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livello medio.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MARINE MERCANTILI
parole chiave: commercio via mare, politica statunitense
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Come scritto dal generale Carlo Jean nel suo manuale di geopolitica, la “competitività geoeconomica” degli Stati nel sistema internazionale si realizza con misure di “colbertismo1 hi-tech” e con lo sfruttamento delle “nicchie in cui si possano modificare a proprio vantaggio le regole della concorrenza leale e della libertà di commercio”. Parimenti, il professor Marco Doria dell’Università di Genova, nel suo lavoro dedicato all’industrializzazione ligure a cavallo tra ‘800 e ‘900 ed alla storia dell’Ansaldo, evidenzia che l’idea di dotare l’Italia di una forte base industriale attraverso politiche protezioniste fosse per la Sinistra storica prodromica alla trasformazione del Paese in una grande potenza.
Questi due esempi non corrispondono a come oggi gli Stati Uniti gestiscono il settore della cantieristica commerciale. È dottrina consolidata della U.S. Navy l’idea che la Marina mercantile statunitense debba fungere da forza ausiliaria e di supporto alla flotta militare in caso di conflitto aperto. Proprio dagli ambienti della U.S. Navy e degli organi accademici e pubblicisti ad essi collegati sta emergendo una critica molto forte al rigido protezionismo che governa la produzione e l’attività in mare del naviglio mercantile americano.
Un connubio indissolubile tra la marina militare e quella mercantile: nella foto la nave mercantile Golden Nori transita sotto la scorta della nave da sbarco USS Whidbey Island (LSD 41) dopo la sua liberazione dai pirati somali il 12 dicembre 2007 – Foto della Marina degli Stati Uniti del tenente di vascello Joe Donahue (pubblicata) US Navy 071215-N-5576D-001 Merchant vessel Golden Nori transits under the escort of the dock landing ship USS Whidbey Island (LSD 41).jpg – Wikimedia Commons
Sia Biden che Trump hanno riconosciuto il predominio della flotta mercantile cinese – pensata, proprio come quella americana, per essere a “duplice uso” – ed anche per questo è stato emanato il nuovo SHIPS for America Act che, tuttavia, non cancellando le tariffe protezioniste e, soprattutto, non annullando gli effetti del Merchant Marine Act del 1920 (noto anche come “Jones Act“), è apparso ai critici liberisti come estremamente limitato. La crisi della cantieristica americana è anche una crisi strategica del Paese; basti pensare che nel 1960 la flotta commerciale americana (esclusa la flotta di riserva) era composta da 2.926 navi di oltre 1.000 tonnellate di portata lorda, tra cui petroliere, navi da carico e portacontainer per veicoli roll-on/roll-off ma oggi ce ne sono solo 185. La Cina, al contrario, nel 2024 poteva contare su 9.222 navi di quelle dimensioni nella sua flotta commerciale, mentre il Regno Unito poteva vantarne 1.054.
l’equipaggio del Coast Guard Cutter Hollyhock assiste la motonave Manitowoc rompendo il ghiaccio sui Grandi Laghi per facilitare il flusso del commercio. Foto della Guardia Costiera degli Stati Uniti di Petty Officer 3rd Class Joshua Karas Coast Guard Cutter Hollyhock assists merchant ship through ice 130301-G-ZZ999-012.jpg – Wikimedia Commons
I regolamenti sul “cargo preference Act”, che imbrigliano la marina mercantile statunitense, non giovano neanche alla produzione ed all’appetibilità di mercato delle navi nazionali, con un settore che non è soggetto a una sana concorrenza, con l’aumento dei prezzi per il trasporto merci via acqua. Cosa che a sua volta fa scendere la domanda, portando ad un aumento dei costi unitari per le navi costruite negli Stati Uniti. I sostenitori del protezionismo “temperato” chiedono quindi di replicare quanto fatto subito dopo la Prima guerra mondiale con il Jones Act per rafforzare la produzione, anche se questo non risolverebbe, comunque, il problema del mancato “salto tecnologico” in avanti e della competitività dell’intero settore. Dai liberisti la “cargo preference” viene individuata come una delle cause principali alla drastica riduzione nei numeri e nella qualità della flotta mercantile americana: un esempio interessante di come i settori strategici non sempre siano giovati da misure protezionistiche. Solitamente si tende a proteggere questi settori attraverso interventi pubblici diretti, adottando politiche “vincoliste”, ma il caso della marina mercantile di Washington, così come le proteste di Nvidia nei confronti delle restrizioni sull’export di microchip imposte dall’amministrazione Biden (che Trump ha subito rafforzato), lasciano pensare che, sotto il profilo squisitamente geoeconomico, dunque strategico, sia a volte più opportuno affidarsi alla “mano invisibile” che non a scelte politico-economico estremamente protettive. Il caso DeepSeek è emblematico da questo punto di vista. L’azienda cinese ha utilizzato dei microprocessori inferiori, non avendo accesso a quelli più potenti prodotti negli Stati Uniti, con una differenza di investimento sostanziale, ovvero i 5,6 milioni di dollari spesi da DeepSeek per il modello R1-Zero, e i 100 milioni di dollari stimati per lo stesso modello prodotto da un’impresa americana. La costruzione di oligopoli o sistemi concorrenziali imperfetti può avere quindi ricadute pericolose anche per quei settori dell’economia di solito agganciati alla sicurezza nazionale o che hanno dirette ricadute su di essa, che osservo sono sempre più oggetto di misure protezionistiche.
Filippo Del Monte
1 con il termine colbertismo si intende il pervasivo intervento da parte dello Stato nell’economia al fine di accrescere la ricchezza e il prestigio della nazione
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articolo pubblicato originariamente su DIFESA ON LINE La critica liberista al protezionismo dei settori strategici. L’esempio della Marina mercantile americana – Difesa Online
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