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Basta Oceani di plastica

tempo di lettura: 4 minuti


livello elementare 
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: ODIERNO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: plastica in mare, inquinamento

 

La impieghiamo da poco meno di cento anni, eppure oggi si trova in quasi tutti gli oggetti che ci circondano: parliamo della plastica. Sebbene sia un materiale di successo ha due grossi difetti: l’elevato tasso d’inquinamento che produce e la evidente difficoltà nell’eliminarla dall’ambiente. La sfortuna è che non riusciamo proprio a separarci da questo materiale, ogni nostra attività quotidiana sembra essere condita dalla plastica.

Ormai è ben documentata la sua presenza in tutti i mari e gli oceani del pianeta, all’interno dei  famosi vortici di plastica (gyro vortex), con effetti devastanti e catastrofici per milioni di animali marini e su tutti noi. Impossibili da eliminare dalla catena alimentare, questi residui di plastica marina sono ingeriti dalle creature e le conseguenze sono molto spesso letali. Paradossalmente, il primo uso della plastica fu a scopo di protezione dell’ambiente; era la seconda metà dell’Ottocento e nel gioco del biliardo si adoperavano palle di avorio di elefanti, specialmente elefanti indiani dello Sri Lanka. Lo stesso inventore, J.W. Hyatt, promosse anche nuovi pettini, fino ad all’ora fabbricati con il carapace delle tartarughe.

Ma perché questo materiale ha rivoluzionato la nostra vita?
La plastica è duttile, resistente, impermeabile, inalterabile ed economica. Praticamente non ne possiamo fare a meno. Sfortunatamente non siamo in grado di gestirla ed abbiamo prodotto una quantità di rifiuti di proporzioni spaventose. Le immagini di spiagge deturpate da ammassi di materiali plastici sono sotto gli occhi di tutti.

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donne in Bangladesh tra mucchi di plastica – autore Maruf Raman – https://pixabay.com/it/… plastica-donne-bangladesh-5973800/

La plastica è divenuta parte del sistema marino (purtroppo); sono circa 600 le specie documentate che ingeriscono plastica e soprattutto micro plastiche (derivate anche dall’azione di degradazione delle plastiche a causa del sole). Tra questi animali vi sono: pesci ossei, cartilaginei (squali e razze), tartarughe (tutte le specie), cetacei (in particolare delfini e capodogli), cirripedi e tantissime specie di uccelli marini. I rifiuti vengono ingeriti direttamente o tramite la predazione di altri animali che contenevano a loro volta plastiche negli stomaci, in una sorta di grottesca matrioska orchestrata dall’Uomo.

Gli ammassi di plastica presenti negli oceani sono composti da frammenti di varie dimensioni, forme e colori. Queste particelle di microplastiche galleggiano a diverse profondità nella colonna d’acqua e spesso non sono visibili dall’alto. I frammenti più piccoli si aggirano intorno ai cinque millimetri e possono permanere in mare, pressoché intatti, per ben cinque secoli. Esatto! Cinquecento anni …

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Quanto tempo impiega generalmente la plastica a degradarsi?
L’erosione della plastica è direttamente proporzionale alla composizione chimica, alla forma e allo spessore; a ciò bisogna aggiungere il grado di radiazione solare che colpisce e consente la biodegradazione dei frammenti di plastica. Essa,  come sappiamo, è prodotta da composti organici derivati dal petrolio. 

Tra le plastiche più comuni abbiamo il polietilene tereftalato (PET) con cui si realizzano le bottiglie di plastica ed i tessuti. A seguire il PVC (polivinilcloruro), il PP (polipropilene) e il PS (polistirene). Gli scienziati hanno dimostrato che i vortici oceanici di plastica sono prevalentemente composti da PET e PP. Per darvi un’idea dei tempi di degradazione vi darò alcuni esempi. Una boa marina di plastica (che spesso i pescatori perdono) impiega 50 anni per frammentarsi. Una lenza da pesca, da quelle professionali a quelle amatoriali, impiega 500 anni. Un bicchiere di polistirolo necessita di 50 anni. Le comuni buste di plastica del supermercato non biodegradabili impiegano circa 20 anni. La lista è purtroppo lunga e tetra.

Che cosa possiamo fare per risolvere questo gravissimo problema?
Le soluzioni non sono semplici. I costi di recupero di queste migliaia e migliaia di tonnellate di plastica sono spropositati. Inoltre, i gyro vortex delle plastiche sono lontani dalle coste, nel mezzo degli oceani dove i grandi vortici ciclonici delle correnti li raccolgono in ammassi  enormi.  Oltre a tutto è un problema dinamico, nel senso che la massa di plastica aumenta continuamente in tutto il globo; di fatto l’apporto è irrefrenabile. Tuttavia una nota positiva esiste. La raccolta selettiva lungo le coste da parte di volontari animati da profondo senso civico sta tentando di arginare il problema.

Ci sono anche progetti e prototipi per la raccolta delle plastiche in oceano. Un’impresa titanica ma per risolvere il problema bisognerebbe andare alla radice: ovvero arrestare il flusso massiccio di rifiuti che finiscono continuamente in mare. Tra le tante iniziative, quella di Boyan Slat, un giovane genio olandese, classe 1994, che ha proposto un prototipo per la raccolta delle plastiche in mare che sfrutta il ritmo delle correnti creando Ocean clean up. Il primo test, effettuato alle Azzorre è stato un successo.

Nel 2000 il premio Nobel Paul Crutzen ha definito il nostro tempo geologico come Antropocene, l’era dell’Uomo. Purtroppo, pur essendo protagonisti di questa Era, abbiamo provocato un gravissimo danno bio-geofisico che durerà nel tempo. La plastica è talmente diffusa che tra noi geologi sta iniziando a circolare un nuovo tipo di deposito stratificato: lo strato di plastica. Io stesso ho trovato sedimenti vecchi di mezzo secolo, quindi recenti, di natura fluviale con lattine di Coca-Cola compresse e inserite all’interno della stratificazione. Non è uno scherzo! Nelle Hawaii ci sono depositi lavici recenti in cui si ritrovano plastiche fuse definiti plastiglomerati. Io personalmente sono fiducioso, ma bisogna essere consapevoli delle proporzioni del danno che abbiamo fatto e che stiamo continuando a fare. Come disse Woody Allen, “ .. il nostro futuro va protetto, perché è là che vivremo “.

Aaronne Colagrossi

in anteprima Microplastiche: cosa sono e come evitarle – Green.it

 

 



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