
Non toccherò più di tanto questi aspetti ma mi soffermerò su quelli tecnici e di impiego delle Forze di CMM italiane e, successivamente, anche della NATO, in una missione decisamente atipica. Avendo vissuto questa missione in prima persona cercherò di riassumere l’operazione, denominata Profeta, che vide coinvolti oltre mille uomini in un’attività rischiosa per oltre 60 giorni.
crest 54^ squadriglia anno 1999 – photo credit andrea mucedola
Tutto iniziò in una giornata di sole
In qualità di Comandante della 54 Squadriglia cacciamine (COMSQUADRAG 54) mi trovavo con tre delle otto unità cacciamine a me assegnate alla fonda dopo appena terminato un’impegnativa settimana di esercitazione multinazionale alla quale avevano partecipato anche unità francesi, spagnole e statunitensi, ed eravamo in attesa di trasferirci a Cagliari per una attività di routine addestrativa con le unità maggiori della squadra.
Viste le favorevoli condizioni meteorologiche ordinai un’esercitazione di ricerca speditiva di ordigni, impiegando tutti i team subacquei disponibili a rotazione. Invece di attendere a bordo il loro ritorno, decisi di seguire gli operatori in immersione.
Come avevo appreso dai miei comandanti precedenti non c’è fattore più motivante che un comandante che “si sporca le mani” condividendo con i suoi uomini fatiche e dolori. Sebbene l’attività fosse tutto sommato piacevole, venivamo tutti da una settimana piena che ci aveva impegnato giorno e notte, ma lo spirito di corpo degli equipaggi di contromisure mine, come quello di tutte le componenti speciali e specialistiche della Marina Militare, faceva dimenticare tutte le fatiche. Dopo una mezzora, fui chiamato via radio dal comandante di nave Alghero, il tenente di vascello Mattesi, che mi informò di un messaggio urgentissimo da parte del nostro Comando operativo.
unità della 54^ squadriglia in formazione, 1999, foto MMI
Raggiunsi la radio e mi fu ordinato di dirigere immediatamente con le tre navi a Messina e sbarcare al volo con il mio staff, facendo rientro immediatamente a La Spezia in aereo. L’ordine ricevuto era quanto meno bizzarro in quanto difficilmente al Comandante di una Squadriglia viene ordinato di lasciare le sue navi stando in mare. Ci trasferimmo alla massima velocità, arrivando a mezzanotte a Messina. Come disposto firmai l’ordine per le tre navi di raggiungere l’Adriatico in attesa di ordini successivi e lascia , sebbene a malincuore le tre unità.
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Come premesso, eravamo nella primavera del 1999, in piena situazione di crisi nel Kosovo. Le Forze Armate italiane erano pienamente coinvolte sul terreno, ed un importante componente di altura, composta da fregate e rifornitrici, pattugliava l’Adriatico. Immaginai che quell’ordine fosse legato alla scorta in acque ristrette delle nostre unità maggiori, un compito delicato nel quale i cacciamine avrebbero dovuto guidare con altissima precisione le sorelle maggiori fra le isole di quella che era un tempo stata la Jugoslavia. Ciononostante, l’ordine ricevuto di sbarcare in piena notte, non era un procedura usuale ed il mistero si infittiva. Con il primo volo del mattino imbarcai con il mio staff per raggiungere l’aeroporto di Pisa dove ci attendeva un mezzo per tornare a La Spezia. All’arrivo mi recai nell’ufficio del MARICODRAG, ovvero del comandante delle Forze di Contro Misure Mine, il capitano di vascello Mauro Fedel. Ufficiale specialista CMM di grande esperienza, che mi ordinò, in maniera laconica, di raggiungere immediatamente la sede della Squadra Navale a Roma e presentarmi al Comandante in Capo della Squadra Navale per assumere la direzione della Cellula di Guerra di contro misure mine (mai attivata dopo la seconda guerra mondiale); altri dettagli mi sarebbero stati forniti in seguito. La situazione era senza ombra di dubbio misteriosa per cui compresi che sarebbe stato inutile insistere. Nel tardo pomeriggio arrivai a Roma e mi presentai dal Sottocapo alle Operazioni della Squadra Navale, l’ammiraglio Maurizio Gemignani, che mi portò finalmente al corrente della situazione. Un peschereccio italiano, il Profeta, pescando in acque internazionali, aveva raccolto nella rete delle sub munizioni presumibilmente appartenenti a delle bombe di aereo della NATO. La situazione era politicamente piuttosto delicata, riguardando una “minaccia” che era scaturita da un’azione di mezzi della NATO, seppur legittima ed approvata dall’allora Governo D’Alema. C’era quindi la necessità di bonificare degli ordigni di quantità e tipologia sconosciuta, in un’area circoscritta dell’Adriatico posta in acque internazionali, dove però i nostri pescherecci erano usi pescare a strascico; tutto questo per ridurre il rischio per le attività pescherecce locali.
Un brutto incidente
Venni quindi a conoscenza degli eventi dei giorni precedenti. Il giorno 10 maggio un peschereccio di Chioggia, il Profeta, mentre era intento a pescare in acque internazionali, aveva raccolto nel sacco della sua rete uno strano oggetto metallico cilindrico. In fase di recupero, il cilindretto era “esploso”, ferendo in maniera grave alcuni membri dell’equipaggio e facendo anche danni alla fiancata del peschereccio. Il peschereccio, uno dei più grandi della marineria di Chioggia, si trovava a circa quaranta chilometri dalla costa, in un’area fangosa frequentata da pescherecci di tutte le nazionalità. A bordo del peschereccio oltre al comandante, Gimmy Zennaro, si trovavano i marinai Gino Ballarin, Vanni Bellemo, Roberto Nordio e Johnny Lombardo. L’eco dell’esplosione era stata sentita dagli altri pescherecci in zona che probabilmente avevano dato l’allarme. In un primo momento si ipotizzò fosse stata causata dall’esplosione accidentale di uno dei tanti ordigni bellici della I e II guerra mondiale, accidentalmente raccolto nelle reti, la cui presenza in zona era nota e ben segnalata nelle carte nautiche dell’Istituto Idrografico della Marina. Dopo un primo intervento degli artificieri dell’Esercito, intervenuti al rientro del peschereccio a Chioggia, emerse il sospetto che si trattasse invece di un ordigno a frammentazione decisamente più moderno.
Non avendo alcuna foto dell’ordigno ma solo una sommaria descrizione ed alcune testimonianze di altri pescatori, deducemmo che potesse trattarsi di una cluster bomb, un tipo di sub-munizionamento contenuto all’interno di alcune bombe di aereo alleate, le CBU 87, che allora venivano impiegate da alcuni paesi NATO nelle operazioni di bombardamento in Kosovo.
funzionamento del sistema CBU – credit Textron
Questo tipo di bombe, allora consentite, erano in dotazione di molte aeronautiche, e venivano impiegate per demolire infrastrutture aeroportuali e bunker per mezzo di quelle sub-munizioni che, rilasciate in aria, si disperdono nell’area atterrando, frenate da un paracadute, nei pressi dei bersagli esplodendo o incendiandoli. Nessuno, fino ad allora, si era mai posto la domanda di come bonificare in mare le cluster bomb; un evento nuovo che poneva due problemi: la loro indubbia pericolosità e la difficoltà di scoprirle al sonar in quanto di dimensioni molto piccole. Con molti dubbi mi presentai nell’Ufficio dell’ammiraglio Paolo Giardini, Comandante della Squadra Navale italiana, che mi accolse con grande cordialità.
a destra, l’ammiraglio di Squadra Paolo Giardini, al momento del suo congedo, con il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
L’ammiraglio di Squadra Giardini era noto per il suo estremo pragmatismo e mi fece subito una domanda: “Di che cosa ha bisogno per effettuare questa operazione?” Non nascondo che fosse una domanda da un milione di euro. Si trattava di minaccia nuova, sconosciuta ai nostri EOD, mai affrontata con i cacciamine o con i sommozzatori dello SDAI (ovvero del Servizio/Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi) con cui spesso lavoravamo in sinergia. L’emergenza richiedeva di operare con decisione e rapidità ma anche con ponderatezza per ridurre i rischi per il personale ed i mezzi. Risposi con franchezza che come esperto di settore avevo bisogno di maggiori informazioni sulla minaccia, incominciando da subito a predisporre l’organizzazione dell’operazione. Il mio pensiero andò subito i miei tre comandanti in mare con i quai avrei preferito condividere le difficoltà della missione, ma non c’era tempo da perdere.
Nello stesso giorno fu attivata la cellula di guerra composta, oltre che dal sottoscritto, da un ufficiale di mia estrema fiducia, l’allora capitano di corvetta Piegaja, e l’eccellente capo segnalatore Cirillo. Immediatamente ci coordinammo con le unità in mare, assegnandogli compiti esplorativi centrati sulla posizione geografica dell’incidente, un area circolare di pericolo di circa cinque miglia di raggio. Avremmo poi allargato l’area di ricerca, che si presentava piuttosto vasta, in funzione delle necessità. Ora bisognava incominciare a raccogliere e filtrare le informazioni provenienti dai comandi NATO per poter pianificare in maniera ottimale l’intervento. Il Comando NATO delle Forze aeree di Aviano ci fornì una prima lista delle bombe rilasciate in emergenza dagli aerei alleati nelle differenti jettison area locate in Adriatico in acque internazionali. Queste aree circolari, previste dal diritto internazionale, vengono impiegate per scaricare gli ordigni che, per qualche motivo, non sono stati lanciati sui loro obiettivi, per consentire il successivo atterraggio nelle basi operative. Le Jettison area, usate anche dagli aerei civili per scaricare il carburante in emergenza, erano state stabilite lungo la mezzeria del mare Adriatico, dalle foci del Po fino a Santa Maria di Leuca.
l’allora Sotto Segretario alla Difesa Gianni Rivera
Nel frattempo si scatenò una aggressione mediatica tra coloro che desideravano utilizzare l’incidente per fini politici ed il Governo. Vi fu anche un’interrogazione parlamentare alla quale rispose prontamente l’allora Sotto Segretario alla Difesa Gianni Rivera. Tra i documenti ufficiali di quel tormentato e confuso periodo voglio riportare alcuni punti della risposta data dal Sottosegretario nella Assemblea della Seduta n. 543 del 27/5/1999 in merito agli Ordigni sganciati nel mare Adriatico da aerei della NATO:
– Sin dall’avvio delle operazioni militari nei Balcani erano state individuate sei aree circolari in acque internazionali per consentire lo sgancio in sicurezza dei carichi esterni dei velivoli che si venissero a trovare in condizioni di emergenza, le cosiddette jettison areas.
– Gli ordigni rilasciati in mare sono inerti e non rappresentano in generale un pericolo, anche se non si può escludere in assoluto il rischio di un’attivazione per cause connesse a rimozioni o manipolazioni accidentali, come è purtroppo accaduto il 10 maggio scorso.
– Le autorità nazionali NON erano a conoscenza di informazioni specifiche su avvenuti sganci di ordigni esplosivi che richiedessero l’emanazione di avvisi preventivi di pericolosità alla navigazione. Detti avvisi sono stati emessi, invece, successivamente al ritrovamento di ordigni nella zona di mare dell’area del golfo di Venezia il 10 maggio scorso.
BNS Godetia nave comando della SNMCMG1, una delle due forze navali NATO cooperanti durante l’operazione PROFETA sotto egida dell’operazione NATO HARVEST – autore Jin Scott – da https://www.jimscott.co.uk/Ships/Warships/
– si è provveduto ad acquisire presso i comandi NATO informazioni aggiornate sulle jettison areas nel corso del tempo; a diffondere a tutti gli enti competenti interessati, ed in particolare ai comandi militari marittimi e alle capitanerie di porto dell’Adriatico, le informazioni relative alle aree di sgancio; ad acquisire presso i comandi alleati competenti le informazioni specifiche relative agli ordigni sganciati nell’ambito delle operazioni aeree sui Balcani.
– gli ordigni rilasciati sono stati neutralizzati prima dello sgancio e risultano composti da materiali ed esplosivi di tipo convenzionale che non dovrebbe configurare problemi specifici di tossicità ambientale.
– Il loro numero rappresenta meno dell’1% rispetto agli ordigni utilizzati dai velivoli nel corso della campagna aerea. Il dettaglio delle posizioni di sgancio è stato reso noto dalle autorità alleate e, attraverso i comandi militari marittimi dell’alto Adriatico, del basso Adriatico e dello Ionio e le dipendenti capitanerie di porto, sono stati emessi gli avvisi ai naviganti di pericolosità delle zone interessate.
– Detti avvisi, essendo relativi a zone di mare poste in acque internazionali, hanno funzione di informativa e di allarme ma non valore di obbligatorietà per gli operatori marittimi; è stato disposto l’invio di 5 unità cacciamine della marina militare per esplorare la zona di mare di ritrovamento degli ordigni e di quelle interessate allo sgancio, sulla base delle informazioni fornite dalle autorità militari NATO ed in relazione ai fondali che possono costituire pericolo alle attività marittime.
– I cacciamine stanno operando nell’area del golfo di Venezia già dal 17 maggio, con buoni risultati, essendo già stati localizzati ed identificati 8 ordigni nella zona dell’incidente del moto pesca Profeta dove, come ho già detto, risultano rilasciate 17 bombe;
– E’ stato richiesto alle competenti autorità della NATO di inviare una task Force dell’alleanza costituita da unità cacciamine che si affiancheranno alle unità della marina militare già operanti in Adriatico per le operazioni di bonifica. Tale forza è previsto che arrivi in Adriatico entro la prima settimana di giugno.
– Gli oneri finanziari derivanti dall’impiego di queste forze navali sono a carico dei paesi che forniscono le navi e comunque essi sarebbero stati sostenuti, ancorché in zone di mare diverse e/o per altre finalità, poiché i mezzi navali, come quelli aerei, comportano oneri per il fatto stesso di essere operativi. Inoltre, per quanto concerne l’Italia, la presenza di nostre navi, oltre che doverosa nell’interesse del paese per la sicurezza delle attività marittime in Adriatico, è anche indispensabile per la conoscenza che ha la nostra marina militare delle aree interessate all’attività.
– Per quanto concerne l’impatto sulle attività economiche della zona, il Governo ha avviato immediatamente incontri con le autorità politiche e le amministrazioni locali.
Reazioni della stampa
Naturalmente lo scontro con le opposizioni fu violentissimo; i giornali si suddivisero tra quelli che volevano sfruttare l’evento per attaccare la politica della NATO e quella del Governo ed altri che legittimavano le decisioni del Governo.
La cattiva informazione, oggi potremmo chiamarla l’insieme delle fake news, regnò sovrana. Niente di nuovo ma nel mezzo, come spesso accade, vi erano oltre 1.000 militari che si apprestavano ad iniziare una complessa bonifica che li avrebbe impegnati per quasi due mesi; per alcuni anche a rischio della propria incolumità. Nel prossimo articolo descriverò l’operazione a onore di coloro che rischiarono la loro vita in mare in quei caldi giorni d’Estate.
fine I parte – continua
Andrea Mucedola
se non diversamente citato – immagini di proprietà dell’autore
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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