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La guerra navale nel Mediterraneo e nelle Fiandre nel XVI secolo: il perché del successo della galea – parte I di Emiliano Beri

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO E MAR MEDITERRANEO
parole chiave: galea
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Fig. 1. C. De Grassi, Veduta di Genova nel 1481 – Galata Museo del Mare di Genova

Per guardare al contributo genovese alla guerra sul mare nel Cinquecento non può si prescindere dallo studio del connubio navale, finanziario e commerciale tra la Genova e la Spagna asburgica. Si tratta di un connubio che ha un preciso punto di partenza: l’accordo del 1528 tra Carlo V, re di Spagna e Imperatore dal Sacro Romano Impero, e Andrea Doria, ammiraglio, proprietario di galee (dodici in quel momento) e nuova figura di riferimento di riferimento del patriziato genovese (accordo che è conservato in questo Archivio). Carlo V in quel momento era in guerra in Italia contro la Francia e nel Mediterraneo contro l’Impero ottomano (e, tra l’altro, meno di un decennio dopo, nel 1536, Francia e Ottomani si coalizzeranno contro di lui). Carlo aveva bisogno di capitali, aveva bisogno anche di un collegamento marittimo con Milano e con l’Italia meridionale, aveva bisogno di know-how marittimo e navale.

Genova aveva capitali in abbondanza e si trovava nella posizione chiave per collegare la Spagna con Milano e con Napoli e Palermo (lungo l’asse più a nord, quello più distante dalle basi dei corsari nordafricani – non a caso la rotta spagnola del Mediterraneo occidentale sarà incardinata proprio su Genova; rimando al lavoro di A. Pacini, «Desde Rosas a Gaeta», Milano 2013). Genova aveva anche, naturalmente, il know-how marittimo e navale. Un know-how plurisecolare che, tra l’altro, già nel Medioevo i genovesi avevano messo al servizio di diversi sovrani europei (Impero, Francia, Castiglia e Portogallo). I genovesi sapevano come costruire galee e navi, come gestirle dal punto di vista materiale e finanziario, come condurle nelle operazioni navali e in battaglia. Combattevano sul mare da secoli, per Genova e per altri.

Fig. 2  G. Vigne, Veduta di Genova, (inizio XVI secolo), Museo Navale di Genova-Pegli

Genova aveva quindi tutto ciò che Carlo V cercava
Non solo: i Genovesi vedevano nella Spagna l’opportunità di fare affari sia con la monarchia che si stava affermando coma la maggiore potenza europea del momento, sia di fare affari sotto l’egida della maggiore potenza europea del momento (sfruttando la sua politica di potenza, le sue colonie e la sua bandiera), mantenendo però l’indipendenza per avere quei margini di manovra (ossia fare affari anche coi nemici della Spagna) e di sganciamento che un’annessione avrebbe precluso. Ora concentrerò la mia breve riflessione proprio sul know-how navale, perché al navale ispano-genovese sono collegate alcune problematiche.

Fig. 3. L Calvi, Assedio alla fortezza bassa di Corone, 1532, Galata Museo del Mare di Genova

Il navale genovese, ossia l’arte di far la guerra sul mare, nel Quattrocento era evoluto all’insegna del binomio nave e galea. La comparsa della nave nella guerra sul mare, ossia come unità inserita nelle flotte da battaglia, è una novità quattrocentesca. Le flotte da battaglia genovesi del Duecento e del Trecento erano formate da galee. Ma nella battaglia di Bonifacio (1421) e in quella di Ponza (1435) già le navi sono protagoniste, o quantomeno co-protagoniste. E nel corso del Quattrocento e del Primo Cinquecento le testimonianze di flotte miste non mancano. Ne vediamo alcuni esempio qui: la flotta che ha soccorso Otranto nel 1482 (o riunita per soccorre Otranto l’anno precedente) [fig. 1]; la flotta genovese che affronta quella francese di Luigi XII (primo Cinquecento) [fig. 2]; la flotta di Andrea Doria impegnata nella presa della fortezza di Corone (1532) [fig. 3].

Sappiamo che la storiografia navale – mi riferisco in primo luogo a quella anglosassone e nordica, con alcuni italiani che le sono andati dietro – guarda allo sviluppo della nave in età moderna come al futuro, alla modernità navale, perché solo la nave permetterà lo sviluppo della potenza di fuoco. La galea invece viene guardata come un retaggio del passato, un bastimento anacronistico per l’età moderna, come anacronistiche sono le realtà che continuano a farvi ricorso. Sappiamo che Lepanto (1571) viene spesso presentata come l’ultima battaglia tra galee, quasi che sia un atto di chiusura di un’epoca passata che finalmente lascia il posto alla modernità fatta di navi irte di cannoni.

Fig. 4 la flotta della lega Santa a Messina 1571 

Ma se andiamo ad osservare la flotta della Lega Santa che combatté a Lepanto vediamo galee, galeazze e navi [fig. 4].

Come mai le navi a Lepanto vennero relegate ad un ruolo esclusivamente logistico? Cosa era successo tra il primo Cinquecento e Lepanto, tra Corone (1532) e Lepanto (1571)?

Il momento chiave va individuato nella battaglia della Prevesa (28 settembre 1538). Alla Prevesa la mancata vittoria della flotta della Lega ispano-veneziana (in forte superiorità numerica rispetto a quella ottomana), fu attribuita da Andrea Doria, ammiraglio della flotta, alla difficoltà nel coordinare l’azione di galee e navi. Le navi potevano si essere riempite di cannoni a guisa di castelli galleggianti, ma peccavano di manovrabilità in battaglia, soprattutto negli spazi stretti, sotto costa, in assenza di vento o con vento contrario. Condizioni frequenti nel Mediterraneo, dove si navigava quasi sempre sotto costa, si combatteva sempre sotto costa, e si navigava nella buona stagione, quando le calme non mancavano.

Dopo la battaglia navale di Prevesa Andrea Doria dirà basta con l’impiego di navi e galee in battaglia; solo galee, niente navi. Non è un caso se nel prosieguo delle operazioni navali della guerra mediterranea del Cinquecento , fino a Lepanto e oltre, le squadre da battaglia saranno formate da galee, con le navi relegate a compiti di trasporto. Solo nel corso del Seicento le qualità nautiche della nave miglioreranno al punto da reintrodurla, nella forma del galeone-vascello e della fregata, nella guerra navale mediterranea (nella guerra di Candia 1645-1669, ad esempio, il binomio vascello-galea darà la fortuna della flotta veneziana, determinando la sua superiorità su quella ottomana).

Ma anche nel Seicento, e ancora nel Settecento, la galea non sparirà, perché per determinati compiti operativi continuerà ad essere fondamentale, in forza della sua manovrabilità, del pescaggio ridotto e della propulsione remica. Per la guerra di corsa, le operazioni di polizia marittima e le operazioni anfibie continuerà ad essere fondamentale, perché in possesso di caratteristiche che vascelli e fregate non avevano. La propulsione remica, soprattutto, era così tanto importante, nel teatro mediterraneo (ma non solo), per i compiti operativi di cui ho appena detto, da essere applicata alla stragrande maggioranza dei bastimenti destinati a questi compiti, ivi comprese le navi, nella forma della nave-galera e della fregata-galera, che si affermano nel Seicento e sono ancora diffuse nel Settecento (le utilizzarono, fra gli altri, gli inglesi, gli olandesi e i francesi. Alcuni esempio, uno inglese del Seicento e due veneziani del settecento, sono proposti nella fig. 5 sottostante).

Ma torniamo al Cinquecento
La galea che sfruttava il vento ogni volta che poteva, e utilizzava i remi quando il vento non era favorevole o quando gli spazi di manovra erano troppo stretti per affidarsi al vento. Aveva un cannone di corsia che era superiore per calibro e gittata ai pezzi imbarcati sulle navi. Non solo, fino all’introduzione delle batterie a pelo d’acqua, quando serrava la distanza con una nave, restava defilata rispetto al tiro dei suoi cannoni. Era quindi uno strumento bellico più flessibile ed efficace della nave nel teatro mediterraneo. Con la seconda parte vedremo come a Lepanto la galea riuscì a sfruttare al meglio le sue caratteristiche.

fine I parte – continua

Prof. Emiliano Beri

testo e immagini tratte dalla relazione presentata al Convegno internazionale “Navi genovesi nel Secolo dei Genova”, Archivio di Stato di Genova, 6 aprile 2018

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PARTE I PARTE II

 

 

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1 commento

  1. 08/05/2018    

    complimenti emiliano. anzi complimentissimi.

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