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La tragedia del sottomarino Kursk, un ricordo di quei marinai che persero la vita nelle fredde acque del mare di Barents

tempo di lettura: 11 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX – XXI SECOLO
AREA: RUSSIA
parole chiave: sottomarini, Kursk, relitto, incidente, Russia


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Una tragedia del mare dei nostri giorni
Il K-141 Kursk, Атомная подводная лодка «Курск», era un sottomarino a propulsione nucleare della Flotta del Nord appartenente alla classe Oscar I/II. Il sottomarino, entrato in servizio nel 1995, era stato destinato alla base navale  di Severomorsk.  Il suo dislocamento era di 10700 tonnellate in superficie e 13500 tonnellate in immersione, con un equipaggio composto da 52 ufficiali e 55 marinai, per un totale di 107 membri. Era un sottomarino di attacco moderno assegnato alla Voenno-Morskoj flot ed in grado di trasportare e lanciare missili anche a testata nucleare.

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Era il 12 agosto del 2000, ed il sottomarino era impegnato nel mare di Barents in un’esercitazione militare con altre unità navali. Sulla base di quanto riportato dai mass media il K-141 Kursk (APK) avrebbe dovuto lanciare dei siluri con testata inerte contro l’incrociatore nucleare Pjotr Velikij, classe Kirov, per testarne le prestazioni ma qualcosa andò storto. Sebbene ci siano ancora molti dubbi su ciò che realmente accadde in quelle fredde acque, ci dobbiamo tenere alle cronologie riportate dalla stampa ufficiale. Tutto incominciò alle 11:29 locali; a seguito del lancio di un siluro di prova vi fu un’esplosione all’interno o nei pressi del battello. Fu valutato che l’esplosione ebbe una potenza compresa tra i 100 e i 250 kg di tritolo. A seguito dei danni allo scafo il sottomarino si adagiò sul fondo a circa 110 metri di profondità, a circa settanta miglia da Severomorsk. Circa due minuti dopo la prima esplosione, ne fu avvertita una seconda  all’interno dello scafo con una potenza esplosiva compresa tra le 3 e le 7 tonnellate di tritolo.

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Cronologia di una tragedia del mare
Raccontiamo la cronologia del terribile incidente come riportata dalle fonti russe. Il 13 agosto, un gruppo di navi sotto il comando dell’ammiraglio Vjacheslav Popov si recò sulla verticale dell’incidente ed alle 04.51 il sottomarino fu identificato ad una profondità di 108 metri. Il giorno seguente, alle 11.00 di mattina, il comando della flotta russa fece la una prima dichiarazione ufficiale che il Kursk si era adagiato sul fondo ma rimanevano attive le comunicazioni. Più tardi si apprese che la comunicazione con l’equipaggio erano state ottenute solo attraverso dei colpi dati sullo scafo perché le comunicazioni acustiche tramite telefono subacqueo si erano interrotte. Fu anche affermato che non vi era pericolo per la vita dell’equipaggio e che il salvataggio sarebbe stato effettuato con una “campana” di salvataggio. Dopo la prima ispezione divenne chiaro che il “Kursk” era appoggiato sul fondo, inclinato di 40 gradi. Il sottomarino mostrava dei gravi danni alla prua ed aveva fuori uso la camera di salvataggio. La situazione precipitò ed il Capo della Marina, ammiraglio Vladimir Kuroedov, dichiarò mestamente che la possibilità di salvare i membri dell’equipaggio appariva remota.

Kursk3 Il 15 agosto il Quartier generale della marina russa rilasciò una dichiarazione ufficiale che, in breve, comunicava l’inizio dell’operazione di salvataggio del sottomarino da parte delle forze navali russe e che l’equipaggio del Kursk era addestrato per essere evacuato. Sebbene fossero stati inviati immediatamente sul luogo dell’incidente l’Incrociatore nucleare “Pietro il Grande” e venti unità navali e di salvataggio, le avverse condizioni meteorologiche non permisero di avviare l’operazione di recupero a causa di avverse condizioni meteo, con mare 4-5. Il Progettista generale dell’Ufficio di progettazione centrale “Rubin”, Igor Baranov, affermò che l’aria disponibile all’interno del battello sarebbe durata solo 5-6 giorni per cui il tempo era poco. Nel frattempo a Mosca venne creata una commissione governativa per indagare sulle cause dell’incidente, presieduta dal vice primo ministro Il’ja Klebanov. Contemporaneamente, a Bruxelles, rappresentanti del Ministero della difesa russo avviarono colloqui con la NATO. 

Il 16 agosto, il miglioramento del mare permise finalmente di avviare le operazioni di soccorso. Dalla nave di salvataggio “Rudnitskij” fu rilasciato in mare il sommergibile Priz. Durante la notte furono fatti diversi tentativi per penetrare all’interno del sottomarino ma fallirono. A questo punto, l’ammiraglio Kuroedov dichiarò che la Russia avrebbe accettato qualsiasi assistenza offerta dall’Occidente. La richiesta fu esaudita immediatamente ed il 17 agosto, arrivò sul luogo dell’incidente la nave soccorso norvegese Seaway Eagle, con sommozzatori altofondalisti a bordo, in attesa dell’arrivo  della nave da trasporto Normand Pioneer, in possesso di attrezzature specialistiche per l’impiego di un mini sommergibile britannico, l’LR5.

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Normand Pioneer

La Normand Pioneer, nella foto in alto, arrivò il 19 agosto ed ebbe subito inizio la missione internazionale di salvataggio per l’equipaggio del “Kursk”. Il 20 agosto gli operatori subacquei norvegesi esaminarono i danni del sottomarino e scoprirono la presenza nei compartimenti interni di aria. I sommozzatori riuscirono anche a  sbloccare la valvola di ventilazione di soccorso ma non riuscirono ad entrare. Collocarono quindi un’attrezzatura per l’apertura del boccaporto superiore del nono compartimento che venne poi aperto il 21 agosto scoprendo che l’interno era invaso dall’acqua. All’interno furono anche scoperti alcuni corpi senza vita dei membri dell’equipaggio. 

Fu quindi introdotta una videocamera all’interno dello scafo per determinare lo stato del settimo e dell’ottavo compartimento. Lo stesso giorno il vice-ammiraglio Michail Mozak, capo dello Stato maggiore della flotta del Nord, confermò ufficialmente che tutto l’equipaggio del sottomarino K-141 Kursk era deceduto in servizio. Il 23 agosto il Presidente Vladimir Putin volò a Severomorsk dove si incontrò con le famiglie dei marinai. Nei media fu anche comunicato che un sommergibile americano “Memphis” dal 18 agosto si trovava nel porto della città norvegese di Bergen dove era entrato per  rifornimento.

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Procuratore generale della Federazione Russa, Vladimir Ustinov

Il 24 agosto il Procuratore generale della Federazione Russa, Vladimir Ustinov, annunciò l’inizio di un inchiesta per la morte dell’equipaggio del sottomarino. Il 29 agosto, fonti statunitensi rivelarono che al momento dell’incidente al Kursk, due sottomarini americani con altre navi erano vicini ad esso ma negarono che la causa del disastro fosse stato una collisione fra i due. Il 19 settembre Vladimir Putin decise di avviare l’operazione di recupero dei resti dell’equipaggio del “Kursk” e dello stesso sommergibile.

Il 25 ottobre il guardiamarina palombaro Sergej Shmygin entrò per primo nello scafo. Nella notte del 26 ottobre i palombari russi esaminarono i corpi dei membri dell’equipaggio del “Kursk”. Si comprese che dopo l’esplosione,  nel sesto, settimo, ottavo e nono compartimento, i marinai erano sopravvissuti. Nella tasca del comandante del Kursk, Tenente capitano Dmitrij Kolesnikov, fu trovato un foglio manoscritto contenente un rapporto dell’incidente.

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Il comandante del Kursk con la moglie, Tenente capitano Dmitrij Kolesnikov

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Di questa preziosa testimonianza inizialmente fu pubblicata solamente la prima parte: “13:15. Tutto il personale del VI, VII e VIII  è passato nel IX. Noi qui siamo 23 persone. Abbiamo preso questa decisione a seguito dell’incidente. Nessuno di noi può salire al piano superiore”. Più tardi venne resa nota ai giornalisti la seconda parte dello scritto che riportava che due o tre persone cercarono di uscire dal sottomarino attraverso l’uscita di soccorso, senza successo in quanto il vano era stato riempito dall’acqua. Le operazioni continuarono e vennero terminate le procedure di recupero delle salme all’interno del nono compartimento del sottomarino; il 29 ottobre, sul piazzale del Mare di Severomorsk, si tenne la cerimonia funebre di commiato con quattro salme dei sommergibilisti morti a seguito dell’incidente. 


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L’operazione di recupero delle salme, prevista per la fine del 2000, si concluse per vari motivi nel settembre del 2001. Ma gli sforzi non furono interrotti e, il 7 ottobre 2001, fu intrapresa l’operazione di sollevamento del Kursk dal fondo del mare di Barents. Finalmente il 22 ottobre  il relitto del “Kursk” venne adagiato su cinquanta blocchi nel cantiere di Rosljakovo.  Nelle operazioni furono recuperati ed identificati 115 dei 118 membri dell’equipaggio.

L’inchiesta
Il 27 ottobre 2001 il Procuratore generale della Russia dichiarò che l’ispezione visiva del propulsore nucleare aveva permesso di concludere che l’incendio scaturito internamente si era propagato in tutto il battello. Nel suo epicentro la temperatura aveva raggiunto ottomila gradi Celsius. Il battello si era poi completamente riempito d’acqua in meno di otto ore.

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In seguito, il 26 luglio 2002, fu riferito che la tragedia del “Kursk” era accaduta a causa di un’esplosione avvenuta nel locali siluri che, successivamente, aveva sviluppato un incendio nel compartimento di ricarica dei siluri collocato nel primo compartimento del sommergibile. Ustinov dichiarò che i pubblici ministeri avevano chiuso il procedimento penale per mancanza di prove e nessun reato poteva essere ascritto agli ufficiali responsabili dello svolgimento delle esercitazioni, al fornitore dei siluri, e al personale responsabile dell’installazione ed impiego dei siluri. Fu anche esclusa l’ipotesi di una collisione o di un urto accidentale con una mina.

La fine del Kursk: quale fu la causa dell’incidente?
La domanda che molti si posero fu se l’incidente avvenne veramente per un disgraziato incidente o ci fu una causa esterna, forse politicamente scomoda da confermare, che lo causò? Al di la delle speculazioni giornalistiche, stabilire a posteriori l’insieme delle cause e degli effetti di un incidente in mare non è sempre facile. Specialmente quando tutti gli elementi per la determinazione delle cause non sono noti. Ci baseremo su quanto riportato dalla stampa. Una ipotesi alternativa venne illustrata in un documentario francese del 2004, “Kursk: A submarine in Troubled Waters“, riproposto in Italia dal programma La storia siamo noi, diretto da Giovanni Minoli. La domanda che qualcuno si pose fu se l’incidente avvenne a causa di uno scontro accidentale con un battello spia statunitense, o per gli effetti dell’esplosione di un prototipo di siluro difettoso nel tubo lanciasiluri o per un sabotaggio terroristico? Di fatto, il mistero di ciò che accadde quel 12 Agosto del 2000 resterà per sempre sepolto sul fondo del mare di Barents, in quella camera di lancio che per qualche motivo non fu mai riportata in superficie. Dalle dichiarazioni ufficiali la prua venne segata da un dispositivo speciale, e poi distrutta per non lasciare siluri inesplosi. 

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siluri russi

La versione dell’indagine della marina russa fu che uno dei siluri del “Kursk” esplose. Gli investigatori riportarono che il siluro era obsoleto e ci fu una perdita di perossido di idrogeno nel locale siluri che causò l’esplosione. Ma che cosa potrebbe aver fatto esplodere il siluro? Dalle ispezioni visive fu verificato che avvenne un’esplosione enorme nel tubo lanciasiluri che si indirizzò verso il portellone interno. Dal punto di vista ingegneristico, ciò può avvenire solo se la copertura esterna del tubo lancia siluro era in quel momento bloccata da qualcosa o schiacciata. Era forse avvenuto un urto o una collisione che aveva provocato questo schiacciamento?

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USS Memphis (SSN-691), uno dei due sottomarini presenti nell’area dell’incidente

Emerse che, quasi subito dopo l’incidente furono trovate tracce acustiche di un altro sottomarino. Si parlò anche di una boa di salvataggio di emergenza di colore diverso da quelle usate dai russi. Era forse stata lanciata da quel sottomarino statunitense, in seguito entrato in un porto norvegese per problemi tecnici? Lo scafo del sottomarino nucleare americano aveva uno spessore di quasi dieci centimetri, un ariete corazzato che, entrando in collisione con il sottomarino russo avrebbe potuto causare lo schiacciamento della sua prua e l’esplosione di un siluro. Tutte ipotesi più o meno fantasiose che non possono essere dimostrate. Bisogna quindi attenersi alla versione ufficiale russa in merito alle circostanze dell’incidente. 

L’articolo pubblicato sul rusreal-news.ru, da cui è stato estratto parte del materiale per questo scritto (traduzione google), riporta che la commissione governativa, guidata da Ilya Klebanov, firmò una conclusione definitiva di cui esistono, ovviamente, parti ancora segretate. Come spiegato dal vice-ammiraglio Valery Dorogin, la segretezza imposta nell’atto della Commissione, era stata necessaria per salvaguardare i piani di esercitazioni navali russi ed aspetti tecnici come le regole di conservazione dei siluri imbarcati sul Kursk.

Secondo questo documento, la causa dell’incidente  fu una perdita di perossido di idrogeno da un siluro SS-N-16 (in base alla classificazione americano,  in epoca sovietica “Numero oggetto 398” ed ora conosciuto nella marina russa come codice 65-76). Un’arma subacquea micidiale che, per le sue caratteristiche, potrebbe essere definita più un missile che un siluro. Sebbene lanciato dai normali tubi lanciasiluri dei sottomarini, il siluro è in grado di fuoriuscire dall’acqua e proseguire con traiettoria balistica fino al bersaglio dove la testata viene espulsa. Lo scopo primario era di contrastare eventuali sottomarini nemici. Questo siluro ha una propulsione chimica (reagenti – perossido di idrogeno e kerosene), una miscela pericolosa e molto reattiva. Ora, sappiamo che il perossido di idrogeno è facilmente decomponibile in ossigeno atomico ed acqua; essendo l’ossigeno un forte ossidante, una sua concentrazione può decomporsi spontaneamente e corrodere la parete interna del contenitore.

ss-n-16 La commissione ritenne che questo accadde nel primo compartimento del “Kursk”: il perossido scatenò una reazione chimica con un lubrificante organico ed avvenne la prima esplosione termica. Inoltre che i superstiti morirono in circa 8 ore dall’incidente per cui i soccorsi non sarebbero stati comunque in grado di aiutarli. Questa causa, espressa dalla commissione di inchiesta, fu condivisa anche dagli specialisti inglesi che imputarono le cause della prima esplosione proprio ad una fuoriuscita del perossido d’idrogeno usato come propellente per questi siluri (New theory for Kursk sinking, news.bbc.co.uk). L’esplosione innescò poi a catena anche gli altri siluri. Per quanto concerne l’ipotesi di una collisione, gli Stati Uniti negarono immediatamente un’interazione tra un loro sottomarino ed il Kursk, ma confermarono la presenza di due sottomarini nucleari, il USS Memphis ed il USS Toledo, in prossimità della zona di esercitazione. Secondo una teoria, comparsa su un documentario franco-canadese, definito credibile da Maurice Stradling, ex alto funzionario del ministero della difesa britannico, il USS Memphis osservava l’esercitazione da distante, mentre l’USS Toledo perseguiva un ombreggiamento del Kursk.

Teorie che non potremo mai dimostrare come quella che l’incidente fu dovuto allo scoppio di una nuova arma subacquea. 

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Emerse anche il sospetto che il Kursk, durante  l’esercitazione stesse testando un nuovo siluro, il VA 111 Shkval (шквал cioè raffica), dotato di eliche supercavitanti, in grado di raggiungere una velocità di 200 nodi (370 km/h), per cui la tensione a bordo era altissima. Secondo questa tesi il sottomarino statunitense, l’USS Toledo, durante l’ombreggiamento del Kursk, avrebbe accidentalmente urtato il sottomarino russo senza tuttavia causargli gravi danni. Rilevando che il Kursk stava attivando i propri sistemi d’arma, l’USS Memphis avrebbe lanciato un siluro colpendo in pieno la sezione di prua del sommergibile russo che conteneva i siluri. Ciò avrebbe creato una reazione di esplosioni a catena che avrebbe innescato le cariche dei siluri del Kursk. Sempre secondo questa curiosa teoria, Stati Uniti e Federazione Russa si sarebbero successivamente accordati indennizzando la Russia con la cancellazione di un debito di miliardi di dollari (da Franco Venturini, Ipotesi-choc sul Kursk: colpito da siluro Usa, Corriere della Sera, 6 agosto 2005). Questa tesi fu negata dalle fonti ufficiali americane che sostennero quella dell’esplosione accidentale di un siluro all’interno del Kursk. 

In seguito, l’Ammiraglio A. Shtyrov della Flotta Russa dichiarò che il sottomarino statunitense USS Memphis chiese ed ottenne il permesso di attraccare nel porto di norvegese di Bergen, un paio di giorni dopo l’affondamento del Kursk. Sempre secondo Shtyrov, una fonte ufficiale del governo norvegese aveva dichiarato che il sottomarino aveva subito dei danni in mare.

Verità o fantasie? In un’epoca di fake news tutte le ipotesi possono essere valide

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Qualsiasi fosse stata la causa di questa tragedia, gli effetti che ne derivarono furono devastanti, portando negli abissi 118 marinai. Una storia triste dei nostri tempi, una tragedia del mare. Riposino in pace.

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Fonti
– Wikipedia free enciclopedia 
– New theory for Kursk sinking, news.bbc.co.uk, 7 agosto 2001. URL consultato il 14 agosto 2008
– Kursk
Franco Venturini, Ipotesi-choc sul Kursk: colpito da siluro Usa, Corriere della Sera, 6 agosto 2005
– AA.VV. Immersione Rapida, Il Saggiatore, 1999
– Rusreal-news.ru

 

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