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Il combattimento notturno e la Regia Marina italiana

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: tattiche notturne, tiro
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A ottant’anni dagli avvenimenti esistono ancora falsi miti e strascichi consolidati dalle polemiche, talvolta pretestuose e molto personali da parte di alcuni dei protagonisti sopravvissuti in merito alle cause della sconfitta. Una sconfitta che non fu personale ma di sistema perché la Seconda guerra mondiale fu la prima guerra tecnologica tra capacità industriali e noi la combattemmo con gli uomini. Con questo breve studio si vuole solamente sollevare il problema della pacata rivisitazione dei fatti, anche rispolverando alcuni dei miti e motivi di acceso scontro del passato, e vuole quindi essere una provocazione per facilitare approfondimenti da parte degli appassionati anche se tecnici e storici sono già andati oltre in molti approfondimenti.

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Se durante il giorno l’osservazione del tiro poteva essere complessa, immaginiamoci durante la notte Fonte dell’immagine:  studio di Giancarlo Poddighe pubblicato di Academia.org
ARTIGLIERIE E TIRO NAVALE ITALIANO ARTIGLIERIE E TIRO NAVALE ITALIANO | Gian Carlo Poddighe – Academia.edu

Tra i fattori di inferiorità della Regia Marina italiana nel confronto con la Royal Navy va annoverato l’insufficiente preparazione al combattimento notturno. Si semplifica riducendo questa problematica alla carenza di apparati radar ma in realtà la questione fu molto più complessa. Innanzitutto, in Mediterraneo la dotazione di questo tipo di apparecchiature solo a partire dal 1942 divenne generalizzata;  i Radar disponibili erano strumenti con diverse limitazioni operative, sebbene destinati al tiro più che alla scoperta, erano spesso di limitata efficienza al punto che vedette bene addestrate dotate di buoni strumenti ottici avevano capacità di avvistamenti notturni equivalenti se non superiori ai radar disponibili fino a metà del conflitto. Il fenomeno sembrerebbe essere comune anche in altre latitudini; ad esempio la Nihon Kaigun (la Marina Imperiale Giapponese), che non dispose di radar se non nelle fasi finali del conflitto, per anni ebbe una marcata superiorità in questo tipo di combattimento sulla US Navy statunitense che ne era invece abbondantemente dotata.  

C’è da chiedersi cosa avesse la Marina Imperiale di diverso dalla Regia Marina: migliori ottiche o più efficace addestramento, o tutte e due?
Anche nella stessa guerra del Mediterraneo vi sono vari episodi in cui il combattimento notturno fu determinante, per esempio nella battaglia di Matapan ma anche  nella distruzione del convoglio “Duisburg” quando il convoglio italiano fu localizzato dalle vedette dell’incrociatore Aurora della Forza K solo per mezzo dei binocoli alla distanza di circa 9 miglia (oltre 16.000 metri). Il combattimento notturno non fu però solo un problema di avvistamento. Nella dottrina italiana di anteguerra per unità maggiori il combattimento notturno non era considerato;  non solo per coordinare efficacemente i movimenti delle navi ma anche per le difficoltà di capire come evolveva l’azione, identificare correttamente il nemico (con conseguenti forti rischi di “fuoco amico” e di collisioni), di fatto aumentando il rischio che, nella confusione, un’unità silurante nemica riuscisse a lanciare un colpo fortunato. Si riteneva quindi che l’esito di uno scontro notturno fosse troppo imprevedibile e troppo dipendente dalla fortuna per essere desiderabile. La possibilità di un combattimento notturno ricercato di propria iniziativa era quindi stata esclusa dai manuali e per le azioni notturne si riteneva più conveniente impiegare i cacciatorpediniere della squadra quali unità siluranti. 

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John Jellicoe (5 dicembre 1859 – 20 novembre 1935) fu un ammiraglio inglese, comandante in capo della Grand Fleet durante la prima guerra mondiale John Jellicoe …jpg – Wikimedia Commons

Ricordo le dichiarazioni dell’ammiraglio Jellicoe dopo la battaglia dello Jutland: “Ho scartato subito l’idea di un’azione notturna tra le navi pesanti, in quanto avrebbe portato problemi sempre maggiori a causa, in primo luogo, della presenza di unità siluranti in numero così elevato e, in secondo luogo, dell’impossibilità di distinguere tra le nostre navi e quelle nemiche. Inoltre, il risultato di un’azione notturna nelle condizioni moderne sarà sempre in gran parte una questione di puro caso”.

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La corazzata statunitense USS Washington (BB-56) durante esercitazioni di tiro notturne, 1942 – Fonte Foto della Marina degli Stati Uniti dal libro di crociera della Seconda Guerra Mondiale della USS Washington (BB-56) disponibile su Navysite.de Autore Marina degli Stati Uniti USS Washington (BB-56) firing during the Second Naval Battle of Guadalcanal, 14 November 1942.jpg – Wikimedia Commons

Con queste premesse era considerato imperativo interrompere il contatto balistico tra le unità maggiori nell’imminenza del tramonto e per favorire il disimpegno non si sarebbe dovuto esitare a ordinare ripetuti attacchi alle unità siluranti. Interrotto lo scontro le unità sottili avrebbero provveduto alla protezione del grosso, all’esplorazione e al mantenimento del contatto col nemico e se possibile ad attaccarlo col siluro.  Poiché si riteneva che il nemico avrebbe proceduto allo stesso modo, le unità maggiori nelle ore notturne avrebbero dovuto tenersi pronte a reagire con le armi contro gli attacchi delle siluranti. Negli anni ’20 il tema era stato ampiamente dibattuto, evolvendo, ed i testi con le analisi e le nuove teorie erano stati tradotti ed ampiamente diffusi in Italia e pubblicati dagli stessi vertici della Marina. Il tiro notturno con l’ausilio di illuminanti e l’uso di cariche V.R. (a vampa ridotta) era inspiegabilmente previsto dalle norme regolamentari italiane solo per i calibri anti silurante sulle unità maggiori e per le unità sottili. Non esisteva però alcuna tecnica/norma per il tiro notturno con i grossi calibri né, tantomeno, alcuna tattica d’impiego coordinato dei proiettori luminosi in supporto a tali artiglierie.

È tutta da verificare e suona a giustificazione l’affermazione che la dottrina operativa italiana sul punto era molto simile a quella del principale avversario, la Marina Francese.

Di fatto la Royal Navy e la Nihon Kaigun giapponese nell’anteguerra avevano sviluppato tattiche e tecniche relative al combattimento notturno per le unità maggiori mentre la non certo arretrata U.S. Navy dovette superare l’impasse con un balzo tecnologico solo a guerra in corso con la diffusione di apparati radar sempre più efficienti.
Gianluca Bertozzi
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