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livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: PIANETA TERRA
parole chiave: Clima, cambiamenti climatici
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Le evoluzioni climatiche sono sotto gli occhi di tutti
In questa caldissima estate la temperatura media è sempre più elevata e sta comportando danni alle colture e la diminuzione dei bacini idrici già sofferenti da anni di mal gestione (in Italia quasi il 45% delle risorse idriche sono perse a causa delle perdite nella rete). Nelle regioni limitrofe, la maggiore desertificazione del territorio comporta gravissimi disagi a popolazioni già da tempo in condizioni di sopravvivenza critiche.
Sta diventando sempre più chiaro che le emergenze del futuro prossimo venturo saranno legate ai cambiamenti climatici ed alla mancanza d’acqua con conseguente denutrizione di milioni di persone.
Una situazione foriera di sempre maggiori instabilità geopolitiche legate alle necessità di popolazioni costrette ad emigrare verso aree solo teoricamente più accoglienti che cercano di affrontare problemi economici gravi con soluzioni spesso dubbie per una loro effettiva validità. Le conseguenze sono facilmente prevedibili: si pongono le basi per uno scontro mondiale in cui non esiste una regia globale. Il clima ha un suo potenziale strategico ed ha guidato, negli ultimi 70000 anni, movimenti di massa dei popoli della Terra. Queste variazioni legate a cicli naturali o indotte dall’Uomo, colpiranno anche le regioni economicamente più abbienti con danni economici importanti che avranno ricadute sui mercati, sugli investimenti, sulle compagnie di assicurazione nonché su molte attività di produzione che verranno ridotte se non addirittura cancellate. Non potendo fare nulla per impedire la ciclicità climatica del pianeta, si può cercare di mitigare gli effetti con politiche condivise per salvaguardare il futuro del pianeta.
Climate Challenge
Un rapporto del febbraio del 2005, dal titolo The Climate Challenge[1], rivolto ai politici di tutti i paesi, chiese al primo ministro britannico Tony Blair, presidente di turno dell’Unione Europea e dei G8, nell’anno in cui il protocollo di Kioto veniva reso esecutivo, di intraprendere azioni efficaci per far fronte al problema del cambiamento climatico agendo sia sui paesi più industrializzati sia su quelli non inclusi in tale documento ma in grande sviluppo demografico.
Il pericolo immediato potrebbe essere rappresentato dai gas serra emessi che potrebbero raggiungere un punto di non ritorno causando un’aumento della percentuale di anidride carbonica ed un aumento fino a due gradi della temperatura globale. Questo favorirà un incremento delle alluvioni, l’innalzamento dei mari e conseguenti penetrazioni del mare anche in profondità nel territori. In altre zone, estensione delle aree desertiche e maggiore imprevedibilità atmosferica estrema con alluvioni e cicloni tropicali anche in aree temperate.
Ma la cosa più grave è che non ci potrebbe essere un punto di ritorno e si andrebbe verso un imprevedibile disastro o ad un nuovo punto di equilibrio che potrebbe non consentire una vita facile per gli abitanti del pianeta. Nel documento venivano analizzati meticolosamente tutti gli aspetti di trasformazione in atto e le possibili conseguenze come gli ingenti danni all’agricoltura, la scarsità d’acqua con gravi siccità in aree depresse, l’aumento di malattie infettive, la scomparsa delle foreste pluviali, l’aumentare degli eventi catastrofici e lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia con conseguente mutamento delle caratteristiche termiche della corrente del Golfo e quindi del clima dell’Atlantico (con l’arrivo di una nuova glaciazione?).
Inoltre, gli aumenti della temperatura media potrebbero anche compromettere le già sofferenti barriere coralline e causare danni irreversibili ad importanti ecosistemi terrestri. Il rapporto invitava quindi tutti i paesi facenti parte del G8 affinché acconsentissero ad investire in sorgenti di fonti rinnovabili per ottenere almeno il 25% del totale di elettricità necessaria da energie alternative entro il 2025; inoltre richiedeva di raddoppiare gli investimenti per la ricerca su tecnologie a bassa emissione di CO2 entro il 2010. Un altro studio[2] dello stesso anno, che fece notevole scalpore, fu il Climate Change Future (CCF); prendendo spunto dall’approccio analitico delle analisi dei rapporti del IPCC, basava le sue teorie su scenari di lungo termine con un graduale riscaldamento terrestre ed un aumento di situazioni meteorologiche estreme. Tutto ciò considerando un contesto sociale ed economico attuale ovvero considerando una crescita demografica ed economica costante e non limitata per quanto concernono i consumi energetici. Lo studio affrontava le conseguenze sulla salute umana (possibilità di epidemie a seguito della variabilità climatica o di eventi disastrosi), sugli ecosistemi (foreste, campi agricoli, habitat marini e terrestri e acque) e le loro ricadute sull’economia globale e dimostrava che il temperature rising potrebbe portare ad un aumento deciso della malaria, del West Nile, e delle Lyme desease[3] con conseguenze sociali critiche (necessità di vaccinazioni/profilassi di massa con aumento delle spese sanitarie ed assicurative).
Recentemente, per dare man forte alle teorie scientifiche, si sono uniti studi economici che cercano di fare leva sui policy makers andando a verificare le implicazioni finanziarie a seguito di eventi catastrofici. In particolare è emerso che negli anni ’50, gli eventi catastrofici causarono solo negli Stati Uniti danni per una media di 4 miliardi di dollari/all’anno: tale media è salita negli anni ’90 fino ai 46 miliardi di dollari annui. Nell’anno 2004 tale valore raggiunse i 107 miliardi di dollari e fu nuovamente superato a causa degli uragani Katrina e Rita del 2005.
Dal punto di vista solo assicurativo, si è osservato che l’aumento dei danni causati da eventi catastrofici nelle nazioni più sviluppate ha avuto pesanti ripercussioni economiche che hanno messo in ginocchio le amministrazioni delle nazioni e richiesta una profonda analisi dei costi interni ovvero, si è dovuto rivalutare il bilancio tra perdite di profitti nel campo dell’energia (riduzione delle produzioni) e nuovi investimenti in fonti rinnovabili contro mantenimento delle attuali risorse energetiche (e relative emissioni) a fronte di maggiori spese di intervento. Molte teorie sul futuro prossimo venturo si basano sui rapporti periodici dell’IPCC [4]; nell’ultimo rapporto, del 2007, viene nuovamente ribadito che l’aumento dei gas serra (greenhouse gases), degli aerosol, delle radiazioni solari sembrano continuare ad alterare l’equilibrio del sistema climatico del pianeta Terra.
Le concentrazioni di CO2 [5], di metano [6] e di ossidi nitrati [7] sono aumentate marcatamente negli ultimi anni, prevedibilmente a causa delle attività antropiche [8]. Va però compreso che se l’aumento delle temperate è oggettivo ci si domanda quanto questo aumento sia dovuto effettivamente all’Uomo o vada ricercato in un ciclo naturale. Di fatto, il livello di confidenza sui rate di crescita dello riscaldamento globale è decisamente migliorato rispetto a quello stimato dal TAR (IPCC Third Assessment Report) ed ha portato l’indice di radiation forcing da +1,6 Wm-2 a + 2,3 Wm-2 con un rateo di crescita senza precedenti negli ultimi 10000 anni e del 20 % dal 1995 al 2005.
Una valutazione dell’impatto relativo e dei rischi connessi al riscaldamento globale. Vengono valutate cinque categorie. Le barre sono codificate a colori per mostrare il livello di impatto/preoccupazione per ciascun fattore in funzione dell’aumento della temperatura An assessment of the relative impact and risks connected with global… | Download Scientific Diagram (researchgate.net)
Gli effetti dovuti agli aerosol sembrano invece aver prodotto un effetto di raffreddamento di – 0,5 Wm influenzando il ciclo delle nuvole e delle piogge acide. Vi sono inoltre altri contributi atmosferici derivanti dalle emissioni antropiche che influenzano la troposfera come l’ozono (+0,35) e gli alocarbonati (+0,34).
In sintesi, i nuovi dati sembrano andare a modificare le ipotesi precedenti che, pur già delineando un aumento globale delle temperature, ne prevedevano un andamento crescente lineare.
Tale trend sembra trovare una conferma nei recenti cambiamenti dei fenomeni climatici caratterizzati da sempre maggiore imprevedibilità. Ciò è dimostrato dal fatto che fenomeni previsti a lunga scadenza sono occorsi nella loro drammaticità ad un ritmo sempre più breve richiedendo una nuova analisi del rischio basata sui seguenti fattori:
- il riscaldamento globale favorisce la desertificazione, quindi l’impoverimento economico agricolo, l’aumentare delle malattie umane e delle specie animali a causa dell’aumento della diffusione di insetti portatori di malattie, la carestia di milioni di individui;
- le attività umane stanno distruggendo ecosistemi marini (barriere coralline e praterie di posidonia oceanica) con impoverimento delle specie animali e delle risorse biologiche, e terrestri (foreste) causando una sempre maggiore vulnerabilità idrologica del territorio e disagi gravissime per le comunità colpite da alluvioni;
- la riduzione inevitabile delle risorse energetiche causerà la necessità, a meno di un suicidio collettivo, di ricercare nuove forme di energia sempre più pulite, ecologicamente sostenibili, che riducendo l’impatto ambientale e potranno portare ad un nuovo equilibrio naturale; ciò comporta la necessità di investire in fonti energetiche nuove bilanciando nel caso il male minore.
E’ già accaduto ma …
Di contro sono state trovate tracce nelle ere geologiche di periodi con cicli atmosferici catastrofici, anche della durata di decine di anni, che hanno comportato mini glaciazioni o temperature anomale. In considerazione che a fronte dell’età della Terra , duecento cinquanta anni di osservazione sono un battito di ciglia, il problema è assolutamente dibattuto e necessità quindi di riflessioni maggiori. I negazionisti come Scott Pruitt, il nuovo capo della Environment Protection Agency (EPA, agenzia federale per la protezione dell’ambiente), negano che le emissioni di anidride carbonica incidano sul cambiamento climatico. Scelto da Donald Trump, nessuno si aspettava che dichiarasse apertamente alla NBC la sua teoria, contraria alla convinzione praticamente unanime della comunità scientifica mondiale. Pruitt ha sottolineato “I think that measuring with precision human activity on the climate is something very challenging to do and there’s tremendous disagreement about the degree of impact, so no, I would not agree that it’s a primary contributor to the global warming that we see” … “But we don’t know that yet … We need to continue the debate and continue the review and the analysis.”
Una dichiarazione discutibile che va contro le posizioni della comunità scientifica internazionale secondo le quali la combustione dei fossili contribuiscono in maniera determinate all’aumento delle temperature e all’accelerazione dello scioglimento delle calotte artiche. In un rapporto della NASA e del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) del gennaio 2017 fu ribadito che la temperatura media del pianeta è aumentata di circa 2,0 gradi Fahrenheit (1,1 gradi Celsius) dalla fine del diciannovesimo secolo in gran parte a causa dell’aumentare dell’anidride carbonica e di emissioni di gas serra in atmosfera dovute all’attività dell’Uomo.
I gas serra nell’atmosfera
L’energia solare assorbita dalla Terra è bilanciata dalla sua capacità di restituire nello spazio energia sotto forma di raggi infrarossi e la sua quantità radiata è valutabile in relazione alla capacità dei gas serra presenti in atmosfera in grado di assorbirla nel suo irradiamento. Considerando che parte di tale energia rimane intrappolata nelle fasce dell’atmosfera, prima di essere radiata nello spazio, maggiore è la quantità di gas serra presenti in atmosfera e maggiore è la ritenzione di energia e quindi di surriscaldamento dell’atmosfera stessa. La valutazione della percentuale dei gas valutata attraverso carotaggi nel ghiaccio ci fornisce un quadro del surriscaldamento della Terra nel tempo e quindi una descrizione dei periodi di glaciazione e di successivo riscaldamento che si sono naturalmente succeduti.
Questa animazione pubblicata dalla Nasa mostra la distribuzione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre. Realizzata dal Goddard space flight centre della NASA grazie a dati raccolti dal satellite “Orbiting Carbon Observatory-2”, è un modello climatico che permette agli scienziati di osservare come si comportano i gas serra una volta emessi. I puntini rossi, visibili soprattutto in Africa centrale, mostrano gli incendi delle foreste. Le aree blu, concentrate in Asia orientale, Europa occidentale e nelle coste Usa, indicano, invece, le emissioni delle grandi città. In viola, infine, la distribuzione di CO2 nell’atmosfera.
L’atmosfera che circonda il nostro pianeta è composta da circa il 78% da azoto e per il 21 % da ossigeno. L’ossigeno è importante per la sopravvivenza degli esseri umani e degli animali e gioca un ruolo fondamentale, insieme all’azoto, in numerosi cicli biochimici che consentono la vita sul Pianeta. Il loro ruolo diretto sul clima è invece trascurabile; chi sembra giocare un ruolo decisivo sono i gas presenti in tracce nell’atmosfera ed in particolare l’anidride carbonica CO2, l’ossido di azoto N2O, il metano, i Cloro Fluoruri Carbonati (più noti come CFC) e naturalmente l’ozono. Questi gas, chiamati gas serra, influenzano direttamente il clima consentendo il riscaldamento o il raffreddamento della atmosfera.
Nella tabella seguente sono raccolti alcuni valori inerenti i maggiori gas serra, significando che i dati sono indicativi solo per l’intervallo di osservazione (dall’età pre-industriale ad oggi).
I dati parlano da soli … avete ancora dubbi?
Di fatto la situazione è in rapida evoluzione … ed i sintomi della sofferenza del pianeta sono evidenti per tutti coloro che li vogliono vedere. Speriamo di non trovarsi nella stessa situazione di quando a Maria Antonietta fu prospettato che il popolo moriva di fame perché non aveva più pane e lei rispose ” S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche“. Forse non fu lei a dirlo .. ma l’esempio è calzante.
migranti a bordo di un gommone si avvicinano al cacciatorpediniere USS Carney (DDG 64) che stava conducendo un pattugliamento di routine nell’area di operazioni della sesta flotta degli Stati Uniti a sostegno degli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti in Europa – Fonte U.S. Navy – autore Chief Information Systems Technician Wesley R. Dickey/rilasciato Inflatable boat carrying migrants approaching USS Carney (DDG-64) in the Mediterranean 160729-N-EU999-004.jpg – Wikimedia Commons
Purtroppo il gioco si fa duro e le situazioni di instabilità locali aumenteranno in maniera proporzionale. Le migrazioni che stiamo osservando sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che potrà essere arrestato solo operando in maniera decisa sulle cause e sugli effetti nei territori di provenienza.
Andrea Mucedola
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PAGINA PRINCIPALENote
[1] The climate challenge, da Michael McCarthy, Environment Editor – gennaio 2005
http://news.independent.co.uk/world/environment
[2] Lo studio Climate Change Future (CCF) esamina i costi esistenti e futuri derivanti dal cambio del clima e accredita alle compagnie assicurative un ruolo primario nella valutazione dei rischi associati , in particolare nella gestione del dopo evento relativamente agli effetti, alle contaminazioni, alla gestione della ricostruzione delle strutture.
[3] La malaria attualmente uccide oltre 3000 bambini al giorno solo in Africa ed il virus del West Nile è costato agli Stati Uniti, nel 1999, oltre 500 milioni di dollari. Inoltre, per comprendere che la problematica non può essere confinata ai Paesi del terzo mondo, nel Nord America la zecca responsabile del Lyme disease sta aumentando velocemente la sua distribuzione a causa delle cosiddette Indian Summer ovvero degli inverni insolitamente caldi. Lo studio mostra che l’habitat favorevole alla riproduzione della zecca aumenterà del 213% nel 2080.
[4] IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è un pannello intergovernativo voluto dal WMO (World Meteorological Organization) e dall’UNEP ( United Nations Environment Programme). Il suo ruolo è di monitorizzare su base scientifica, tecnica e socio economica tutte le informazioni relative ai possibili rischi umani a causa delle variazioni climatiche. I dati di seguito riportati sono estratti dall’ultimo Assessment Synthesis Report and Summaries for Policymakers del 2007.
[5] I valori del biossido di carbonio sono passati da 280 ppmv dell’era pre-industriale ai 379 ppmv del 2005. negli ultimi dieci anni tale valore sta crescendo di circa 2 ppmv medi per anno.
[6] I valori di concentrazione di metano sono aumentati da 715 ppb del 1750 a1732 intorno al 1990 fino a 1774 nel 2005 il livello naturale è intorno ai 320 ppb).
[7] I valori di concentrazione degli ossidi nitrati sono variati, per gli stessi periodi, da 270 ppbv 319 ppbv con un valore di crescita costante dal 1980. Più di un terzo delle emissioni di tali gas è dovuto all’azione antropica ed in particolare all’agricoltura.
[8] I valori, stimati dall’analisi dei carotaggi di ghiaccio mostrano una decisa variazione de valori di CO2 intorno al 1750 d.c. sempre più accentuata dal 1995 ai giorni nostri.
[9] 1998
[10] 1992
[11] 1997
[12] 1997
[13] 1992
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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