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World Ocean Day, un’occasione per parlare di sostenibilità ecologica contro le plastiche abbandonate nell’ambiente

tempo di lettura: 11 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: ECOLOGIA 
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: conservazione e protezione degli oceani

 

L’8 giugno di ogni anno si celebra in tutto il mondo il World Ocean Day, ovvero la Giornata Mondiale degli Oceani. La domanda che ci poniamo è sempre la stessa: cosa possiamo fare per salvare il nostro futuro?  La risposta è complessa e semplice nello stesso tempo: dobbiamo cambiare il nostro stile di vita. La verità è che non bisogna essere grandi per poter dare un nostro contributo all’ambiente, ci basta fare piccole azioni per un futuro migliore. Ma perché siamo arrivati a questo punto?

Una via faticosa per correggere gli errori del passato
Il deterioramento dell’ambiente globale è sotto gli occhi di tutti ed è strettamente collegato agli attuali modelli di consumo e produzione che hanno dimostrato di essere insostenibili.  L’incremento esponenziale della produzione e dei consumi, iniziato con l’era industriale, ha visto negli ultimi 50 anni una rapida trasformazione del rapporto tra gli esseri umani e il mondo naturale  con un ab-uso sempre maggiore delle risorse naturali che ha comportato a sua volta un degrado ambientale sempre più tangibile (UNEP , 2015). L’aumento della produzione e del consumo, in tutti i settori, genera una grande quantità di rifiuti che, in gran parte, terminano la loro vita in mare. Il mare diviene quindi un grande ricettacolo dell’incapacità umana di gestirsi.  Questo comportamento mi ricorda una frase del Dalai Lama: “Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi. perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto

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photo credit @andrea mucedola

L’approccio dell’Umanità, specialmente nel mondo occidentale, è quello di cercare di rimediare ai propri errori senza prevenirli. Uno strano modo di pensare al futuro. Non esiste nessuna leadership che può giustificare scelte estreme che provochino morte ed estinzione. Dall’epoca industriale in poi il mondo è cambiato velocemente; sebbene il progresso tecnologico ha fornito un sempre maggiore benessere agli esseri umani, il prezzo che abbiamo pagato è andato a discapito dell’ambiente in cui viviamo.

Da un punto di vista geopolitico, dopo l’ultimo conflitto mondiale abbiamo assistito ad una bipolarizzazione intorno alle due grandi potenze che ha di fatto creato per molti anni sviluppi sociali paralleli. Il consumismo da un lato e le teorie dittatoriali dall’altro hanno modificato il modo di vivere degli Umani. Per quanto possa sembrare strano, pur essendo due regimi differenti, uno basato sul consumismo e l’altro sul comunismo, si è assistito ad un dilagare comune del materialismo che ha sostituito lo spiritualismo dei secoli precedenti, sia dal punto di vista religioso sia inteso come comunione spirituale fra gli esseri viventi. Le ragioni sono molteplici ma di fatto, chi ha pagato il prezzo più alto è il nostro pianeta che sta mostrando tutta la sua sofferenza. Parallelamente si stanno manifestando in molte aree del pianeta segni visibili di cambiamenti climatici probabilmente derivanti dalla ricorrenza dei cicli geologici che subiscono l’influenza degli effetti nefasti della nostra civiltà.

Ogni giorno la biodiversità delle specie viventi diminuisce, sostituita da materiali artificiali che abbiamo creato e non sappiamo gestire. Il mare, dove tutto nacque miliardi di anni orsono, sta lentamente morendo. La presenza di enormi isole di plastica in mezzo agli oceani. dove la percentuale tra plastica e plancton è di 7 ad 1,  è significativa dell’emergenza globale che stiamo vivendo. Eppure non se ne parla abbastanza. I mass media passano più tempo ad occuparsi del mondo dello spettacolo che dei problemi dell’ambiente dimenticando che dovrebbero svolgere anche una funzione di educazione in supporto alle scuole. Il livello educativo dei giovani d’oggi è in discesa ma dare colpa al sistema scolastico è riduttivo. In realtà vi sono molti fattori che sono entrati in gioco: carenza di fondi, eccessiva autonomia didattica, disconnessione con il mondo reale, etc. Dall’altro lato gli adolescenti vivono sempre più in un mondo virtuale rivelando una fragilità drammatica legata dalla mancanza di valori spirituali.  Non c’è da meravigliarsi se molti si rifugiano in filosofie orientali che nulla hanno a che fare con le nostre radici.

Mancanza di spiritualità?
Eppure essa è presente nelle grandi religioni: dal Cristianesimo all’Islam. Il materialismo ha pervaso, grazie ad esempi spesso discutibili, i mass media, minando quei valori oggettivi sui quali si è sviluppata la nostra civiltà. Tutto è divenuto spettacolo e le regole di comune convivenza sono state criticate esaltando la trasgressione come ribellione verso lo status quo. Vivere alla giornata senza porsi domande, come se non ci fosse un futuro. Un comportamento irresponsabile che mette seri dubbi sulla nostra intelligenza. E’ significativo che Papa Francesco, con una lettera che ha fatto storia, abbia lanciato nel giugno 2015 un grido di dolore per mettere fine allo sfruttamento “tirannico” della natura dall’umanità nella lotta contro il riscaldamento globale, e chiedendo una rivoluzione etica ed economica per prevenire l’attuale cambiamento climatico catastrofico e la crescente disuguaglianza sociale che ne deriverà. Nessun politico odierno è stato così lungimirante e trainante.

Instabilità e stabilità
Da oltre 70.000 anni, ove esistono cause di instabilità, si generano fenomeni di migrazione di massa e guerre. Il mare è stato.aesi. D’altra parte è impensabile pensare di aprire completamente le porte ad una massa di disperati che sono solo la punta di un iceberg. Le nostre società ne verrebbero cancellate. La soluzione è solo un intervento globale nei luoghi di origine, andando oltre le iniziative di confidence building o di solidarietà per ristabilire un ordine sociale. In questi paesi esistono risorse che potrebbero permettere a questi popoli di vivere con dignità contribuendo in maniera sincronica al benessere mondiale. Non è con la globalizzazione che possiamo risolvere i loro problemi. Abbiamo visto che questa ha fornito ricchezza solo a gruppi transnazionali, a lobby di potere che hanno distrutto le sovranità nazionali con un opera sottile di disinformazione e sostituzione dei valori primari con altri materiali e vacui.

Come dicevano i Romani “Panem et circenses”, dai a tutti “pane e divertimento” e nessuno si preoccuperà di te … cinico ma va avanti da secoli. Per assurdo sono queste stesse lobby che reagiscono con violenza a questi fenomeni senza avere una visione del domani. E’ come voler mettere un dito nella falla di una diga, per quanto tempo potremo resistere?

Ma tutto questo che cosa ha a che fare con il mare? Il mare ha una funzione fondamentale per la stabilizzazione del mondo. Il trasporto marittimo svolge un ruolo essenziale nel commercio internazionale di merci mondiale. Nel 2015, il valore degli scambi commerciali dell’Unione Europea  con Paesi terzi di beni trasportati via mare è stato stimato a circa 1.777 miliardi di euro, pari al 51% del commercio europeo totale.

Il Parlamento Europeo ed il Consiglio, nella decisione n. 884/2004, hanno definito le autostrade del mare come “quella rete che intende concentrare i flussi di merci su alcuni itinerari marittimi in modo da migliorare le linee esistenti o stabilire nuovi collegamenti marittimi redditizi, regolari e frequenti per il trasporto di merci tra Stati membri onde ridurre la congestione stradale e/o migliorare il collegamento degli Stati e regioni insulari e periferiche. Le autostrade del mare non dovrebbero escludere il trasporto combinato di persone e delle merci, quando il trasporto merci è predominante”.

L’UE ha quindi un interesse strategico nel promuovere l’utilizzo sempre maggiore del trasporto marittimo a corto raggio per attuare la riduzione del 60%, entro il 2050, delle emissioni di gas a effetto serra generate dal trasporto Ue e permettere, entro il 2030, il passaggio del 30% del trasporto merci su strada superiore ai 300 km ad altre modalità di trasporto.

Come vedete il mare, se consapevolmente sfruttato, potrebbe fornire un sostanziale aiuto all’ambiente. I nostri lettori sanno quanta ricerca viene fatta nel settore: per dismettere le carrette del mare, creare navi sempre più sicure e meno inquinanti. In questo va apprezzato lo sforzo della Confederazione degli armatori italiani (CONFITARMA).

Per poter ottenere il massimo rendimento economico deve essere assicurata la sicurezza delle rotte, riducendo le instabilità locali. Ma la stabilità deve essere preservata e, da millenni, l’unico modo di mantenerla è attraverso il controllo delle rotte marittime combattendo fenomeni di illegalità come la pirateria. Analizzandone le cause è emerso che lo sfruttamento eccessivo delle risorse e l’inquinamento possono generare fenomeni criminali e creare instabilità.

Ne va della nostra sopravvivenza
Dove esiste ignoranza si assiste ad una proliferazione di effetti collaterali. Nel caso dell’ambiente subiamo l’impatto umano reso spesso evidente dal comportamento incivile di molti. Il problema dei rifiuti è particolarmente grave e non si limita alle terre emerse o alle emissioni in atmosfera, alla fin fine tutto finisce in mare modificando le sue caratteristiche fisico chimiche. Non è solo un problema di inquinamento: il mare ha un ruolo fondamentale per il controllo del clima e le correnti oceaniche regolano il clima funzionando come moderatrici del clima locale.

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Circolazione termoalina Circulacion termohalina.jpg – Wikimedia Commons

L’esempio più noto è la corrente termoalina atlantica che, a causa delle differenze di temperatura e salinità lungo il suo percorso verso nord, da vita alla corrente del Golfo che mitiga le temperature delle coste del Nord Europa, per poi inabissarsi nelle profondità dell’oceano. In pratica, oceani e atmosfera fanno parte di un unico grande sistema dinamico, in stretta relazione e si influenzano a vicenda grazie ad un continuo scambio di gas. La miscela di gas che respiriamo e ci permette di vivere sul nostro pianeta è la stessa che consente l’esistenza della vita degli organismi marini. Inoltre il mare scambia gas continuamente con l’atmosfera contribuendo a mantenere l’equilibrio climatico. Ogni fattore perturbatore di questo equilibrio provoca fenomeni meteorologici estremi e modifiche all’ambiente.

Quest’anno, su OCEAN4FUTURE, ci stiamo dedicando ad un emergenza globale che sta lentamente minando il nostro futuro: la plastica in mare. Rifiuti di ogni genere sono divenuti abitanti inanimati dei nostri fondali, delle spiagge costiere, delle zone umide e dei delta dei fiumi, fino a popolare come in un film dell’orrore la colonna d’acqua. Tracce di queste sostanze sono state ritrovate anche tra i fanghi della fossa delle Marianne. Sono stati scoperti negli oceani accumuli di plastiche di dimensioni enormi, distribuiti sia in superficie sia nel volume.

PLASTIC GYRO

Un vortice è una corrente superficiale oceanica di forma circolare in cui si stanno accumulando le microplastiche, frammenti  di plastica di diverse dimensioni che misurano in genere meno di 5 mm. Fonte: UN Environment e GRID-Arendal,“Plastic currents,” in Marine Litter Vital Graphics, Joan Fabres et al. (eds.), 2018. Infographic by Maphoto/Riccardo Pravettoni, based on Erik van Sebille et al., “A global inventory of small floating plastic debris,” IOP Science, 8 December 2015; and Cooperative Institute for Meteorological Studies.

Enormi mostri (Gyro vortex) che ruotano vorticosamente generando melasse eterogenee fino nelle acque più profonde. Stiamo assistendo ad una modifica sostanziale dell’ambiente che non è scevra di pericoli per le specie animali, compreso l’Uomo.

Un mondo di plastica
La cattiva gestione dei rifiuti viene notata solo quando viene mostrata dai mass media nelle news o quando il consumatore ne viene a contatto in una situazione di emergenza. L’opinione pubblica  spesso non riesce ad acquisisce una vera consapevolezza del problema che è molto più complesso della conservazione dei rifiuti in una discarica. Il ciclo dei rifiuti ha risvolti economici, biologici e sanitari che sono intimamente legati fa di loro. Il sapere come gestirli non è sufficiente. Cerchiamo di inquadrare il problema.

I detriti di plastica possono avere caratteristiche di dimensioni simili a sedimenti e particelle di materiale sospeso e possono essere ingerite da animali che consumano gli organismi attraverso il filtraggio del sedimento. Recentemente è aumentata la preoccupazione per le implicazioni dell’inquinamento causato da detriti di piccole dimensioni, soprattutto se costituiti da plastica.

Il termine “microplastica” è stato introdotto per descrivere piccoli detriti di plastica di diametro inferiore a 5 mm che ormai sono onnipresenti nell’ambiente marino e litorale. Sebbene sia ancora difficile valutare la loro quantità, a causa delle limitate dimensioni delle particelle,  preoccupa la loro perniciosità nell’ambiente e la loro incorporazione nella catena trofica. Il problema si ingigantisce se consideriamo le nano particelle di plastica, ovvero quelle particelle minori a 1 micron.

BIOACCCUMULATION

Si ha quindi necessità di acquisire maggiori conoscenze sugli effetti ecologici delle micro e nano-plastiche,  per valutare il loro potenziale impatto sugli ecosistemi. Apparentemente forme di vita elementari, come lo zooplancton, sono già vittime di questi materiali.  Tra di essi sono presenti sia elementi erbivori, che si nutrono di fitoplancton,  che predatori. A loro volta i predatori sono preda di animali di maggiori dimensioni interessando una catena alimentare che parte da pesci molto piccoli fino ai cetacei. In particolare, essendo alla base di tutte le catene alimentari marine, il fitoplancton fornisce l’alimento base di numerose specie di rilevante interesse economico come sardine, acciughe ed aringhe. La morte del plancton, oltre al fattore biologico, produce un danno economico non trascurabile, distruggendo economie locali basate sulla pesca e già minate dal fenomeno della pesca non controllata (overfishing).

Non ultimo, esistono due tipi di particelle microplastiche: quelle derivate da fonti primarie e quelle che derivano dalla frammentazione, erosione  e dagli agenti atmosferici di oggetti più grandi (chiamati fonti secondarie).
Purtroppo, al fine di individuare misure di mitigazione per ridurre la loro introduzione  nell’ambiente, è possibile identificare la fonte di origine solo per le micro plastiche. Ad esempio, piccole particelle di plastica sono create dai prodotti cosmetici. Negli Stati Uniti si stima che gli utilizzati di detergenti della pelle (come gli scrub facciali) siano responsabili dello scarico di 263 tonnellate all’anno di micro plastiche di polietilene nell’ambiente.

Le microplastiche possono anche derivare dal rilascio di materie prime di plastica intermedia (chiamate in letteratura sea bead, pellet, o nurdles) derivanti sia da sottoprodotti o falle del sistema di produzione industriale sia dalla frammentazione meccanica ed erosione successiva dei materiali. Se per le macro plastiche potrebbe essere possibile agire in maniera agevole questo non è fattibile per le particelle di dimensioni nanometriche come quelle ottenute dal taglio dei materiali durante i processi industriali, per  le fibre rilasciate dai prodotti tessili sintetici (anche durante il lavaggio domestico) e per le particelle di gomma rilasciate dall’usura dei pneumatici.

Le nano plastiche non sono infatti visibili ed entrano in questa melassa plastica che può essere a sua volta ingerita dalle specie animali ed entrare insidiosamente nella nostra catena alimentare. Sebbene l’ingestione di queste particelle consenta il trasporto di tossine concentrate nelle loro porosità entrando nella dieta umana, tuttavia, non ci sono però prove concrete degli effetti nocivi di questi prodotti chimici sul biota marino e sulla salute umana, e  non c’è certezza circa la loro indisponibilità una volta ingerite. La loro tossicità va così ad accumularsi insieme a quelle legate alle esposizione a tali contaminanti per  altri percorsi di esposizione.

Cosa succede  a questi prodotti una volta che hanno raggiunto il mare?
Sebbene la distribuzione geografica dei detriti di plastica marina sia ancora in corso di determinazione, si ritiene che essa è legata alla dinamica delle correnti marine ed alle forze meteorologiche in gioco. La conoscenza oceanografica diventa quindi funzionale insieme ai monitoraggi dei litorali per poter comprendere dove siano collocati i punti di accumulo maggiori. Esiste una direttiva strategica europeo (Marine Strategy) che pone le basi per misure vincolanti ma sono necessarie iniziative regionali e nazionali concertate per affrontare le fonti di inquinamento sul terreno e sul mare sia con azioni di rimozione locali sia con l’incremento dell’educazione ambientale, della ricerca e della diffusione mediatica del problema.

Nel Mediterraneo non sembra che esista ancora una regia unica. Per fortuna esistono meritevoli iniziative di volontari ed associazioni che esercitano un’importante  pressione mediatica a livello governativo. Paradossalmente il costo efficacia della pulizia di una spiaggia risulta maggiore da un punto di vista educativo che per i risultati pratici. I cittadini che osservano i volontari intenti a ripulire una area naturale percepiscono un  messaggio sulla necessità sociale superiore ai vantaggi ecologici. A queste iniziative non deve però mancare il sostegno concreto delle Istituzioni, sia dal punto di vista legislativo che di supporto diretto  a queste associazioni.

Evitare l’inquinamento ambientale è  comunque un’opzione migliore e più economica rispetto alla pulizia o alla mitigazione dell’impatto dell’inquinamento. Ci sono molti modi per affrontare il problema dei detriti di plastica marini e delle micro plastiche – da misure preventive da effettuare a monte attraverso procedure di controllo industriale, repressione degli abusi e reati,  fino ad  una rimozione a valle del ciclo industriale e riutilizzo.

Una giornata particolare
La Giornata mondiale degli Oceani fu ufficialmente istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2008 con la risoluzione 63/111, punto 171, per essere celebrata in tutto il mondo l’8 giugno di ogni anno. Tutto nacque a seguito della proposta del Canada all’Earth Summit di Rio de Janeiro, Brasile, dello stesso anno.  Questo evento offre un’opportunità per tutti di scendere in campo per affrontare le emergenze dell’Oceano. Un  modo per poterlo celebrare degnamente e cercare di sensibilizzare coloro con cui siamo in contatto ad una maggior consapevolezza verso l’ambiente marino, a proteggere le risorse idriche, a battersi per impedire il versamento di prodotti chimici e rifiuti plastici, a ridurre l’uso di fertilizzanti e pesticidi optando per quelli biologici, a riciclare i rifiuti domestici pretendendo ove non esistente la raccolta differenziata e, non ultimo , non abbandonare i tuoi rifiuti nell’ambiente.

Per questa ultima azione basta veramente poco: una maggiore attenzione ed impegno sociale. Siate protagonisti del vostro futuro. Un piccolo passo ogni giorno fatto da tanti può cambiare il mondo.

In sintesi, il mare è veicolo di stabilità. Dobbiamo lavorare insieme per preservarne la salute. Se non interverremo in maniera consapevole, ci avvieremo speditamente alla nostra estinzione. Abbiamo visto i motivi ecologici, economici e politici per cui il mare deve essere preservato ed ora tocca a noi. Oggi è un giorno importante per poter incominciare.

Organizzatevi, chiamate amici e colleghi, date il vostro contributo. Piccoli passi possono cambiare il mondo e solo con l’impegno di tutti possiamo farcela.

 

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  1. World Ocean Day 2017 – Il subacqueo on 08/06/2017 at 12:54

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