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L’autorità suprema navale e il Praefectus classis della marina imperiale romana

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: IMPERO ROMANO
AREA: MARE NOSTRUM
parole chiave: gerarchia, organizzazione, ordinamento, Praefectus Classis

Per inquadrare correttamente la questione dell’ordinamento del personale che prestava servizio presso la Marina imperiale romana, occorre innanzi tutto chiarire bene un problema di terminologia. Per “Marina” noi intendiamo la forza armata che concorre al sistema di difesa di una nazione mediante l’impiego delle proprie “forze marittime”, ovvero le forze navali (navi da guerra e unità ausiliarie) e le altre componenti belliche che partecipano alle operazioni nel teatro marittimo (mare e coste): quindi anche la fanteria di marina, poiché questa può operare sia a bordo delle navi che sulla costa, talvolta anche allontanandosi alquanto dal mare.

Autorità suprema

Per i Romani, le forze armate – res militaris – erano suddivise in tre parti: la cavalleria, la fanteria e la flotta (classis). Alcuni ne concludono sbrigativamente che la flotta era una componente dell’esercito, mentre risulta più razionale, secondo la nostra concezione odierna, considerarla proprio come una forza armata distinta dalle altre due (che, operando insieme sul terreno, costituivano l’esercito vero e proprio). Quella che ai nostri occhi era la Marina dell’impero, era l’insieme delle flotte imperiali, cioè l’ampio e razionale dispositivo navale schierato in tutto l’Orbis romanus. Quel dispositivo era soggetto alla volontà dell’imperatore, fin dall’epoca di Augusto, che ne aveva concepito i lineamenti principali e amava sottolinearne orgogliosamente l’appartenenza (classis mea). Abbiamo peraltro visto che anche i successivi imperatori hanno voluto apportare delle migliorie al dispositivo navale augusteo per adattarlo al mutare delle situazioni e all’allargamento degli interessi di Roma.

L’autorità suprema, sovraordinata a tutte le forze marittime, era dunque avocata a sé dall’imperatore, che la esercitava direttamente o tramite i propri rappresentanti locali. In particolare, i comandanti delle flotte provinciali dipendevano normalmente dal governatore della rispettiva provincia, fermo restando che l’imperatore poteva sospendere all’occorrenza la propria delega ed esercitare la propria autorità in modo diretto: ciò accadde ad esempio alla flotta Pontica in occasione della guerra Partica di Traiano. Le flotte Misenense e Ravennate, invece, rimasero permanentemente alle dipendenze dirette dell’imperatore e ricevettero pertanto il titolo di “pretorie”.

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Praefectus classis

Il Comandante in Capo di ciascuna flotta era chiamato praefectus classis. A partire da Augusto tale incarico venne attribuito da tutti gli imperatori – tranne Claudio e Nerone – a dei personaggi dell’aristocrazia equestre, cioè a membri dell’ordine dei cavalieri, la cui carriera pubblica – civile e militare (cursus honorum) – poteva giungere fino alle prefetture più importanti: oltre a quella di una flotta, vi erano quelle dei vigili, dell’annona, d’Egitto e del pretorio (la più potente).
Naturalmente vi era una sensibile differenza fra il livello dei comandanti delle varie flotte, a seconda della maggiore o minore consistenza e importanza delle flotte stesse. Per stabilire il livello delle cariche pubbliche i Romani si riferivano agli stipendi attribuiti ai funzionari ad esse preposti. In particolare, venivano definiti sessagenari (sexagenarii), centenari (centenarii), ducenari (ducenarii) e tricenari (tricenarii) coloro il cui stipendio annuo ammontava, rispettivamente, a 60.000, 100.000, 200.000 o 300.000 sesterzi.
I comandanti in capo delle flotte provinciali erano tutti al livello sessagenario, tranne quelli delle classis Britannica, Germanica e Pontica, che avevano il rango centenario, mentre quelli delle due flotte maggiori erano perlomeno al livello ducenario, come nel caso della classis Ravennas. Tuttavia, il comandante in capo della classis Misenensis, che per la sua importanza era di fatto il numero uno della Marina imperiale, doveva avere il rango tricenario, come i prefetti dei vigili, dell’annona e d’Egitto. L’elevato rango degli ammiragli comandanti delle due flotte maggiori è stato confermato attribuendo loro, come ai predetti tre prefetti, il titolo onorifico di vir perfectissimus, un gradino al disotto di quello del solo prefetto del pretorio, cui spettava il titolo di vir eminentissimus. Furono di estrazione equestre anche i vice comandanti (subpraefecti) – presenti come sessagenari presso le due flotte maggiori e presso la classis Alexandrina – e i comandanti delle vessillazioni navali (praepositi vexillationis), fino a ducenari.

Da quanto abbiamo visto, gli alti comandi navali erano affidati a personaggi di rango equestre che avevano già dato prova di sé nei precedenti incarichi della propria carriera. Essi erano selezionati con cura dall’imperatore, con un’attenzione particolarmente viva per le due flotte pretorie, a riprova dell’importanza che veniva attribuita alla marina. Un chiaro esempio dell’accuratezza di tali valutazioni è rappresentato dalla nomina al comando della flotta Misenense, da parte di Vespasiano, di una personalità di enorme valore, qual era Plinio il Vecchio.

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Altro riscontro della qualità dei personaggi posti a capo delle flotte pretorie è costituito dal successivo raggiungimento della carica di prefetto del pretorio da parte di almeno cinque di essi (per quel poco che ci è noto). Esiste peraltro un eccellente esempio di carriera di successo compiuta da parte di un comandante di flotta provinciale: Publio Elvio Pertinace, di umilissime origini, pervenne dopo vari incarichi militari a comandare la classis Germanica; poi, dopo altre cariche – incluso il comando della I legione Adiutrice – fu nominato senatore, governatore della Mesia, della Dacia, della Siria, della Britannia, prefetto dell’Urbe, due volte console e infine imperatore.

Domenico Carro

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estratto dal saggio Classiari di Domenico Carro – Supplemento alla Rivista marittima aprile-maggio 2024 – per gentile concessione della Rivista Marittima, dedicato alla memoria del figlio Marzio, corso Indomiti, informatico visionario e socio del Mensa, prematuramente scomparso

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