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il mistero dell’ossigeno oscuro generato sul fondo degli oceani

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: ossigeno, noduli metallici
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Gli oceani non smettono di stupirci. Gli scienziati hanno recentemente scoperto che i noduli polimetallici, che ricoprono vaste parti dei fondali marini oceanici profondi, producono ossigeno. La notizia per quanto strana è scientificamente provata in quanto la vicinanza fra quei ciottoli metallici li rende simili a delle batterie che provocano un flusso elettrico facendo scomporre gli ioni dell’acqua marina.
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Facciamo un passo indietro: come ricorderete la maggior parte dell’ossigeno sul nostro pianeta viene creato tramite la fotosintesi ossigenica, più comunemente nota come clorofilliana, un processo mediante il quale piante, alghe e alcuni batteri utilizzano l’energia della luce solare per produrre energia chimica, creando ossigeno come sottoprodotto. Sebbene non sia stato stabilito quando siano apparsi nel globo i primi organismi capaci di attuarla fotosintesi, la presenza di formazioni striate in alcune rocce, dovute alla presenza di ossidi di ferro (la comune ruggine), fa supporre che cicli stagionali di ossigeno nell’atmosfera terrestre, possano essere apparsi approssimativamente 3 miliardi e mezzo di anni fa nell’Archeano.

Di fatto tra il 50 al 70 percento della fornitura globale di ossigeno proviene dall’oceano, principalmente dal fitoplancton, grazie all’effetto della luce solare che, penetrando fino a una profondità di circa 200 m nello strato superiore dell’oceano, la zona eufotica, catalizza questa produzione. Solo una piccola quantità di luce, non visibile all’occhio umano, continua a penetrare fino a raggiungere la zona afotica dove regna la totale oscurità dove, non essendoci radiazioni luminose, non possono avvenire processi di fotosintesi e quindi nessuna produzione di ossigeno. Le forme animali che sopravvivono negli abissi dipendono dalle tracce di gas disciolto trasportato dai flussi verticali di acqua fredda oppure tramite processi di chemiosintesi che, utilizzando batteri simbiotici, sfruttano l’energia liberata da alcune reazioni inorganiche per produrre sostanze organiche. È il caso delle incredibili sorgenti idrotermali profonde dove sostanze inorganiche tossiche come l’idrogeno solforato vengono trasformate in energia che sostiene la vita. Molti degli organismi che utilizzano la chemiosintesi possono quindi sopravvivere in ambienti estremi con temperature, pressioni, salinità ostili alla maggior parte degli organismi viventi.
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Veniamo ora alla notizia. In uno studio recente pubblicato su Nature Geoscience, “Evidence of dark oxygen production at the abyssal seafloor” di Andrew K Sweetman et alii, che ipotizza che, la presenza di alti potenziali di tensione (fino a 0,95 V) su superfici contigue dei noduli metallici polimorfici sul fondo degli oceani, si può verificare una reazione elettrolitica dell’acqua di mare, contribuendo alla produzione di ossigeno, battezzato non a caso oscuro in quanto generato in totale assenza di luce, anche nelle profondità marine. In particolare, le misure hanno rivelato che l’O2 è aumentato in due giorni fino a più di tre volte la sua concentrazione sul fondo.

La zona di Clarion-Clipperton, situata nell’Oceano Pacifico settentrionale, è di particolare importanza in quanto contiene sui suoi fondali grandi ammassi di noduli polimetallici. Ciò la rende una preziosa prospettiva per l’industria mineraria in acque profonde. Il professor Andrew Sweetman della Scottish Association for Marine Science (SAMS), autore dello studio, stava campionando il fondale marino della zona Clarion-Clipperton per conto della Metals Company, come parte di uno studio sui potenziali impatti dell’estrazione mineraria in acque profonde. Come ricorderete, i noduli metallici sono il bersaglio principale delle future operazioni di estrazione mineraria in acque profonde come fonte di metalli come cobalto, manganese e nichel, che sono necessari per supportare la crescente domanda di elettronica di consumo e tecnologie di energia rinnovabile. In parole semplici, gli scienziati hanno scoperto che i noduli, ravvicinati fra di loro, agiscono come delle comuni batterie, creando una carica elettrica di potenza sufficiente (circa 1 V) a far scindere l’acqua di mare (H2O) in ioni di ossigeno e idrogeno. Di fatto è la prova che viene prodotto ossigeno anche nelle profondità marine.

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Mappa del Pacifico che mostra l’area denominata Clarion Clipperton Zone – Fonte https://www.usgs.gov/media/images/locations-clarion-clipperton-zone – USGS

Le domande che ci poniamo a questo punto sono:

– questa produzione è quantitativamente significativa?

– quale potrebbe essere l’impatto dell’estrazione mineraria in acque profonde, al di là dell’area in cui avviene?
Naturalmente questa nuova scoperta non è vista di buon occhio dalle compagnie minerarie che stanno scapitando per poter iniziare l’estrazione. Secondo New Scientist, Patrick Downes della The Metals Company (la stessa compagnia per cui lavora Sweetman) ha dichiarato che i risultati sarebbero frutto di una contaminazione di ossigeno da fonti esterne. Al di là degli aspetti ecologici e commerciali, la scoperta ha anche implicazioni su come iniziò la vita sulla Terra, poiché implica l’esistenza di un fattore che finora non era stato preso in considerazione. “Affinché la vita aerobica abbia avuto inizio sul pianeta, doveva esserci ossigeno e la nostra comprensione è che la fornitura di ossigeno della Terra iniziò con gli organismi fotosintetici“, ha affermato Sweetman. “Ma ora sappiamo che c’è una nuova possibilità”.

 

“Evidence of dark oxygen production at the abyssal seafloor” di Andrew K Sweetman et alii è stato pubblicato con licenza Open Access su Nature Geoscience.
Le immagini subacquee nella zona di Clarion Clipperton sono state effettuate dal © ROV KIEL 6000, GEOMAR / Wikimedia Commons (CC BY 4.0)

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