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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MEDIORIENTE
parole chiave: Stati Uniti, Medio Oriente, Gaza, Proxy
Su DIFESAONLINE avevo già evidenziato (Accordo per Gaza: sarà “vera gloria”?) come l’accordo di gennaio che il Governo Israeliano era stato costretto ad accettare (per le pressioni statunitensi e di parte della propria opinione pubblica) rappresentasse, di fatto, una generosa concessione ad Hamas. Era, purtroppo, prevedibile che Hamas avrebbe potuto spacciare al suo pubblico (anche in Occidente) una campagna condotta nascondendosi dietro donne e bambini come un’eroica vittoria militare sulle forze armate regolari israeliane. Era anche prevedibile che l’accordo (che non avrebbe portato di per sé a una “pace” che, invece, appare sempre più remota) sarebbe stato, purtroppo, foriero di un rinvigorimento del terrorismo di Hamas. Terrorismo che vedeva, per l’ennesima volta, che la brutalità paga e che avrebbe potuto rimpinguare i suoi quadri anche con le centinaia e centinaia di detenuti rilasciati. Però, forse qualcosa potrebbe cambiare nel prossimo futuro. Intanto, occorre considerare il fattore Trump. A Washington non c’è più la timida e tentennante amministrazione Biden. Si badi bene, non sono un ammiratore del presidente Trump e ritengo che noi europei dovremmo prepararci a dei confronti/scontri anche molto duri con Washington. Non mi piace il suo atteggiamento da “Marchese de Grillo” nei confronti degli Alleati considerati sudditi (si badi bene, con Bush figlio, Obama e Biden la sostanza del rapporto USA-Europa era analoga, cambiava solo lo stile). Ciò premesso, riconosco a Trump di avere le idee decisamente più chiare di molti suoi predecessori (Bush figlio, Obama e Biden) in relazione alla realtà Medio Orientale. Chiarezza di idee che ha dimostrato anche durante il suo primo mandato, ad esempio intessendo gli Accordi di Abramo e adottando una linea ferma nei confronti dell’Iran.
gli accordi di Abramo, un passo storico …
Soprattutto, Trump vuole evidentemente risolvere al più presto le due crisi “belliche” in Ucraina e Medio Oriente che ha ereditato dall’amministrazione precedente. Non tanto per amore della “pace” invocata da papa Francesco, ma semplicemente per potersi dedicare appieno a trattare i contrasti economici degli USA con la Cina e, anche, con l’Europa. Questioni economiche che lo appassionano ben di più dei conflitti militari e dei cui meccanismi ha una più approfondita conoscenza. Per risolvere le due guerre in atto il Tycoon prestato alla politica adotterà verosimilmente il suo abituale metodo di negoziato: la contrattazione spinta e l’imprevedibilità. Sparando lungo per poi accorciare e non facendo mai capire alla controparte quali siano le sue eventuali “linee rosse” (limiti invalicabili che invece Obama e Biden dichiaravano in continuazione, senza però fare alcunché quando venivano regolarmente oltrepassati). In relazione all’Ucraina le cose sembra si stiano già lentamente muovendo e non necessariamente nella direzione auspicata da UE e Zelensky (forse se ne potranno avere delle pur vaghe indicazioni già dopo la riunione dei ministri della difesa della NATO del 13 febbraio o dopo il prossimo Vertice di Monaco). Per i conflitti che riguardano Israele la questione è molto più complessa e coinvolge molti più attori regionali. Peraltro, lo stile sembra essere sempre quello: spiazzare le controparti, contrattare a 360°, minacciare ritorsioni, anche con il rischio di inimicarsi alleati preziosi. Ritengo debbano essere intese in quest’ottica e non in senso letterale le sue dichiarazioni recenti che hanno lasciato molti commentatori perplessi e hanno destato facili ironie da parte di molti altri. Mi riferisco, tra le altre, a quelle relative allo “svuotamento” di Gaza, all’esigenza per i paesi arabi limitrofi di accogliere i profughi della Striscia, al fatto che gli aiuti finanziari statunitensi concessi ai paesi nella Regione non siano qualcosa di acquisito o dovuto per bontà d’animo ma siano strettamente condizionati dagli impegni che tali paesi sono disposti ad assumersi per soddisfare gli interessi geopolitici di Washington. In questo caso, l’interesse primario di Washington è di garantire la sicurezza di Israele, ristabilirne i rapporti con i paesi Arabi sunniti (Giordania, Egitto, monarchie del Golfo e, soprattutto, Arabia Saudita) e rendere inoffensivi il regime iraniano e i suoi proxy (Hamas, Houthi, Hezbollah). Presumo anche che Trump intenda conseguire tali obiettivi in tempi relativamente brevi in modo da non consentire a Pechino (il suo “vero” nemico) di avvantaggiarsi della situazione. Abbiamo tutti visto che, già prima di entrare in carica, Trump è stato molto attivo in politica estera ed è evidente che il governo Netanyahu abbia accettato l’accordo di gennaio essenzialmente per le pressioni esercitate da Trump, per quanto non ancora “ufficialmente” in carica.
Ma se Netanyahu ha assolto, bene o male, la sua parte dell’accordo di gennaio, cosa si può dire di Hamas? Le sceneggiate tragiche del rilascio degli ostaggi hanno, a mio avviso, detto molte cose. Chiaramente, il messaggio per l’audience palestinese a Gaza e in Cisgiordania, oltreché per i simpatizzanti di Hamas in tutto il mondo, è stato un messaggio di forza, i cui punti fondamentali potevano essere così riassunti: siamo invitti, il piombo israeliano non ci ha domato, 16 mesi di guerra e di bombardamenti non hanno fiaccato il nostro spirito, ma anche: Gaza è in piedi e la popolazione è tutta con noi, godiamo di un sostegno popolare unanime. Però, in Europa e in America, dove si gridava al “genocidio dei palestinesi”, palestinesi da molti descritti quali “vittime inermi dell’aggressione militare israeliana”, quale effetto hanno avuto quelle bellicose messe in scena? Ovvero quale messaggio hanno trasmesso alle nostre piagnucolose opinioni pubbliche le immagini delle adunate oceaniche di gazawi esultanti durante le teatrali cerimonie per il rilascio di ostaggi civili, inermi, malnutriti e costretti a indegne recite, contornati dallo sfoggio di miliziani con armamenti lucenti, pickup immacolati e uniformi intonse (uniformi che certo non erano state indossate in combattimento, forse proprio perché quando c’era da combattere era più comodo spacciarsi per inermi civili o operatori umanitari)? Queste immagini erano coerenti quanto ci è stato ripetuto per mesi e mesi, ovvero con la narrazione del presunto “genocidio” dei palestinesi, con la narrazione dei gazawi ridotti alla fame e soprattutto con il ritornello che non si doveva confondere Hamas con l’intera popolazione di Gaza? Forse queste immagini non erano del tutto coerenti con il messaggio che per 16 mesi l’efficace propaganda Pro-Pal era riuscita a imporre in Europa e in America e mi auguro che qualcuno qui da noi possa riconsiderare le sue posizioni. Ci si potrà, pertanto, aspettare che nei giorni a venire il sostegno di cui gode Hamas in Europa e in America possa risultare leggermente più flebile di quello di cui siamo stati testimoni nei mesi scorsi? Mi augurerei che fosse così, ma forse ha ragione l’ottimo Ernesto Galli della Loggia ad essere scettico al riguardo (Corriere della Sera, 12 febbraio)
Soprattutto, però, occorrerà interrogarsi in merito all’effetto che quelle immagini potranno avere sull’opinione pubblica israeliana. Certo, venendo ora anche a conoscenza delle condizioni in cui sono stati tenuti gli ostaggi nei lunghi mesi di cattività, la volontà nazionale di liberarli tutti al più presto a qualsiasi costo sarà sicuramente dominante. Peraltro, probabilmente sarà al contempo più diffusa anche la consapevolezza che forse oltre la metà di quelli ancora non liberati sia già stata uccisa. Penso, in particolare, che il destino dei fratellini Bibas possa avere un effetto importante sull’opinione pubblica israeliana e, forse, anche su quelle europee e americana (ma forse continuo a sopravvalutare la nostra sensibilità nei confronti degli ostaggi israeliani). Inoltre, per quanto scarcerare ogni volta centinaia di carcerati per ottenere il rilascio di pochi ostaggi innocenti sia un triste ricatto cui si deve cedere, anche in Israele ci si rende conto che si stanno rimettendo in libertà le menti e le braccia dei potenziali “7 Ottobre” di domani.
Per contro, Hamas si rende probabilmente anche conto che esibire ostaggi che sembrano usciti da Auschwitz o mostrano segni di tortura, può certamente ringalluzzire i gazawi più fanatici, ma potrebbe compromettere il sostegno di cui l’organizzazione terroristica ha finora beneficiato in Occidente. Soprattutto Hamas è consapevole che quando non disporrà più di ostaggi vivi da scambiare il suo potere negoziale scomparirà e la ritorsione israeliana sarà inevitabile. Pertanto, è evidente che Hamas continui a accampare qualsiasi pretesto per prolungare il più possibile la cattività degli ostaggi e la durata di questo drammatico scambio. Pretesti, certo, ma pretesti che vengono spesso considerati rilevanti da certi compiacenti media occidentali. In considerazione di questi sentimenti, di queste ferite profonde (da parte sia israeliana che palestinese, intendiamoci, entrambi i popoli hanno sofferto) è ovvio che Israele non potrà accettare di avere Hamas al proprio confine. Considerato che i gazawi sinora non si sono dissociati da Hamas, Israele non potrà accettare di lasciare ai gazawi stessi la gestione della Striscia, con o senza supervisione ONU (anche in conseguenza delle discutibili prove di terzietà dimostrate da alcune agenzie onusiane a Gaza). Appare anche chiaro che, oggi come oggi, anche l’ANP (di fatto svuotato di sostegno popolare a favore di Hamas) non possa rappresentare un’alternativa credibile per l’amministrazione della Striscia. Ne è sicuramente pienamente consapevole l’attuale governo israeliano e lo sono verosimilmente, sia pure con sensibilità diverse, anche gran parte dei partiti attualmente all’opposizione nella Knesset. Soprattutto, però, ciò sembra essere chiaro a Trump, che in quest’ottica ha gettato il sasso nello stagno con la sua proposta shock su Gaza. Era prevedibile che tutte le cancellerie arabe sunnite condannassero nel modo più fermo possibile la proposta del “cowboy yankee”, peraltro lanciata in modo decisamente irrituale durante un’intervista. Né avrebbe potuto essere altrimenti. Bisognerà poi vedere quali saranno gli accordi estremamente riservati che le stesse cancellerie arabe faranno con Trump, anche in base alle eventuali minacce di ritorsione che il Tycoon potrebbe ventilare. Sia la Giordania Hashemita di Abdallah II sia l’Egitto di Al Sisi, per non urtare forti sensibilità interne, devono apparire in supporto delle popolazioni palestinesi. Inoltre, è noto che né l’una né l’altro sarebbero entusiasti di ricevere profughi palestinesi nel proprio territorio. La prima ricordando i problemi che già le procurarono i palestinesi a fine anni ’60 e che portarono nel 1970-71 alla repressione ricordata come “Settembre Nero” e l’Egitto ricordando i problemi di sicurezza interna avuti in Sinai, dopo che gliene era stato restituito il controllo con il secondo accordo di Camp David del 1978, e molto più recentemente con la Fratellanza Musulmana, vicina ad Hamas. Anche gli altri paesi arabi devono tener conto delle proprie opinioni pubbliche, alimentate con decenni di propaganda anti-israeliana ed era inevitabile che condannassero la provocatoria proposta di Trump. Peraltro, molti di quegli stessi paesi guardano agli USA per la cooperazione in campo militare e nel contrasto al terrorismo islamista, ricevono aiuti economici dagli USA e commerciano con gli USA. Hanno bisogno degli USA, certamente. Ma se il prezzo da pagare, in termini di immagine divenisse troppo esoso, potrebbero anche cedere alle lusinghe cinesi. La situazione non è semplice. Trump, al solito, potrebbe minacciare ritorsioni economiche, ma questa resta una scommessa rischiosa, perché Pechino potrebbe approfittarne per offrire ai paesi della Regione ciò che Washington minaccia di togliergli e Trump certamente non vorrà correre un tale rischio.
al di là delle sue uscite giornaliere, che fanno molto discutere, quale sarà la politica estera del Presidente Trump in Medio Oriente?
Il punto è: fino a che punto Trump, per favorire Israele, sarà disposto a inimicarsi attori locali che potrebbero, per reazione, avvicinarsi alla Cina? Insomma, i punti interrogativi sono molteplici, però ci si potrebbero aspettare delle evoluzioni della situazione anche a breve. Ove Hamas continui a temporeggiare nel rilascio degli ostaggi, non sarebbe da escludersi che Trump dia luce verde a Netanyahu per una operazione militare ben più incisiva di quelle precedenti (al limite magari anche con eventuale supporto aereo e navale USA), magari avendo ottenuto obtorto collo la disponibilità “per motivi strettamente umanitari“ di paesi arabi della Regione ad ospitare “temporaneamente” i gazawi che intendessero lasciare la Striscia (sempre che Hamas li lasci partire). Nel contempo gli USA, grazie al combinato disposto del diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza ONU e la possibilità di chiudere i rubinetti del finora consistente finanziamento statunitense alle agenzie ONU, potrebbero, se lo volessero, di fatto ridurre al lumicino le attività umanitarie ONU a favore della Striscia, portandola questa volta veramente alla fame. Un qualcosa che un’amministrazione abbastanza imprevedibile come quella Trump potrebbe anche decidere di fare, anche se si tratterebbe di scelte decisamente pericolose.
La situazione è certamente incerta, al momento sia Hamas che il governo israeliano e gli stessi USA di Trump sono di fronte a scelte molto difficili, ma forse Netanyahu e Trump hanno in mano carte migliori rispetto ad Hamas e agli Ayatollah. In tutta questa situazione che agita il Medio Oriente e parte del Nord Africa, l’UE come interviene? Non interviene. Distratta, tanto per cambiare, continua a ripetere slogan e ricette teoriche al momento non attuabili e a lamentarsi perché (purtroppo giustamente) nessuno se la fila.
Antonio Li Gobbi
Il generale della riserva Antonio Li Gobbi, nasce a Milano nel 1954 da un famiglia di tradizioni militari ed entra alla Nunziatella nel 1969. Ufficiale del Genio Guastatori ha partecipato a numerose missioni ONU in Medio Oriente e NATO nei maggiori teatri Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico ed è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche di Trieste
articolo pubblicato originariamente su Gaza, Hamas, Israele e l’approccio Trump – Difesa Online
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