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Traditi dall’ossigeno?

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: FISIOLOGIA
AREA: DIDATTICA
parole chiave: miscele
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L’ossigeno è il gas essenziale per tutte le forme di vita. E’ l’elemento più abbondante nella crosta terrestre, occupa un quinto del volume totale dell’atmosfera ed è fondamentale nei processi respiratori della maggior parte delle cellule viventi e nei processi di combustione, ovvero in quelle reazioni che, proprio grazie all’ossigeno, generano energia per i processi vitali a partire dal glucosio.

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Nell’aria l’ossigeno è presente in percentuale del 21%, per cui per essere precisi respiriamo aria con una pressione parziale di ossigeno pari a 0,21 bar. Proprio perché l’ossigeno è l’elemento essenziale per la vita, la sua pressione parziale nella miscela respirata deve mantenersi all’interno di un determinato intervallo, per cui  esistono soglie critiche minime e massime  da rispettare.  

Mentre una carenza di ossigeno, detta ipossia, può essere direttamente mortale, l’eccesso di ossigeno, detto iperossia, può causare danni ai polmoni e alterare gravemente il funzionamento del sistema nervoso centrale. La determinazione delle soglie critiche di iperossia è stata fonte nel passato di lunghe controversie,  e talvolta lo è tutt’ora, tuttavia il limite di sicurezza ormai riconosciuto in immersione è compreso nella fascia 1,4 – 1,6  bar per la tossicità sul sistema nervoso centrale, SNC (CNS).  Per non eccedere il limite di 1,4 bar, dobbiamo naturalmente limitare la profondità massima. Ricorrendo alla legge di Dalton, la profondità alla quale, respirando aria, la pressione parziale di ossigeno arriva al valore di 1,4 bar, è pari a circa 56 metri.

Ma come è possibile che l’ossigeno, il gas vitale, ci tradisca così subdolamente e diventi un pericolo se respirato a pressione parziale troppo elevata? 

Una lunga esposizione a pressioni superiori ai valori normali può aumentare la pressione parziale a livello del sangue chiamata IPEROSSIEMIA ed a livello dei tessuti chiamata IPEROSSIA. In tale condizione i tessuti contengono O2 in quantità superiori, di conseguenza i meccanismi fisiologici di autoregolazione tendono a diminuire l’introduzione di O2 e la sua utilizzazione.

Il fatto è che la respirazione di ossigeno a pressione parziale superiore a 0,5 bar, altera il metabolismo cellulare. E’ l’organismo stesso che reagisce all’eccesso di ossigeno per limitarne gli effetti. La difesa avviene su più fronti: in primo luogo vasocostrizione, soprattutto  cerebrale, per limitare l’afflusso al cervello di sangue iperossigenato. Ma allo stesso tempo c’è una riduzione della ventilazione polmonare e frequenza cardiaca. Malgrado le difese messe in campo, se l’eccesso di ossigeno raggiunge livelli particolarmente alti e perdura per un tempo eccessivo, può dar luogo a due effetti patologici, entrambi legati proprio all’intensità e durata dell’esposizione. 

Effetti
La prima patologia è la tossicità cronica (o polmonare) dell’ossigeno, detta anche sindrome di Lorraine-Smith.  Si tratta di una sorta di congestione, infiammazione ed edema polmonare, che può anche comportare la dilatazione delle pareti alveolari e una diminuzione del volume massimo di aria che si può espirare a seguito di una inspirazione forzata.  I sintomi sono la tosse secca, dolore retrosternale, difficoltà a prendere respiri profondi, bruciore ai polmoni, respiro corto e affanno.   La sindrome dipende sia dal livello di pressione parziale di ossigeno respirato che dalla durata dell’esposizione. Va detto subito che questo rischio, per immersioni di ambito ricreativo sportivo, è pressoché inesistente.   Occorrono infatti tempi molto lunghi di esposizione ripetuti per più giorni consecutivi perché il problema si manifesti.

Ben più insidiosa è invece la cosiddetta tossicità dell’ossigeno sul sistema nervoso centrale, o sindrome di Paul Bert, che costituisce un serio pericolo. Essa può infatti sfociare improvvisamente in una crisi convulsiva dovuta a complessi fenomeni patologici, tutti riconducibili all’eccessiva pressione parziale di ossigeno della miscela respirata, al tempo di esposizione, e al carico di lavoro che si sta sostenendo. La tossicità dell’ossigeno sul sistema nervoso centrale, (acronimo inglese CNS per central nervous system), fu riconosciuta per la prima volta nel 1878 da Paul Bert, che descrisse gli attacchi convulsivi di alcune allodole utilizzate come cavie, alle quali era stata fatta respirare aria ad una pressione molto elevata.

La sindrome è causata da un insieme di alterazioni di natura biochimica dovute direttamente o indirettamente alla respirazione di ossigeno ad elevata pressione parziale, che causano modificazioni nel funzionamento dell’encefalo e del sistema nervoso in generale. Il rischio più rilevante è l’improvvisa insorgenza di attacchi convulsivi, che si manifestano con contrazioni della durata di alcuni minuti, che possono portare ad una perdita di coscienza. Di per se le conseguenze non sono particolarmente gravi ne irreversibili, tuttavia una crisi di questo tipo che coglie un subacqueo in immersione genera una emergenza molto severa.  Infatti la fase convulsiva sopraggiunge spesso senza aver avvertito alcun sintomo (è essa stessa un sintomo dell’intossicazione), rende il subacqueo colpito praticamente impotente a reagire autonomamente con procedure di emergenza, determina con alta probabilità la perdita dell’erogatore, e agisce su un soggetto probabilmente già sotto l’effetto della narcosi da azoto, più o meno accentuata. Così come per la narcosi da azoto, la comprensione delle cause e dei meccanismi della tossicità dell’ossigeno sul Sistema Nervoso Centrale non è completa. Sembra ormai assodato, a partire da un primo studio del 1954, che il meccanismo scatenante delle crisi convulsive dovute a iperossia sia una specifica reazione della corteccia cerebrale, provocata dalla produzione a valanga di radicali liberi.

Ma la responsabilità non è tutta dell’ossigeno 
Si sa con certezza che l’ipercapnia (eccesso di CO2 nel sangue) sia un fattore di accelerazione della insorgenza delle crisi iperossiche.  Una possibile spiegazione è che il forte effetto vasodilatatore della CO2 sia causa di ulteriore aumento di afflusso di ossigeno al cervello, proprio mentre esso sta cercando di difendersi dall’eccesso di tale gas tramite vasocostrizione.  Più probabile sembra però che l’eccesso di CO2 stimoli tessuto cerebrale provocando il rilascio un tipo di neurotrasmettitori che determinano iper-produzione di  specie reattive dell’ossigeno, che contribuiscono alla insorgenza della crisi.  In realtà, un significativo contributo alla crescita dell’anidride carbonica è proprio l’eccesso di ossigeno disciolto nel sangue, che riduce l’efficienza del processo di rimozione della CO2 da parte dell’emoglobina contenuta nei globuli rossi. Oltre all’ipercapnia, anche fatica, stress e freddo intenso tendono ad accrescere il rischio di una crisi convulsiva, coadiuvate da suscettibilità individuale o predisposizione momentanea, una scarsa condizione fisica o l’eventuale uso di alcool e droghe. 

Fascicolazioni muscoli mimici. Senso di stordimento. Perdita di coscienza. Convulsioni. Terapia Se possibile cercare di risalire con calma e non togliersi il boccaglio una volta in superficie. Effettuare un’eventuale rianimazione cardio-polmonare (RCP) Assicurarsi che l’infortunato, se ha convulsioni, non si morda la lingua.

Si è osservato che le crisi convulsive legate all’iperossia non si manifestano immediatamente,  ma dopo un certo tempo dall’inizio dell’esposizione, che è chiamato  “tempo di latenza”. Tanto maggiore è la PO2 alla quale si è esposti e più breve è (mediamente) il tempo di latenza.   Per tener conto di questa dinamica, i limiti operativi di esposizione all’ossigeno sono rappresentati da coppie di valori: la massima pressione parziale di ossigeno e la corrispondente massima durata dell’esposizione a tale pressione.   Il limite massimo in assoluto per la PO2 in immersione è fissato a 1,6 bar, per un tempo massimo di esposizione di 45 minuti, ma solo in caso di sforzo fisico molto limitato.  Per una situazione di lavoro leggero è invece appropriata una soglia max di 1,5 bar per 120 minuti, e per lavoro medio-intenso una soglia di 1,4 bar per 150 minuti. Le coppie massime di PPO2 e durata dell’esposizione a tale pressione parziale di ossigeno sono riportate nella tabella NOAA dei limiti PO2 e del tempo di esposizione all’ossigeno, per immersione singola e per immersioni multiple nelle 24 ore. 

Nei corsi Nitrox si insegna a non  superare mai il limite considerato di sicurezza di 1,4 bar, in modo da renderlo indipendente da altre condizioni più aleatorie.  L’esposizione totale all’ossigeno subita dal sistema nervoso centrale durante una immersione va valutata in termini di percentuale di tossicità CNS raggiunta, (% CNS), intesa come rapporto percentuale tra tempo di immersione effettivo trascorso ad una data pressione parziale di ossigeno e limite massimo consentito per la medesima PPO2, secondo i criteri stabiliti dal NOAA, ovvero:  

Nel programmare una immersione singola bisogna sempre verificare che non si raggiunga il 100% per la % CNS
Naturalmente però, durante una reale immersione la pressione parziale di ossigeno non è costante, e dipende dalla profondità alla quale ci di si trova e dalla percentuale di ossigeno nella miscela.  Bisogna quindi applicare il calcolo delle % CNS a tutte le fasi dell’immersione che prevedano una diversa pressione parziale di ossigeno, a causa del cambio di profondità o di miscela, valutando la % di tossicità su CNS per ciascuna di esse e sommando tutti i contributi ottenuti. 

Per semplificare il procedimento è stato ideato il cosiddetto “orologio dell’ossigeno”, o “CNS clock”, una tabella cha associa ad ogni valore di pressione di ossigeno la percentuale di tossicità sul CNS dovuta alla respirazione di una miscela con tale pressione di ossigeno per un minuto. La percentuale di tossicità ad una certa PO2 si ottiene semplicemente moltiplicando il CNS clock relativo a tale PO2 per la durata in minuti dell’esposizione.  

Vogliamo fare un esempio? 
Supponiamo di fare una immersione a 28 metri in aria, con tempo di fondo di 30 minuti. Per questa sola fase dell’immersione calcoliamo il contributo alla % CNS.  Ricorrendo alla legge di Dalton, calcoliamo velocemente la pressione di ossigeno a 28 mt, dove la pressione ambiente è 3,8 bar, respirando aria (FO2 = 0,21),

PO2 = PA x  FO2                    →     3,8 x 0,21 = 0,8 bar 

nella tabella del CNS clock al valore di PO2 = 0,8 corrisponde un contributo minutale di 0,22.  Quindi per un tempo di 30 minuti si ottiene:  % CNS = 30 x 0,22  =  6,6 %   

Se si usa in immersione un computer subacqueo che dispone della modalità “nitrox”, è lui che si occupa di effettuare il calcolo in tempo reale della percentuale di tossicità su CNS durante l’immersione. Naturalmente le necessarie verifiche sul livello di esposizione all’ossigeno vanno effettuate in fase di pianificazione, non ci si deve certo accorgere di essere prossimi al 100% della % CNS leggendolo dal display del computer durante l’immersione. 

Una volta terminata l’immersione, respirando aria atmosferica, la percentuale di tossicità CNS torna a calare, dimezzandosi ogni 90 minuti circa. E’ un dato di cui tener conto per le immersioni successive.
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Luca Cicali
autore “Oltre la curva” 

 

 

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