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Il governo degli Oceani sotto Trump

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: STATI UNITI
parole chiave: Oceano, governance, controllo del traffico mercantile
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La vittoria elettorale di Donald Trump ha scombussolato l’America radical chic che dava per scontato una conferma dei Democratici. Primi a restare sconvolti di questa vittoria sono stati gli ambientalisti che, dopo una lunga serie di battaglie e di vittorie ottenute a duro prezzo per la salvaguardia del clima, avevano incominciato a raccogliere i primi risultati. Qualcuno ha parlato di una vittoria di Pirro, pagata a duro prezzo dai Democratici, in realtà mai digerita nell’establishment americano. Il presidente Obama aveva lanciato nel 2010 una più stretta cooperazione tra le agenzie federali ed un migliore coordinamento negli spazi oceanici: facile a dirsi ma molto complicato a realizzarsi essendo presenti innumerevoli problemi pratici, mai affrontati con la dovuta profondità. Forse il più sensibile il riconoscimento internazionale delle fasce di mare previste da UNCLOS. Trump in campagna elettorale aveva parlato chiaro, attaccando la ratifica in corso della legge della Convenzione dei mari (UNCLOS), il trattato delle Nazioni Unite con la quale la maggior parte delle nazioni del mondo sono d’accordo sulle questioni relative alla navigazione, l’esplorazione scientifica e rivendicazioni territoriali sopra e sotto l’oceano. Hillary Clinton si era impegnata a portare a termine questa tela di Penelope, ma Trump aveva da subito giudicato affrettato l’approccio di Obama e dei suoi successori, ritenuti dannosi per gli interessi americani e aveva giocato la sua carta sui bisogni primari della classe media americana, messa a perdere da una governance democratica poco credibile e consistente.

FILE - This file 2008 photo provided by NOAA Pacific Islands Fisheries Science Center shows debris in Hanauma Bay, Hawaii. A new study estimates nearly 270,000 tons of plastic is floating in the world's oceans. That's enough to fill more than 38,500 garbage trucks if each truck carries 7 tons of plastic. The figure appears in a study published, Wednesday, Dec. 10, 2014, in the scientific journal PLOS ONE. Researchers say the plastic is broken up into more than 5 trillion pieces. (AP Photo/NOAA Pacific Islands Fisheries Science Center, File)

NOAA Pacific Islands – detriti in Hanauma Bay, Hawaii. Un nuovo studio ha stimato che  circa 270.000 tonnellate di plastica galleggiano negli oceani del mondo. Questo è sufficiente per riempire più di 38.500 camion della nettezza urbana (se ogni camion trasportasse 7 tonnellate di plastica). fonte PLoS One. 

Sull’ambiente, voglio ricordare l’addio di Trump al Piano Clean Power lanciato da Obama. L’EPA (Environment Protection Agency) era stata un terreno di scontri sanguinosi tra i Democratici, talvolta poco convincenti, e il pubblico americano che sebbene sostenesse il governo a prendere  misure per ridurre le emissioni di anidride carbonica (ritenute co-ree di causare il riscaldamento globale) non risultò poi cosi convinto di accettare delle restrizioni all’American Way of Life. D’altronde non tutti sanno che EPA non gestisce tutti i problemi ambientali delegando alcuni problemi alle autorità federali, tribali, statali o anche ad agenzie locali. Molti programmi ambientali sono stati delegati agli Stati che di fatto ne hanno ancora la responsabilità. Un garbuglio che spiega tanti insuccessi  e la corsa a mettere “pezze a colore” da parte dei Democratici sempre alla ricerca di responsabili.

Altro fattore interessante in campagna elettorale è stato il rigetto di Trump sul consenso scientifico sui cambiamenti climatici, sottolineando che si trattava di una “bufala” promossa dalla Cina. Trump inspiegabilmente rigetta l’evidenza di una decade di studi scientifici, rigenerando vecchie teorie sull’impiego delle risorse fossili (carbone e petrolio) ed aprendo allo sfruttamento on-shore ed al leasing in mare aperto. L’impressione è che il riorientamento delle politiche ambientali potrebbe essere foriero di più posti di lavoro per gli Americani, in questo momento forse più desiderosi di soddisfare dei legittimi desideri primari che la salvaguardia dell’ambiente. D’altronde gli aspetti fisici e chimici delle acque non sembrano turbare più di tanto il ceto medio la cui educazione generale, in molti Stati, fa acqua da molte parti. La querelle ambientale non è però finita: l’innalzamento delle temperature dei mari, l’acidificazione degli oceani e altri impatti dalla combustione di combustibili fossili, e la minaccia di nuovi disastri ambientali vedranno gli attivisti americani (Repubblicani e Democratici) mobilitarsi con una forte resistenza, specialmente da parte delle comunità costiere e delle imprese turistiche, a qualsiasi nuova perforazione in mare aperto per evitare versamenti e conseguenti danni ambientali ed economici sulla costa (turismo e pesca).

Nonostante alcuni uomini d’affari statunitensi siano in sintonia con i vantaggi economici di un oceano sano appare  difficile prevedere le azioni del futuro Segretario del Commercio, il miliardario Wilbur Ross, che dovrà affrontare in campo marittimo un insidioso campo minato. Da una parte un establishment scientifico consapevole delle emergenze ambientali troppo spesso sottovalutate per superficialità o per debolezza analitica dai predecessori, e dall’altra le nuove priorità economiche di Trump. Curiosamente il nuovo lavoro di Ross, tra le tante incombenze, comprenderà anche la supervisione del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOOA). Difficile prevedere come potrà gestire la situazione. Speriamo che la politica commerciale di Ross non faccia fare alla già debole struttura industriale di piccolo-medio livello la fine della International Coal Group, che fu da lui creata fondendo molte compagnie minerarie del carbone. Il Gruppo finì in bancarotta e fu poi rivenduto per oltre 3 miliardi di dollari lasciando molte vittime. Fu una buona speculazione per lui e la lobby che rappresentava, molto meno per i lavoratori che avevano sperato in una ricrescita del settore.

In questo caleidoscopio d’oltreoceano, ci sono tuttavia diverse aree di azione che hanno una storia bi-partisan di sostegno, e che potrebbe vedere, secondo la stampa americana, qualche lieve progresso, almeno decisionale, anche sotto la Presidenza Trump. In campo marittimo,  un buon esempio è la lotta contro la pesca illegale pirata in alto mare (overfishing) che ha creato in molte aree de mondo situazioni di instabilità sociale a causa dell’impoverimento economico di aree di per se già molto depresse. Questa lotta è stata notevolmente rafforzata da un bi-partisan Enforcement Act sulla pesca approvato dal Congresso e trasformato in legge nel 2015 con il sostegno dei pescatori statunitensi. Similmente voglio ricordare la lotta alla pirateria che ha sempre visto un approccio comune in Senato. Ciò comporterà la riscrittura del concetto operativo da parte del generale James Matthis che dovrà rivedere l’attuale architettura della Difesa per adattarla meglio ai nuovi teatri orientali, ma di questo parlerò più ampiamente in un prossimo articolo.

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US Navy a RIMPAC, la più grande esercitazione marittima internazionale del mondo. Dal 1971, questa esercitazione biennale su larga scala è stata progettata per aumentare la cooperazione reciproca e migliorare le capacità tattiche delle nazioni partecipanti in vari aspetti delle operazioni marittime in mare – Foto di MC 1 Robert Taylor
DVIDS – Images – Combined Fleet Conducts Rim of the Pacific 2010 Exercise [Image 5 of 5] (dvidshub.net) Public Domain

Tornando in campo ambientale marino, un’altra importante collaborazione bi-partisan fattibile potrebbe essere la riduzione delle plastic beads, generate negli ocean vortexes, a causa dell’abbandono criminale delle materie plastiche in mare. Nel 2015 il Congresso decise rapidamente di vietare le “micro-pearl Free Water Act”, piccole sfere di plastica che vengono utilizzati come abrasivo in molti prodotti cosmetici e per la salute. Queste sostanze passano attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue diventando dei concentratori di sostanze chimiche nocive nella catena alimentare del mare. Molti Stati hanno emanato leggi protettive che potrebbero fornire un modello collaborativo per affrontare non solo il problema delle plastiche in mare ma anche altre sfide marine come l’inquinamento chimico causato dai residui derivanti dall’uso dei carburanti classici e delle loro emissioni in atmosfera. Ad esempio, ormai in tutto il mondo, sono in atto investimenti sostanziosi nella ricerca per lo sviluppo di biocarburanti.

Trump dovrà affrontare anche il problema, spesso ingenuamente gestito dai Governatori locali, del ripristino delle acque interne come i laghi, i fiumi e le paludi costiere, affrontando seriamente le fioriture algali nocive tristemente emerse alla cronaca in Louisiana e in Florida per gran parte dell’anno. Queste fioriture, oltre a minacciare la fauna marina e la salute umana, minacciano anche anche l’industria turistica con perdite a a nove zero, allontanando di fatto i turisti da questi luoghi di villeggiatura. Che il business possa essere un veicolo di “comprensione” per attuare in futuro politiche maggiormente eco compatibili? Allo stato attuale possiamo solo dire che Trump sta mantenendo quanto promesso in campagna elettorale cavalcando la promessa di cambiare per far muovere l’economia del Paese e ridare dignità al ceto medio. Si spera per l’America, e per il resto del mondo, che tali cambiamenti siano sufficientemente valutati per evitare di creare nuove situazioni poco gestibili.

Andrea Mucedola

foto in anteprima autore Gage Skidmore da Donald Trump by Gage Skidmore.jpg – Wikimedia Commons

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