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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Eritrea, corno d’Africa
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Il Corno d’Africa
L’area rappresenta un nodo di relazioni complesse tra i diversi attori che si affacciano su quel tratto di mare. In primis Etiopia ed Eritrea le cui contrapposizioni rimangono all’ordine del giorno, anche dopo l’apparente “riconciliazione” del 2018, abbondantemente innaffiata con miliardi di USD, che portò l’allora primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, ad ottenere il Premio Nobel per la pace. In tale ambito, Arabia Saudita ed EAU hanno fortemente sponsorizzato l’intesa tra i due Paesi, nel quadro della loro crescente presenza nel Corno d’Africa e, in particolare, in Somalia in competizione con Turchia e Qatar, condizionati nei loro comportamenti dai rapporti con l’Egitto in vari scacchieri.
Nel complesso, però, si tratta del raggiungimento di una calma precaria che maschera la persistenza nell’area di un profondo malessere e di una rivalità apparentemente insanabile, oltre che di tensioni di vario genere, in primo luogo etniche, che non aiutano certo la complessiva situazione delle rispettive popolazioni. Le tensioni etniche, infatti, persistono malgrado le grandi speranze riposte nel citato percorso di riconciliazione nazionale, che ha posto fine a venti anni di guerra a bassa intensità. In tale ambito, la pace non sembra aver portato, come auspicato, un maggiore sviluppo economico e sociale per i cittadini etiopi ed eritrei. Lo stallo sembra in gran parte riconducibile all’approccio di Asmara, che mantiene il suo tradizionale isolamento dalla comunità internazionale e che teme i rischi connessi alla prospettiva di diventare lo sbocco al mare di Addis Abeba che, attraverso il processo di riconciliazione, intenderebbe usufruire del porto di Massaua quale terminale per il suo traffico mercantile.
Satellite image of Eritrea, May 2003 – Fonte ritaglio da http://visibleearth.nasa.gov/view_rec.php?id=5447 Autore Jeff Schmaltz, MODIS Rapid Response Team, NASA/GSFC Satellite image of Eritrea in May 2003.jpg – Wikimedia Commons
Secondo alcuni osservatori, inoltre, l’Eritrea continuerebbe a sostenere indirettamente i conflitti interni etiopi, con l’obiettivo di indebolire il grande Paese confinante, in modo da consentire ad Asmara di acquisire il posto cui ambisce sulla scena regionale e internazionale. In tale azione avrebbe registrato la complicità dell’Egitto, che rimane contrapposto all’Etiopia sulla delicata e vitale questione del controllo delle acque del Nilo. Va anche evidenziato il ruolo destabilizzante di una serie di altri attori esterni, come ulteriore elemento di debolezza che si aggiunge a quelli già menzionati. I nuovi attori in Africa (Turchia, Emirati, Arabia Saudita, Qatar, Russia, Cina, etc.) operano sul Continente, infatti, con agende nascoste e per finalità spesso ricollegabili a un espansionismo mercantile e religioso. Agende portate avanti senza scrupoli e con intenti predatori, quindi, destinate a non facilitare la conclusione pacifica delle controversie e suscettibile, per esempio, di portare l’Egitto e l’Etiopia verso un conflitto armato da usare quale strumento di ulteriore destabilizzazione del Corno d’Africa e della regione del Mar Rosso.
L’Etiopia è stata storicamente esposta a interferenze esterne da parte di quanti avevano interesse a rendere più fragile un Paese dotato di un notevole potenziale demografico, militare, politico ed economico. Interferenze che possono essere correlate al flusso di denaro per le infrastrutture. In tale ambito, l’Etiopia vede massicci investimenti privati da parte dei sauditi, in particolare nel settore agricolo. A questi si aggiungono poi i colossali investimenti cinesi, nell’ambito di una relazione privilegiata tra Addis Abeba e Pechino, che vede l’Etiopia come una porta di ingresso al continente africano a ridosso del Mar Rosso, pur non avendo sbocchi al mare. Fedeli alle loro tradizioni, alla loro filosofia e alla loro prassi i cinesi non hanno fretta. In quella parte di mondo stanno sviluppando una politica estremamente onerosa, che ha relativamente poche contropartite immediate, ma che prevedibilmente offrirà significativi frutti in futuro. Va anche sottolineato che nell’area la Cina ha sottratto agli EAU il controllo del traffico merci del terminale porta-containers del porto di Gibuti, che oggi è divenuto anche sua unica e stabile base navale all’estero. Le ambizioni cinesi sul continente africano sembrano, quindi, aver trovato un solido punto di “sbarco” a “portata di voce” dalla base di Camp Lemonnier, sede del Combined Joint Task Force – Horn of Africa (CJTF-HOA) dello United States Africa Command (USAFRICOM).
Comandante della Combined Joint Task Force Corno d’Africa (CJTF HOA), contrammiraglio. Richard Hunt incontra il sindaco di Dire Dawa Abdul Aziz nella tendopoli in costruzione dagli Stati Uniti Navy Seabees assegnati al Naval Mobile Construction Battalion Five (NMCB-5), DET HOA e all’esercito etiope. NMCB-5 si è unito a uno sforzo multinazionale, che comprende organizzazioni non governative (ONG) e l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) nello sforzo umanitario dopo 15 giorni di forti piogge che hanno spazzato via strade e case nella regione – Foto della Marina (RILASCIATA)
A completare il disarmante quadro del Corno d’Africa va sottolineato che nel 2016 la Somalia ha elaborato una bozza di Costituzione la quale, tuttavia, apparve subito come un prodotto inconsistente rispetto alla realtà sul campo, con cinque Stati federati e un governo centrale che controllavano autonomamente parti del territorio ma che non collaboravano tra loro in un contesto di non chiarezza riguardo all’uso delle risorse naturali, dimostrando tutta la loro debolezza a causa di tensioni interne e di interferenze esterne con finalità contrastanti.
Fine II parte – continua
Renato Scarfi
in anteprima Gibuti, Africa (4 aprile 2007) – un HC-130P decolla da Camp Lemonnier a sostegno della missione Combined Joint Task Force-Corno d’Africa, un’unità del Comando Centrale degli Stati Uniti. La missione dell’organizzazione è prevenire i conflitti, promuovere la stabilità regionale e proteggere gli interessi della coalizione per prevalere contro l’estremismo. L’organizzazione conta più di 1.500 persone provenienti da ciascun ramo dell’esercito, dipendenti civili, forze di coalizione e paesi partner. – Foto dell’aeronautica militare statunitense – autore Daren Reehl (RILASCIATA)
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è un ufficiale pilota della Marina Militare della riserva. Ha frequentato il corso Normale dell’Accademia Navale e le scuole di volo della Marina Statunitense dove ha conseguito i brevetti di pilotaggio d’areo e d’elicottero. Ha ricoperto incarichi presso lo Stato Maggiore della Difesa, il Comando Operativo Interforze, lo Stato Maggiore della Marina, la Rappresentanza militare italiana presso la NATO a Bruxelles, dove si è occupato di strategia marittima e di terrorismo e, infine, al Gabinetto del Ministro della Difesa, come Capo sezione relazioni internazionali dell’ufficio del Consigliere diplomatico. E’ stato collaboratore della Rivista Marittima e della Rivista informazioni della Difesa, con articoli di politica internazionale e sul mondo arabo-islamico. È laureato in scienze marittime e navali presso l’Università di Pisa e in scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Trieste e ha un Master in antiterrorismo internazionale. È autore dei saggi “Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale” e “Il terrorismo jihadista”
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