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Le ragioni dell’instabilità e la maritime security nel terzo millennio – I parte

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: SICUREZZA MARITTIMA (MARITIME SECURITY)
parole chiave: Geopolitica, instabilità
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Quali sono le cause di instabilità a livello internazionale? Perché il mare è elemento cardine della risoluzione delle crisi? Che cosa ci riserverà il futuro? Questo articolo vuole sintetizzare un mondo in continua trasformazione il cui futuro si giocherà ancora negli oceani.

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Royal Marines ispezionano un sambuco sospetto di pirateria vicino allo Yemen. La pirateria al largo delle coste della Somalia rappresenta da diversi anni una minaccia per il commercio internazionale. Nel 2005 l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) segnalò l’aumento degli atti di pirateria – autore LA (photographer) Dave Jenkins / UK MOD – Fonte http://www.defenceimagery.mod.uk/….jpg
Royal Marines Keeping Watch Over Suspect Dhow MOD 45152203.jpg – Wikimedia Commons

Dopo la fine della guerra fredda l’impiego delle forze aeronavali per il controllo degli oceani non è diminuito. Se vogliamo la natura asimmetrica delle guerre moderne ha aggiunto una dimensione ai conflitti tradizionali che necessitano di assetti diversificati che vengono distaccati per lunghi periodi in aree dove il supporto logistico non è sempre assicurato. Le operazioni di sicurezza marittima sono attività estremamente costose che le marine militari cercano di soddisfare ottimizzando sia l’impiego delle unità aeronavali che la cooperazione a livello internazionale: un compito non facile perché la coperta, alla fin fine, è sempre corta.

Ma come è cambiato l’impiego delle forze aeronavali nel III millennio?
Dove un tempo regnavano le corazzate, strumenti statici di affermazione politica, oggi troviamo navi multi-ruolo, dotate di grandi capacità di comando e controllo, che gestiscono operazioni di maritime security per preservare la sicurezza e la stabilità delle rotte marittime. Un compito non facile in quanto “fare molto con poco” è un’equazione complessa, se non senza soluzioni, resa ancora più impervia dalle incertezze politiche che caratterizzano questo nuovo millennio.

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Membri della squadra ispettiva della nave da sbarco anfibia USS Ashland (LSD 48) interrogano i membri dell’equipaggio di un dhow da pesca. Ashland fa parte del Nassau Amphibious Ready Group a supporto delle operazioni di sicurezza marittima e delle operazioni di cooperazione per la sicurezza del teatro. Fonte U.S. Navy – autore specialista di comunicazione di massa 2nd classe Jason R. Zalasky/rilasciato
US Navy 100513-N-1082Z-039 … team from the amphibious dock landing ship USS Ashland (LSD 48) speak with crew members of a fishing dhow.jpg – Wikimedia Commons

Quale futuro?
Per prevedere cosa ci riserverà il prossimo futuro ci vorrebbe davvero una sfera di cristallo; gli studiosi di geopolitica aggiornano continuamente le loro previsioni che sono basate sulle trasformazioni continue degli scenari mondiali; in realtà, al di là delle interpretazioni sulle “nuove” politiche delle superpotenze e sui ruoli dei Paesi emergenti, i fattori che entrano sempre più in gioco sono ben altri: la dinamicità del mondo in cui viviamo, combattuto tra globalismo e neo sovranità nazionali, apre delle riflessioni che vanno oltre gli aspetti puramente politici ma includono, in un gigantesco contenitore, elementi legati alla sopravvivenza della nostra specie. La situazione internazionale potrebbe quindi sfuggire di mano alle superpotenze con il dilagare delle instabilità regionali e conseguenze imprevedibili nel campo marittimo.

Allo stato attuale ogni ipotesi ha le sue valenze e possiamo solo cercare di stimare le tendenze politiche ed economiche che potrebbero influenzare solo in parte il futuro. In realtà, leggendo i lavori di molti gruppi di pensiero (come il saggio Multiple Future, prodotto dallo staff dell’Allied Command Transformation), ci accorgiamo che fattori considerati un tempo minimali assumeranno in un prossimo futuro un peso sempre maggiore e potrebbero soppiantare qualsiasi dottrina di affermazione politica basata sulla deterrenza.

Una strada senza ritorno o qualcosa di già visto?
In realtà non c’è niente di nuovo e ogni giorno stiamo rileggendo pagine di un vecchio libro abbandonato in cantina ma sempre valido; tutto è già accaduto negli ultimi ventimila anni e purtroppo accadrà ancora: l’instabilità regna da sempre sul pianeta ma può dilagare in tutta la sua pericolosità quando emerge una mancanza di visione politica globale: un nuovo ordine mondiale. Questo può provocare il collasso dei Paesi dominanti o uno stillicidio di piccoli conflitti che provocano emergenze sociali sempre più devastanti.

instabilita' sociali

Mappa dell’instabilità sociale attuale e delle tensioni interne di ogni singola nazione. La situazione andrà a peggiorare a causa della lotta per le risorse e per i cambiamenti climatici che genereranno aree invivibili a meno di interventi globali di sostegno  … Fonte articolo 

Instabilità politica e sociale
L’instabilità dipende da molti fattori che richiederebbero ognuno un’analisi approfondita. In estrema sintesi, consapevoli dell’ovvietà, potremmo dire che essa deriva dall’effettiva incapacità di fornire alle persone ciò di cui hanno bisogno. Dall’era industriale, le Nazioni hanno cercato di colmare il calice amaro della povertà delle classi meno agiate con il progresso tecnologico: apparentemente, nei paesi più sviluppati viviamo meglio di come vivevano i nostri antenati un centinaio di anni fa. Siamo in grado di comunicare e di muoverci con facilità ed abbiamo strutture sanitarie che consentono di diagnosticare malattie e trattare disagi sociali un tempo senza speranza. Lo sviluppo delle scienze ci prospetta quindi una vita migliore attraverso lo sviluppo di strumenti sempre più efficienti. Tuttavia, il progresso non è gratuito e richiede sempre più materie prime, il cui flusso deve essere assicurato da un ambiente geopolitico ed economico adeguato. Una maggiore richiesta comporta la necessità di approvvigionare beni e trasferirli da zone diverse verso i siti di produzione; ma la maggior parte di queste risorse sono situate in aree dove il social divider è molto forte ovvero dove esistono differenze sociali importanti. Le popolazioni di quelle regioni combattono quotidianamente con gravi conflitti interni, fame, malattie endemiche, disorganizzazione sociale sistemica e amministrazioni corrotte che comportano esodi migratori incontrollati. Il fenomeno è ben noto alle Nazioni Unite con il nome di “Environmental Peacekeeping”, ovvero l’impiego di una forza d’intervento sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza in grado di operare in situazioni di “conflitto ambientale”. Di fatto si prevede che nel prossimo futuro, anche a causa dei cambiamenti climatici, ci sarà un’esacerbazione delle situazioni di crisi e, probabilmente, più del 40% delle guerre saranno collegate a risorse naturali essenziali come l’acqua, le risorse ittiche e la terra da coltivare. 

La globalizzazione ha esacerbato queste situazioni, aumentando la forbice sociale e vendendo, tramite i mass media, facili illusioni di benessere che portano quei disperati a migrare verso zone ritenute (erroneamente) più idonee per la loro sopravvivenza.

La storia ci insegna che questo fenomeno, sebbene comprensibile, sia foriero di seri problemi sociali. Gli Umani, da circa 70.000 anni si sono sempre spostati verso aree più floride, invadendo altri popoli per acquisire maggiori risorse e ricchezze. Le interazioni forzate, vere e proprie invasioni, causarono guerre sanguinose, spesso giustificate con motivi religiosi, che furono risolte solo con la vittoria di una parte sull’altra. Oggigiorno, per facile ipocrisia,  spesso usiamo il termine “situazione di crisi” per non utilizzare la parola guerra, sinonimo di un fallimento delle politiche estere. Non importa che siano conflitti conclamati o di guerra fredda, gli effetti sulla stabilità sociale sono però gli stessi. 

Un altro grande problema è la comprensione tra i popoli, un traguardo auspicabile ma molto difficile da raggiungere. Nonostante secoli di dissertazioni filosofiche abbiano permesso alla nostra società di diventare ciò che siamo, altri Paesi del mondo hanno avuto uno sviluppo sociale diverso, non sempre paragonabile con il nostro (nel male e nel bene). Queste ovvie differenze tra differenti civiltà sono spesso alla base dell’intolleranza che causa forti reazioni sociali: dall’estremismo al fondamentalismo. Nei secoli, nel mondo occidentale siamo passati attraverso lotte di religione e guerre sanguinose che spesso hanno coinvolto tutto il mondo conosciuto ma le lezioni apprese non sembrano essere state comprese. Esistono tuttora situazioni non risolte che ci affliggono, favorendo sentimenti xenofobi irrazionali che derivano principalmente dall’ignoranza delle masse, nel tempo diseducate, svuotandole della loro cultura e riempiendo il vuoto della loro ormai limitata capacità analitica con programmi demenziali e talk show. Un fenomeno comune che si riscontra nei Paesi occidentalizzati dove, nonostante la maggiore disponibilità dei mezzi di comunicazione, il livello medio di educazione è preoccupante. Un terreno fertile per fake news, utili strumenti per la  manipolazione della verità oggettiva.

Una domanda che spesso sorge spontanea è se ci siamo veramente evoluti in questi ultimi duemila anni?

Ascoltando le notizie di tutti i giorni ci si rende conto che in realtà non siamo ancora usciti dalla foresta. Le notizie mostrano una società occidentale indebolita, in continuo affanno che sta perdendo la propria identità e le proprie radici. Ma la cosa ancor più grave è che questa opinione è condivisa dalle altre civiltà. La tanto solennizzata globalizzazione, universalmente benedetta come strumento di comune benessere, alla fine ha rivelato un suo lato oscuro, distruggendo rapporti sociali e di fatto creando le basi di maggiore instabilità. Il ceto medio è stato cancellato e le identità nazionali sono state indebolite sotto l’illusione di un “comune” benessere economico. Di fatto la globalizzazione ha comportato un pericoloso indebolimento delle sovranità nazionali giustificandolo come un avvicinamento (o forse dovrei dire un appiattimento) tra i popoli. 

Può esistere una pan-cultura o dobbiamo guardare al futuro come un insieme di differenti culture unite solo dall’interesse comune?
Le esperienze del XX secolo ci hanno fatto comprendere che la ricerca di un livellamento sociale, economico e culturale mondiale, chiamato globalizzazione, è fallimentare. Nel III millennio non possiamo pensare di cambiare il modo di pensare degli altri. La trasformazione sociale è un processo lento che dovrebbe essere digerito attraverso secoli di discussioni interne. Il nostro “arrogante” pensiero di essere in grado di cambiare il modo di vivere con la tecnologia è puramente un utopia e sta iniettando il seme della ribellione nelle generazioni più giovani che spesso sembrano aver perso il senso della realtà, incantati dai nuovi mezzi disponibili. Sempre più spesso la percezione del mondo si allontana dalla realtà. Ad esempio, è emerso che l’Italia si colloca al decimo posto nel modo per “ignoranza”. Siamo ‘ignoranti’, voce del verbo ignorare, in quanto spesso ignoriamo dati e fatti fondamentali su temi importanti che dovrebbero pilotare le nostre scelte. Ma siamo in buona compagnia: in molti paesi occidentali la “cultura” è patrimonio di pochi per cui stiamo diventando tutti “diversamente in-colti”.

huntingtonIn una situazione come questa non c’è da meravigliarci se altre culture siano viste come un pericolo, portando ad un inevitabile scontro di civiltà come scrisse Samuel P. Huntington nel “The Clash of civilizations and the remaking of World Order“. Questa visione può sembrare molto riduttiva e pericolosa in quanto vede i Paesi occidentali (Europa occidentale, Stati Uniti e Canada) e apparentemente simili fra loro, contrapporsi ad altre civiltà. L’utopia di una civiltà universale, basata sul rispetto della democrazia e dei diritti umani, si scontra con una realtà che vede altre civiltà crescere sia dal punto di vista demografico che tecnologico, di fatto senza sentire nessun desiderio di allinearsi con la nostra.

fine I parte – continua

Andrea Mucedola
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