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livello elementare
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ARGOMENTO: MITI E LEGGENDE DEL MARE
PERIODO: TANTO TEMPO FA
AREA: ECHINODERMI
parole chiave: Ricci di mare, leggende
Poiché nessun riccio di mare vive in ambienti di acqua dolce, è difficile immaginare cosa avrebbero potuto pensare gli antichi, che vivevano molto lontano dalla costa e che non avevano mai visto il mare, quando si imbatterono in un echinoderma fossile con quei particolari segni a forma di stella sulla sua superficie. Avranno pensato, che quei segni a forma di stella indicassero un’origine celeste? Quella strana pietra poteva possedere proprietà magiche o mistiche?
Questo fossile di riccio di mare, esposto al Musée cantonal de Geologie di Losanna, Svizzera, ha circa 120 milioni di anni e fu scoperto nella zona di Saint-Croix, nel Canton Vaud, nel 1890
Sea Urchin Fossil Musse Cantonal De Geologie-Lausanne Roman Deckert2 4042021.jpg – Wikimedia Commons
Popolare nella mitologia celtica era una classe di ricci di mare, Echinocorys, un genere estinto di echinoidi che visse dal tardo Cretaceo al Paleocene i cui resti sono stati ritrovati in Asia, Europa, Australia e Nord America. Una leggenda raccontava che le famiglie che tenevano in casa i fossili di ricci di mare, chiamati pani delle fate, non sarebbero mai rimaste senza pane. Questi fossili venivano posti sulle tombe e considerati cibo spirituale per gli spiriti nell’aldilà garantendo loro l’immortalità.
Nel corso degli anni in Inghilterra il nome di quei fossili cambiò in Corona del pastore, probabilmente perché nelle terre basse meridionali, i pastori si imbattevano in questi fossili mentre si prendevano cura delle loro pecore. Fu così che, credendo ai poteri magici di quei curiosi fossili, iniziarono a posizionarli sui davanzali delle finestre come protezione e portafortuna. I fossili venivano sistemati anche sugli scaffali della dispensa e sugli scaffali delle latterie perché si riteneva che mantenessero il latte … fresco. Venivano anche usati come gioielli e come simboli religiosi. Infatti su molte facciate di chiese in Inghilterra venivano incastonati fossili di ricci perché, in quello strano connubio tra sacro e profano, si riteneva potessero tenere lontano il diavolo.
una finestra di St Peter’s Linkenholt, con un arco formato da una fila di 25 ricci di mare di gesso (Echinocorys) conservati nella selce
Fossil folklore: Echinoderms – Deposits
Ma ciò che colpiva di più era la bellezza e la perfezione delle forme. Ecco perché in passato i fossili venivano ritenuti troppo belli per essere di questa terra e si pensava avessero poteri magici. Oltre a essere considerati portafortuna, si pensava potessero proteggere dalle malattie e dai fulmini durante i temporali.
Il paleontologo Ken McNamara ha scoperto che le cosiddette “uova di serpente” erano in realtà scheletri di echinodermi, tra cui i ricci di mare.
Xilografia del 1497 che raffigurante un giovane che tenta di rubare un uovo, Ovum anguinum, da una congregazione di serpenti decisamente arrabbiati. Il presunto uovo di serpente è in realtà il fossile di un normale riccio di mare
Fossil folklore: Echinoderms – Deposits
Si arrivò a credere che possedere uno di essi potesse aiutare a superare dispute e litigi ma anche situazioni dolorose. Un’opinione diffusa vista che anche in alcune culture africane, si pensava che possederne uno potesse facilitare il parto alle donne. Nelle sue ricerche McNamara trovò delle sepolture in cui intorno al corpo del defunto venivano disegnati degli archi con gli scheletri dei ricci di mare per aiutarlo nel suo viaggio nell’aldilà.
La “Pietra degli ebrei” (Lapis judaicus) è il nome dato alle spine di alcuni echinoidi cidaroidi, in particolare Balanocidaris. Ampiamente utilizzata come profilassi e trattamento per vari disturbi urinari comuni e dolorosi, in particolare calcoli alla vescica, calcoli renali e disurea, ha una lunga tradizione folcloristica che risale ai tempi classici, in particolare nell’area del Mediterraneo. L’applicazione medicinale della pietra degli ebrei era determinata dalla sua forma, utilizzando il principio della magia simpatica. Sia succhiata che in polvere e mescolata con un’ampia gamma di ingredienti botanici, minerali e animali, veniva spesso assunta nel vino o nell’acqua. A Malta, le spine degli echinoidi erano chiamate bastone di San Paolo.
Nei tempi antichi, i ricci di mare erano anche considerati protettori dei viaggi oceanici. I loro fossili, usati come amuleti, proteggevano il possessore dai pericoli durante i viaggi ed un ritorno sicuro a casa. Vi è una leggenda che racconta che ogni fossile di riccio di mare sia una lacrima caduta dagli occhi dei Signori dei Mari. Queste lacrime simboleggiano l’amore e la tristezza per la bellezza perduta e gli inevitabili cambiamenti nel mondo e, possederne una, dava la capacità di percepire e comprendere l’anima del mare. Un’altra leggenda afferma che i fossili di ricci di mare fossero invece frammenti della creazione del mondo, fin dall’inizio della formazione della Terra, in grado di possedere l’energia primordiale che può aiutare a ripristinare l’armonia e l’equilibrio tra natura e uomo. Questi miti ci possono far sorridere ma, in antichità, quei scheletri fossilizzati dalle strane forme e disegni erano ritenuti una protezione sicura sia nelle avventure fisiche che nei viaggi spirituali … ma solo coloro con il cuore più puro e le intenzioni più vere potevano vedere la conoscenza racchiusa in questi splendidi oggetti. Sarà forse questo il motivo perché anche noi, in questa Era di follia, non siamo in grado di vederlo più. Buone Feste.
Vincenzo Popio
Riferimenti
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Laureato in Scienze Marine presso l’Università di Pisa con un Ph. D. in Maritime Science e Master in “Environmental science and sea pollution research” presso la Pacific Western University di Los Angeles, California, il dottor Popio ha trascorso oltre 32 anni di servizio attivo nella Marina Militare. Ha ricoperto incarichi di Comando a bordo delle unità navali, come Direttore agli Studi presso Istituti di Formazione militare e come rappresentante della Marina presso l’Ufficio del Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa. Lasciato il servizio attivo, il dr. Popio, ha continuato, in campo civile, a fornire il proprio contributo per la salvaguardia dell’ambiente marino e di tutte le sue specie, collaborando in diversi progetti riguardanti l’ambiente, con le Università di Bari, Lecce, Napoli e con l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero-CNR di Taranto. Numerosi sono gli articoli pubblicati sulla stampa locale sull’inquinamento (aria, mare, suolo) a Taranto, dovuto alla presenza delle industrie pesanti. Uno studio particolare è stato effettuato sul Mar Piccolo e il Mar Grande di Taranto.
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