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I Fenici in Brasile, leggenda o verità?

tempo di lettura: 9 minuti

livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA DEL MARE
PERIODO: II MILLENNIO a.C,
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Brasile, Fenici, Manoscritto 512

La sezione Opere rare della Biblioteca Nazionale del Brasile custodisce gelosamente un antico documento di dieci pagine, il Manoscritto 512. Lo scritto racconta il viaggio di una spedizione nella foresta amazzonica nel XVIII secolo, durante la quale furono scoperte le rovine di un’antica città, con incisioni di caratteri  misteriosi sui muri, abitata da “strani” indio con una carnagione molto bianca.

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Tutto ebbe inizio nel 1839, quando un naturalista di nome Manuel Ferreira Lagos trovò per caso quell’insolito pezzo, privo di autore, Relação histórica de huma oculta, e grande Povoação, antiguissima sem moradores, que se descubrio no anno de 1753 (Relazione storica di una tribù sconosciuta e di un grande e antico insediamento abbandonato, scoperto nell’anno 1753).

La rivista ufficiale dell’Istituto storico e geografico brasiliano ne pubblicò una copia con una spiegazione contestuale del XVIII secolo in cui narrava la storia di alcuni bandeirantes, degli avventurieri che all’epoca si addentravano nella giungla per cacciare schiavi o fare fortuna.

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Guarani, una delle tante etnie abitanti l’AmazzoniaJaraguá é Guarani! Demarcação JÁ! (52952958365).jpg – Wikimedia Commons

La città dell’oro scomparsa
Una delle tante leggende risale al XVI secolo quando Diego Alvarez, un marinaio sopravvissuto ad un naufragio lungo la costa del Brasile, fu salvato da alcuni indigeni della tribù dei Tupi-Guaraní. Alvarez imparò l’idioma dei nativi e si sposò con una giovane del luogo avendone poi vari figli tra cui uno fu chiamato Muribeca. Fu Muribeca a scoprire nella giungla un luogo antico, con miniere d’oro, argento, e pietre preziose, e ne organizzò lo sfruttamento, vendendo i preziosi e le pepite d’oro nel porto di Bahia.

Il figlio di Muribeca, Roberio Dias, continuò le attività redditizie del padre diventando molto ricco. Roberio era molto ambizioso e, durante un viaggio in Portogallo, arrivò a chiedere al re Pedro II addirittura un titolo nobiliare, Il re promise di concederglielo in cambio però di conoscere l’esatta posizione della città perduta dove si trovavano le miniere. Al rientro a Bahia, Roberio si accorse però di essere stato ingannato; la lettera che doveva contenere l’assegnazione del titolo di marchese gli avrebbe attribuito solo quello di capitano di missione militare, ben poco in cambio delle ricchezze contenute nella antica città perduta. Indignato Roberio si rifiutò di fornire altre informazioni ma, non volendo rivelare il segreto di famiglia, fu imprigionato dai Portoghesi fino alla sua morte, avvenuta nel 1622, quando portò con sé il suo segreto.

Nella prima metà del XIX secolo il Brasile divenne indipendente dal Portogallo ed incominciarono a circolare molte leggende dimenticate di luoghi misteriosi nella foresta, frutto dei racconti sia dei bandeirantes, sia delle comunità dei Palenques e Quilombos, fondate da indigeni o da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni all’epoca della schiavitù.

Secondo il Manoscritto 512, una spedizione di bandeirantes portoghesi si spinse nel Serton (una vasta regione del nord-est del Brasile) e, dopo non poche peripezie trovò nella foresta un’antica città, con grandi edifici, strade lastricate, archi, rilievi, statue e alcuni uomini dalla carnagione bianca su una canoa che erano fuggiti alla loro vista.

Il testo del manoscritto riporta alcuni dettagli curiosi compresa la riproduzione di strani segni presenti sui muri in vari angoli della città. A seguito del ritrovamento del manoscritto, furono organizzate delle spedizioni alla ricerca di quello che sembrava un El Dorado brasiliano. La più importante fu quella del 1840 organizzata da padre Benigno José de Carvalho e Cunha.  Dopo aver raccolto molte testimonianze di persone che avevano viaggiato attraverso la regione, dopo sei anni di sforzi disumani, Padre Benigno si arrese, non avendo di fatto trovato altro che racconti fantasiosi.

Passarono alcuni decenni e, nel 1865, Sir Richard Burton, un famoso esploratore britannico, dopo non poche disavventure, fu inviato in Brasile come console. Va premesso che Burton, sebbene famoso per le sue esplorazioni in Asia, Africa e nelle Americhe e per la sua straordinaria conoscenza delle lingue e delle diverse culture (parlava 29 lingue e dialetti europei, asiatici e africani) era considerato un personaggio decisamente controverso e particolare.

Sir Richard Burton

Le sue opere criticavano apertamente le politiche coloniali dell’Impero britannico, giudicate ipocrite, cosa che contribuì alla rovina della sua carriera. Interruppe gli studi universitari e divenne un autore prolifico scrivendo numerosi libri e articoli accademici su diversi argomenti di antropologia, frutto delle esperienze  maturate nei suoi viaggi. Scrisse di tutto, senza remore morali e religiose, affrontando temi come le pratiche sessuali tra le varie etnie. Una caratteristica dei suoi libri erano le copiose note a piè di pagina e, soprattutto, le sue appendici contenenti osservazioni e informazioni sui luoghi visitati ed i loro costumi.  Un personaggio geniale ma scomodo e molti pensarono che il suo invio come diplomatico in Brasile non fosse un premio ma un modo pratico per toglierselo di torno.

Burton, che non nascondeva di avere più interesse per le esplorazioni geografiche che per gli affari amministrativi di cui si doveva occupare nel suo ruolo diplomatico, ne approfittò per esplorare il Sud America. Nel periodo brasiliano venne a conoscenza di quello strano manoscritto che venne poi tradotto in inglese dalla moglie ed incluso in uno dei tanti libri di memorie dei suoi viaggi: Explorations of the highlands of Brazil.

Percy Harrison Fawcett

Nel 1921, un altro inglese, il colonnello Percy Harrison Fawcett, ex militare, archeologo ed esploratore, che aveva esplorato territori amazzonici in Bolivia, venne a conoscenza del manoscritto ed organizzò una spedizione nel Mato Grosso alla ricerca di quella città che, per non dare troppa visibilità alle sue ricerche, chiamò Z. L’interesse di Fawcett verso quella zona amazzonica sembrerebbe fosse legato anche ad una statuetta ricevuta in dono che proveniva dalla zona dello Xingú sulla quale apparivano strani segni simili a quelli descritti nel manoscritto. Erano quei segni legati ad una antica civiltà perduta? Nel 1925 organizzò con il figlio ed un amico una missione nella zona di Lapinha, una zona sperduta nella foresta amazzonica, pericolosa e malsana, ma della sua spedizione non si seppe più nulla. L’ultima notizia  fu il 29 maggio 1925 quando Fawcett inviò un messaggio a sua moglie indicando che erano entrati in un territorio inesplorato. Dopo di ché scomparvero nella giungla e non furono mai più visti. Recentemente sono stati trovati alcuni oggetti (tra cui una bussola) che gli esploratori portavano con sé, facendo ipotizzare che probabilmente morirono per malattia o per mano di indigeni. 

Quei petroglifi erano forse legati a quel popolo antico che aveva inciso la gigantesca pietra di Ingà?
Il mistero di quei strani petroglifi, che ricordavano caratteri di lingue orientali, rimase così insoluto. Gli indigeni Tupi, che vivevano in questa zona, la chiamavano “Itacoatiara“, che nella loro lingua significava semplicemente ‘la pietra’. Questa strana stele, lunga ventisei metri e alta quattro metri, si trova nel bel mezzo del fiume Ingá, nei pressi dell’omonima cittadina a circa 96 km da João Pessoa, nello stato di Paraíba, nel nordest del Brasile.

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parte centrale della Pedra de Inga, Paraíba, Brazil. – Autore Rocha, Helder da https://www.flickr.com/photos/helder/
Rocha, Helder da, Pedra de Ingá-b.jpg – Wikimedia Commons

Si tratta di un misterioso monolite, inciso con simboli e figure, che sembrano rappresentare animali, frutta, esseri umani ma anche altri simboli del tutto irriconoscibili. Una delle ipotesi è che questi simboli possano risalire ad un’antica colonizzazione da parte di un popolo venuto da lontano, i Fenici.

Fantasia o realtà?
Dopo numerosi ritrovamenti, molti archeologi ritengono che, tra il II ed il I millennio a.C., dei navigatori fenici arrivarono sulla costa orientale del Brasile. Alla confluenza dei fiumi Longá e Parnaiba, nello stato di Piaui, sono stati scoperti cantieri navali fenici e un porto con un molo riservato per legare i “Carpássios“, navi commerciali fenicie per le lunghe distanze.

Nave commerciale fenicia riportata su un sarcofago di Sidone conservato al Louvre, Parigi 

Sul fiume Mearim verso nord, nello stato di Maranhão, si trova il lago Pensiva ai cui bordi si possono trovare i resti di antichi cantieri navali in legno, contenenti chiodi e tasselli di bronzo. Il sito archeologico fu scavato alla fine degli anni Venti e vi furono ritrovati strumenti tipicamente fenici. A Rio de Janeiro è stata ritrovata un’iscrizione sulla “Pedra da Gávea” che afferma: “Qui Badezir, re di Tiro, figlio maggiore di Jetbaal“. Sebbene la sua interpretazione sia molto dibattuta, l’ipotesi che una colonia fenicia sia arrivata a Rio de Janeiro (o comunque oltre l’oceano) è suffragata in alcune fonti storiche. Uno dei maggiori studiosi sulle possibili presenze fenicie in Brasile, l’archeologo austriaco Ludwig Schwennhagen, sostenne che navigatori fenici, dopo aver creato delle basi commerciali vi si erano insediati e avevano lasciato numerose iscrizioni comprovanti la lor presenza con riferimenti a re di Sidone e Tiro dell’VIII secolo a.C..

Non ultima prova della presenza fenicia sulle coste brasiliane è la Pedra di Paraiba, rinvenuta nel 1872 presso Pouso Alto (Paraiba). Sebbene la pietra andò poi perduta, copia delle iscrizioni incise furono inviate all’istituto storico di Rio de Janeiro. Inizialmente la trascrizione fu dichiarata un falso però, nel 1960, l’epigrafista Cyrus Gordon affermò che il testo era fenicio e non poteva essere un falso perché riportava dei costrutti grammaticali della lingua fenicia che erano ancora sconosciuti nel 1872. Inoltre, nella scrittura compaiono almeno due prove sorprendenti che richiamano usanze linguistiche aramaiche. Questo fattore è importante in quanto le navi del re Hiram avrebbero potuto avere marinai a conoscenza del dialetto aramaico. E’ infatti noto che Hiram lavorò con il re Salomone per raccogliere risorse per costruire il tempio di Gerusalemme. 

Secondo una traduzione, il testo della Pedra di Paraiba afferma che:
Siamo cananei sidoni della città del re mercantile. Siamo stati cacciati su questa sponda lontana, una terra di montagne. Abbiamo sacrificato un giovane agli dei e alle dee celesti nel 19° anno del nostro potente re Hiram e ci siamo imbarcati da Ezion-Geber nel Mar Rosso. Abbiamo viaggiato con dieci navi e siamo stati in mare insieme per due anni in Africa. Quindi eravamo separati dalla mano di Baal e non eravamo più con i nostri compagni. Quindi siamo venuti qui, dodici uomini e tre donne, all’isola del ferro, in una nuova spiaggia che io, l’ammiraglio controllo. Anzi! Che gli dei e le dee celesti ci favoriscano bene.

Una lettura decisamente suggestiva che comproverebbe la loro presenza. Ancora più straordinaria è la scoperta da parte di alcuni linguisti dell’influenza linguistica fenicia sui alcuni dialetti dei nativi. Un’ulteriore conferma è arrivata dalla scoperta negli archivi del Museo del Louvre, del Museo reale di Londra, del Vaticano e di Lisbona di documenti che affermano che il nome del fiume Solimões (nome portoghese del Rio delle Amazzoni) derivava dalla sua denominazione primitiva, “Sulaiman“, dato in onore del grande re di Israele Salomone. Altre iscrizioni, scoperte nella regione amazzonica nella zona di Ararí, hanno impressionanti similarità con analoghi segni aramaici, siriaci e persino sanscriti, mescolate con lettere dell’alfabeto fenicio. 

Gli esploratori fenici non sembra fossero interessati alle terre ma ai loro prodotti. Quindi, non erano coloni ma commercianti per cui i contatti con i locali potrebbero essere stati basati sulla necessità di integrarsi per soli fini economici. L’integrazione con i locali fu profonda e questo spiegherebbe le similitudini linguistiche ma anche gli scambi tecnologici. Ad esempio, alcuni archeologi ritengono che gli indio Marajoara adottino gli stessi sistemi usati dai Fenici per produrre ceramiche, mescolando olio, legno e cenere di vite con l’argilla. La somiglianza tra decorazioni e forme dei vasi e la fattura di piccole statuette è straordinaria. Infine anche il rituale di sepoltura di alcune tribù amazzoniche è simile a quello fenicio.

Secondo Edmund Bleibel, uno storico libanese, “quando i Fenici si stabilirono in Africa, e Gibilterra era il limite del loro impero, essi progettarono di attraversare l’enorme oceano verso l’ignoto. Quindi Ilu di Jbail (Byblos) e sua moglie Harmonia prepararono una grande flotta e navigarono nell’enorme mare alla ricerca delle “Isole Eterne” ma scomparvero per sempre. Si diceva che le loro anime incarnassero due serpenti, il che significava che le loro vite erano state rinnovate da Dio, la volontà di Baal. Furono forse loro i primi ad arrivare in Brasile?

la pietra di Bat Creek, un falso clamoroso, forse frutto di una burla di studenti Credit: Scott Wolter Bat Creek Exam 5-28-10.JPG – Wikimedia Commons

Un’ipotesi decisamente intrigante. Ma la certezza ancora non c’è e vi sono stati falsi clamorosi che pongono molti dubbi sulle interpretazioni precedenti; ad esempio, la famosa pietra di Bat Creek, che presenta delle anche troppo evidenti lettere fenicie, ritrovata in un cumulo di pietre di un antico cimitero indiano nel Tennessee. Dopo il primo momento di entusiasmo gli archeologi rividero le loro posizioni intorno alla sua autenticità. I curatori del Dipartimento di Antropologia del National Museum of Natural History, Smithsonian Institution, credono infatti che le iscrizioni sul manufatto siano false, forse uno scherzo di alcuni studenti burloni. 

Come giudicare i ritrovamenti in Brasile?
Di fatto, questi viaggi al limite del possibile sono riportati dagli storici antichi nelle fonti: dal periplo dell’Africa effettuato dai Fenici alla fine del VII secolo, a quelli di Imilcone ed Annone, straordinari navigatori cartaginesi che si spinsero nell’Atlantico. In questo contesto, potremmo immaginare che alcuni di loro riuscirono in qualche maniera a raggiungere l’altra parte dell’Oceano Atlantico. Questo significa che la data della scoperta delle coste del Brasile, attribuita al fiorentino Amerigo Vespucci, nel 1499, potrebbe essere spostata indietro di venticinque secoli ovvero ai tempi in cui forse grandi navigatori fenici attraversarono l’Atlantico con le loro navi per ricercare nuovi mercati.

E la città perduta nella foresta amazzonica? Quella lasciamola nei nostri sogni … forse un giorno un satellite la individuerà, andando a svelare anche questo “non ultimo” mistero. 

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