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La struttura di una barca a vela in VTR: cosa sapere e cosa controllare – parte II

tempo di lettura: 6 minuti

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livello medio

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ARGOMENTO: NAUTICA DA DIPORTO
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MANUTENZIONE
parole chiave: acquisto barca da diporto, controlli, vetroresina

 

E’ meglio avere uno scafo sottile e rigidissimo (compositi con fibre aramidiche, carbonio o kevlar) oppure spesso e elastico (vetroresina)?
I materiali più elastici e quindi più “spessi” trovano risorse e riserve nei loro carichi di rottura perché conservano sempre una scorta di deformazione apprezzabile. Materiali più rigidi con spessori molto bassi una volta raggiunto il loro carico di rottura si rompono. Un laminato non deve flettersi molto perché la resina (in particolare poliestere orto) ha scarse caratteristiche meccaniche e si allunga molto prima che le fibre iniziano a sopportare i carichi.

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Strutture interne e rinforzi
Nelle barche moderne con chiglia “appesa e imbullonata” la zona del fasciame tutta attorno al profilo superiore della pinna di deriva è il punto più delicato di tutto lo scafo. L’accoppiamento scafo-deriva è una zona fondamentale, come l’attacco delle lande, la base dell’albero insieme a tutto quel misterioso groviglio di orditure strutturali di irrigidimento all’interno delle nostre sentine. La normativa di riferimento sul dimensionamento del fondo scafo e della pinna è la CE – ISO 12215-9 del 2018.

– Scheletro, ragno strutturale e controstampi
La soluzione più usata nelle barche con deriva “imbullonata” è quella di posizionare sul fondo strutture collegate tra loro madieri, correnti longitudinali, ordinate e serrette per diffondere gli sforzi concentrati provenienti dalla deriva, dall’albero e dalle lande e per irrigidire il “tamponamento” in vetroresina.
Abbiamo a che fare con travi metalliche, nervature scatolari in composito con anime in espanso e pvc o come nel recente passato in legno resinato. Il tutto posato in opera e laminato manualmente sulla pelle interna, oppure troviamo strutture controstampate prefabbricate e poi incollate con resine “caricate” e ( non sempre ) “fazzolettate” allo scafo. Tutto questo è presente in ogni scafo sotto il paiolato in quella zona il più delle volte poco considerata, spesso solo per ripulire la vaschetta della ghiotta centrale o per rifornirsi di qualche bottiglia di vino lasciata al fresco in sentina.

I controstampi integrali includono anche il fondo della sentina non più però raggiungibile e ispezionabile. I controstampi semi-integrali, invece, sono bucati nella parte bassa tra un madiere e l’altro permettendo l’ispezionabilità e una stratificazione di collegamento a scafo maggiore. Questo ragno strutturale, ormai diventato sempre più collaudato e di serie nella produzione, è quindi un’ossatura che ingloba madieri e longheroni, la base d’albero, il supporto del motore e avvolte la struttura di aggancio delle lande e la base del mobilio. Viene di norma laminato manualmente sopra un unico stampo femmina, evitando così interruzioni di tessuti, con rinforzi in tutti i madieri e longitudinali. Viene poi incollato e laminato a scafo creando una struttura scatolata monolitica. I passaggi dei tubi e dei cablaggi elettrici predisposti e rinforzati in anticipo durante lo stampaggio del ragno evitano forature postume che indebolirebbero la struttura. I madieri (trasversali) e le costole (ordinate) del fianco, su cui spesso insistono le lande sartie sono rinforzati e avvolte in collegamento strutturale “da falchetta a falchetta” passando per la chiglia.

– Pinna di deriva e bulbi
Uno scafo in PRFV ha dunque una capacità elastica a deformarsi reversibilmente ma la lama di deriva ad esso collegata (ghisa o piombo) è rigida e l’accoppiamento non è tra i più intimi e rassicuranti. Una volta si raccordavano e bloccavano le pinne allo scafo, sia in senso trasversale che longitudinale, erano le cosiddette “chiglie stellate”. Oggi non si “accompagna” il guscio alla lama, esce dritto, profondo e sottile. Il fasciame inferiore dello scafo nella sua elasticità flette, si insella, si torce e reagisce dinamicamente alle spinte e carichi ma la superficie superiore della deriva rimane rigida senza adattarsi al sistema elastico a cui è stato integrato. Un pò è come collegare un pannello di cartongesso a battuta su una trave di castagno di un soffitto. Entrambi si comportano diversamente ed i movimenti crepano e distaccano la giunzione, inizialmente perfetta e continua, ma non per questo crolla! Molte crepe e fessure sono spesso estetiche.

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photo credit @Sacha Giannini

Chiglie lunghe strutturali, con pinna trapezoidale imbullonata, lame con siluri e bulbi, in ghisa sferoidale ferritica o austenitica con perni avvitati e filettati, in piombo “indurito” con antimonio e prigionieri annegati o con “collari” di controchiglia in VTR integrati a scafo devono essere ben noti per riconoscere come interpretare i segni che nascondono un potenziale problema in quello che è il punto più delicato della barca per la sicurezza e la stabilità.

Fessure e distacchi tra chiglia e scafo, specialmente all’estremità anteriore, possono essere fisiologiche come anche un serio segnale di cedimento della giunzione. Controllare con lo scafo sollevato sulle fasce lo spazio del distacco e, scuotendola, provare ad osservare una eventuale oscillazione della deriva. Pulirla e valutarne la profondità e la natura. Una volta poggiato lo scafo sull’invaso controllarla nuovamente e vedere se rimane aperta o aderisce allo scafo. Macchie di bagnato che non si asciugano ed eventuali colature marroni di ruggine lungo il bordo d’attacco potrebbero indicare e confermare un sospetto di infiltrazione avvolte innocua e apparente nelle derive in ghisa perché fanno ruggine, come al contrario un credibile campanello di allarme in quelle di piombo con perni in inox, perché non fanno ruggine, ma l’inox dei perni si.

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photo credit @Sacha Giannini

Se si trova acqua salata in sentina (escludendo perdite da prese a mare, trasduttori, tenute meccaniche asse o s-drive, losca timone o circuito raffreddamento motore) è bene accertarsi della causa.

Bulloni, dadi, rondelle o piastre ossidate vanno spazzolate e pulite per valutare che si tratti solo di ruggine superficiale e che non si sfogli e sgretoli a scaglie tra le mani con una colorazione nero scura. Rondelle sotto i dadi di fissaggio affossate sul fasciame con crepe concentriche sul gel coat di barche datate indicano una plasticità del fondo non più reversibile e non un tipico ritiro elastico volumetrico della resina dopo la catalizzazione.

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photo credit @Sacha Giannini

La ghisa ha minore resilienza (capacità di assorbire un urto senza rompersi) e maggiore fragilità e generalmente viene incollata allo scafo con sigillanti morbidi. Spesso risulta porosa con presenza di piccoli vuoti e non esente da colature ben visibili. Il piombo è più morbido e duttile, in grado di assorbire bene gli urti ammortizzandoli e l’incollaggio a scafo viene fatto con resina rigide di tipo epossidiche caricata con microsfere (come la nota araldite)

Incappellaggi in vetroresina o in gel coat (originale di cantiere) sulle teste dei perni e dadi, se da un lato sono una garanzia di tenuta negli anni, dall’altro le possibili crepe del rivestimento permettono all’acqua e all’umidità in sentina di infiltrarsi sotto il gel coat bagnando i perni e nascondendo il reale stato di conservazione. Verificare rondelle, piastre e dadi che siano dello stesso materiale dei perni di sostegno per evitare eventuali corrosioni da contatto. I nemici dei metalli sono sempre l’ossigeno, l’umidità e la salsedine. La ruggine spesso è superficiale e protettiva ma nel caso contrario si mangia lentamente tutto!

Verificare che il fasciame non presenti flessioni o avvallamenti anomali a poppavia (segno di un urto) ne crepe o dossi. All’interno i paglioli devono essere ben allineati e complanari tra loro e le porte chiudersi bene. Se così non fosse, specialmente con ossatura controstampata allora qualcosa forse è accaduto!

Le piastre dei prigionieri si possono presentare ossidate in corrispondenza del perno. Può non essere infiltrazione ma la causa è nella foratura della piastra fatta in modo inappropriato, troppo velocemente e senza emulsione oleosa di raffreddamento, il risultato è il surriscaldamento dell’area circostante rendendo ossidabile l’area termicamente alterata.

Alcune chiglie vengono sagomate e integrate nel recesso dedicato alla ghiotta di raccolta dentro lo scafo e incapsulato al suo interno. A mio avviso è un punto debole e spesso causa di possibili infiltrazioni da piccole cricche sulla superficie della vaschetta inglobata nella deriva in seguito a urti o incagli.

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photo credit @Sacha Giannini

In conclusione, un trafilaggio di acqua, anche rugginosa, dai bordi dell’attacco pinna-scafo, la presenza di fratture e distacchi lungo i perimetri dell’incollaggio del controstampo, eventuali crepe sui madieri e longitudinali e i perni-prigionieri fortemente ossidati sono chiari sintomi premonitori di stress o cedimenti strutturali.

Quali controlli fare allora? … di regola alzare i paglioli più spesso!

Sacha Giannini

 

 

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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