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Il trattamento economico sulle navi imperiali romane

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVAALE ROMANA
PERIODO: IMPERIALE ROMANO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Flotta romana, stipendio, vita di bordo, vitto
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Le tre monete d’oro ricevute da una recluta classiaria, Antonio Massimo, possono essere interpretate in vario modo: come rimborso forfettario delle spese sostenute per raggiungere Miseno, come donativo imperiale all’atto dell’arruolamento oppure come una delle tre rate annuali in cui veniva suddiviso lo stipendio da consegnare a ciascun militare. In quest’ultimo caso disporremmo di un dato per calcolare l’ammontare della paga annua di un giovane classiario.

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aureo di Ottaviano Augusto 18-17/16 a. C. (zecca di Colonia Patricia) Moneta (aureo) di Augusto: testa di Augusto e capricorno | Musei Capitolini

Quei tre aurei, in effetti, sono pari a 75 denari d’argento, che corrispondono ad un terzo dello stipendio annuo di un legionario all’epoca di Augusto e Tiberio e ad un quarto di quello dell’epoca di Domiziano. Si trattò dunque di una somma alquanto consistente per la giovane recluta, ma non ci consente di effettuare alcun calcolo probante, sia perché non conosciamo l’anno di arruolamento del nostro classiario (e lo stipendio fu oggetto di ulteriori aumenti sotto Settimio Severo e Caracalla), sia perché non tutto lo stipendio veniva consegnato ai militari, nelle tre rate annuali, ma solo una metà: l’altra metà veniva trattenuta dal comando per essere consegnata al momento del congedo come buonuscita.

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denario legionario di Marco Antonio – photo credit andrea mucedola

Non abbiamo dunque elementi per capire a quanto potesse ammontare lo stipendio dei classiari o, perlomeno, per valutare di quanto fosse inferiore rispetto ai militari dei corpi notoriamente privilegiati (i pretoriani, più di tutti) e se fosse sensibilmente inferiore a quello dei legionari, come sono propensi a credere – pur in assenza di specifiche indicazioni nelle fonti antiche – molti studiosi. Secondo logica, l’ipotesi di un trattamento economico migliore per i legionari risulta perfettamente credibile, visto che questi erano cittadini romani. Meno credibile è invece l’ipotesi di una forte disparità di stipendio, perché ciò sarebbe stato incoerente con l’attribuzione del titolo di praetoria alle due flotte d’Italia e anche con la perenne attenzione di tutti gli imperatori (tranne l’effimero Galba) a non creare del malcontento in seno ad esse. In ogni caso, la conoscenza dell’esatto ammontare dello stipendio dei classiari non ci sarebbe di grande utilità, così come già accade per i legionari. Per questi, infatti, e a maggior ragione per i classiari, il semplice riferimento alla paga annuale li farebbe apparire piuttosto bisognosi qualora non si tenesse conto di tutte le agevolazioni (ad esempio, esenzioni fiscali) e di tutti i vari altri introiti disseminati lungo l’intero arco della loro ferma (militia): indennità di vario genere, le gratifiche per la partecipazione ad azioni belliche, o anche a manovre svolte in presenza del principe, e le ricorrenti elargizioni imperiali.

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denario di Ottaviano Augusto – photo credit andrea mucedola

Anche i tentativi di valutare le loro possibilità economiche basandosi su raffronti semplicistici fra il potere d’acquisto della loro valuta con quello della nostra rischiano di essere fuorvianti, poiché il costo dei vari beni muta in modo tutt’altro che uniforme con il trascorrere del tempo. Limitandoci alla spesa alimentare, ci si può riferire ad una lista della spesa quotidiana annotata come graffito su una colonna della Grande Palestra di Pompei. Ipotizzando che i quantitativi dei generi elencati corrispondessero al consumo giornaliero di una famiglia di tre persone, tale spesa sarebbe stata difficilmente sostenibile con il solo stipendio di un legionario, e quindi insostenibile per un classiario. Del resto, sulla base di un altro graffito pompeiano potrebbe desumersi che la spesa alimentare media sostenuta per un analogo nucleo familiare fosse alquanto superiore. Ma poiché sappiamo che dei classiari mantenevano una propria famiglia ancor più numerosa, è evidente che i loro introiti complessivi fossero ampiamente maggiori del solo stipendium.

Vitto

Rimanendo sul tema alimentare, non abbiamo molte informazioni sul vitto dei classiari nelle mense a terra e a bordo delle navi. Sappiamo che la logistica romana consentiva anche alle guarnigioni militari più remote un’alimentazione di qualità. Per i classiari della flotta Misenense possiamo quindi supporre un’alimentazione più coerente con i prodotti di maggior consumo nel golfo di Napoli e di cui abbiamo un’idea abbastanza precisa dall’esame di un grande campione di materiale organico rinvenuto ad Ercolano: uova, olive, fichi e soprattutto pesce e frutti di mare. A bordo il problema era ovviamente più complesso, perché oltre ai viveri freschi utilizzabili subito dopo la partenza, occorreva disporre di notevoli quantitativi di cibi a lunga conservazione, come quelli cotti (cocta cibaria) che potevano assicurare alla nave un’autonomia alimentare per almeno trenta giorni.

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Fra tali cibi non potevano mancare le insostituibili gallette, nella loro versione romana che Plinio chiama “pane nautico” (nauticus panis), descrivendolo come un pane secco, pestato e cotto nuovamente. Per i classiari della flotta Misenense possiamo quindi supporre un’alimentazione più coerente con i prodotti di maggior consumo nel golfo di Napoli e di cui abbiamo un’idea abbastanza precisa dall’esame di un grande campione di materiale organico rinvenuto ad Ercolano: uova, olive, fichi e soprattutto pesce e frutti di mare. A bordo il problema era ovviamente più complesso, perché oltre ai viveri freschi utilizzabili subito dopo la partenza, occorreva disporre di notevoli quantitativi di cibi a lunga conservazione, come quelli cotti (cocta cibaria) che potevano assicurare alla nave un’autonomia alimentare per almeno trenta giorni. Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Screenshot-2025-02-02-162940.png

piatto con decorazione di pesci – Museo di Paestum – photo credit @ andrea mucedola

Infine, per annaffiare convenientemente i pasti, non solo nelle mense a terra ma anche a bordo, non poteva mancare il vino. Questo veniva regolarmente distribuito a tutto l’equipaggio, come sappiamo da Catone, che, per mostrare la propria frugalità, si era vantato di aver bevuto lo stesso vino dei rematori. La preoccupazione di non far mancare il vino a bordo era anche stata la causa indiretta della splendida vittoria navale romana di Mionneso, poiché il comandante della flotta, Lucio Emilio Regillo, era entrato all’improvviso in un porto greco per impadronirsi delle anfore vinarie che erano state preparate per il nemico.

Domenico Carro
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estratto dal saggio Classiari di Domenico Carro – Supplemento alla Rivista marittima aprile-maggio 2024 – per gentile concessione della Rivista Marittima, dedicato alla memoria del figlio Marzio, corso Indomiti, informatico visionario e socio del Mensa, prematuramente scomparso

 

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