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Profili inversi e decompressione

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: decompressione

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Fare prima l’immersione più profonda è il mantra che ci viene ripetuto da praticamente tutte le didattiche; violare questa “regola”  è uno dei più grandi tabù della subacquea.

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Ma è proprio così? 
Forse no, o almeno non sempre come emerge dai risultati di un convegno organizzato dall’Accademia Americana di Scienze Subacquee  e dallo Smithsonian Institution dal quale sono tratte le informazioni per questo articolo. L’istituzione dello Smithsonian è stata fondata nel 1846 con fondi lasciati negli Stati Uniti da James Smithson. Lo scopo dell’istituzione è “l’aumento e la diffusione della conoscenza” ed è anche un centro di ricerca dedicato all’istruzione pubblica tramite ricerche e borse di studio.

Decompressione
Iniziamo con un breve accenno alla teoria decompressiva. Durante la respirazione il solo gas metabolizzato è l’ossigeno. Il rimanente (nel caso dell’aria l’azoto) non partecipa ad alcuna reazione fisiologica.  A pressione atmosferica, per semplicità diciamo al livello del mare, il nostro organismo è in uno stato di saturazione per l’azoto, ad ogni respiro questo gas è semplicemente ventilato dentro e fuori dai polmoni. All’aumentare della pressione ambiente, durante le immersioni, la pressione parziale dell’azoto (e di ogni latro gas inerte presente nella miscela respiratoria) cresce causando un aumento della sua dissoluzione nei tessuti seguendo la legge di Henry. Durante la risalita questo eccesso di gas torna in fase gassosa e viene eliminato dai polmoni.  I problemi iniziano quando il processo genera bolle abbastanza grandi da interferire con la circolazione del sangue causando blocchi locali. In questo caso il subacqueo è vittima della malattia da decompressione. Per evitare questi problemi, limiti di tempo, profondità e velocità di risalita sono stati sviluppati sottoforma di tabelle di immersione o di algoritmi per i computer subacquei.

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Nel corso degli anni una “regola” sembra essere divenuta dominante: fare l’immersione più profonda per prima e, nel corso di una singola immersione, raggiungere la profondità massima all’inizio e quindi iniziare la risalita.
Violare questa procedura (ovvero effettuare un reverse profile) è considerata causa di possibile interferenza con il processo decompressivo aumentando il rischio di patologia da decompressione (MDD).

Forse si ma …
Vi sono tuttavia situazioni nelle quali un profilo inverso, prima immersione meno profonda o ritorno alla massima profondità dopo essere risaliti ad una quota inferiore durante una singola immersione, è inevitabile. Ad esempio l’immersione speleo-subacquea  obbliga i subacquei a seguire il profilo altimetrico della grotta che potrebbe richiedere diverse “risalite e discese”. Uno studio delle teorie de compressive, ad iniziare dai primi lavori di Haldane nel 1908, non ha evidenziato alcun supporto teoretico o sperimentale per la necessità di evitare profili inversi da un punto di vista fisiologico. Il limite sembrerebbe piuttosto di tipo pratico perché le tabelle d’immersione, per come sono state create, penalizzano i profili inversi riducendo molto il tempo di fondo permesso nelle immersioni successive (Lewis, 1999).

1Ad esempio, se utilizziamo le tabelle NAUI, facendo un profilo diretto con prima immersione a 27 metri per 20 minuti e seconda immersione a 21 metri per 19 minuti (massimo tempo di fondo permesso), con un intervallo di superficie di un’ora tra le due, possiamo spendere un tempo totale di immersione (cumulato tra le due) di 39 minuti. Invertendo il profilo (21 metri per 20 minuti seguiti da 27 metri per il massimo consentito di 9 minuti) il totale del nostro tempo in immersione sarà di 29 minuti. Il profilo inverso perciò causa una riduzione del tempo totale di fondo delle due immersioni cumulate di quasi il 25%.

Questa riduzione dei tempi di fondo però non necessariamente indica un reale aumento del rischio decompressivo basato su effetti fisiologici dei profili inversi. In pratica la regola sarebbe più una conseguenza di “abitudini” che frutto di studi scientifici. Infatti nella letteratura medica non sembra ci siano riferimenti al fatto che i profili inversi siano causa di incremento del rischio de compressivo (Egstrom, 1999).

bendsProfili inversi, tuttavia, causano un incremento sostanziale nel numero di bolle e nel rilascio di gas e questi effetti devono essere adeguatamente considerati nell’algoritmo decompressivo (Yount, Maiken, Baker, 1999). Dall’analisi di molteplici profili inversi il meccanismo di formazione delle bolle ed il rischio di malattia da decompressione sembrerebbe essere il medesimo che per profili diretti (Weathersby, Gerth, 1999). Sia i modelli della dinamica delle bolle che diversi algoritmi utilizzati nei computer subacquei non mostrano differenze nello stress decompressivo tra profili diretti ed inversi (Gerth and Thalamann, 1999; Gernhardt, 1999).

Quello che è stato notato è che i profili inversi sono spesso associati a periodi di intensa attività con immersioni multiple per molti giorni consecutivi. Sarebbe questa la vera causa di aumento del rischio decompressivo piuttosto che il profilo inverso (Vann et al. 1999). Inoltre i calcoli più complessi necessari per elaborare i parametri delle immersioni in profili inversi spingono il limite degli algoritmi dei computer subacquei con potenziale incremento del rischio decompressivo (Mutzbauer, 1999).

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Conclusioni
In conclusione fare l’immersione più profonda per prima, o raggiungere la massima profondità nella singola immersione subito, è più una convenienza che un obbligo soprattutto se si usano le tabelle per programmare i tempi di immersione in immersioni multiple. Un profilo diretto consentirà di passare un tempo di immersione cumulato tra le due immersioni maggiore di quello consentito nel caso di un profilo inverso. Come ultima, ma importante nota, è da evidenziare che queste considerazioni valgono esclusivamente per immersioni senza decompressione entro i 40 metri  e con un differenziale massimo di profondità non superiore ai 12 metri. Inoltre bisogna sempre accertarsi che le tabelle, od il computer usato, consentano un profilo inverso anche se penalizzante.

Dr. Giorgio Caramanna

 

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1 commento

  1. Marco Marco
    04/10/2017    

    Interessante e ben scritto (aka accessibile per un non esperto). Well done!

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