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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO – RODI
parole chiave: Ospitalieri, Rodi, Ottomani
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L’Assedio di Rodi del 1522 rappresenta un momento fondamentale nella storia dell’Impero Ottomano e degli Ospitalieri. Questi ultimi, estromessi dal governo dell’isola, nel giro di un decennio ricostruiranno le loro fortune a Malta.
Solimano il magnifico, il giovanissimo imperatore ottomano, 26enne, appena asceso al trono, decise che l’onta del 1480 doveva essere lavata, possibilmente, nel sangue. A chiederglielo era stato suo padre, Selim I che aveva già preparato 300 navi per radere al suolo la fortezza degli Ospitalieri. Si dice che Selim avesse chiesto al figlioletto Solimano solo due cose: prendere Belgrado e Rodi, ma c’erano altre ragioni. I Cavalieri Ospitalieri non erano delle donnicciole casa e chiesa, e la loro occupazione primaria era contrastare le navi corsare ottomane e barbaresche con un modus operandi analogo al loro e, perché no, effettuare sortite nelle città costiere musulmane. A Costantinopoli giungevano continue lamentele da parte degli abitanti di Mitilene, Negroponte, Acaja, ecc. Tutti chiedevano che i Cavalieri fossero estirpati dall’isola di Rodi.
Gran Maestro Philippe Villiers de l’Isle d’Adam
Solimano non si lasciò scappare quest’opportunità, anche perché l’Europa era lacerata da una miriade di guerre intestine (Carlo V e Francesco I stavano mettendo a ferro e fuoco la penisola italica, e Lutero aveva dato inizio allo scisma protestante, ecc..). Sapendo che Solimano non avrebbe esitato, l’altro protagonista di questa storia, il Gran Maestro Philippe Villiers de L’isle d’Adam, neo eletto, racimolò tutto il denaro possibile e salpò da Nizza alla volta di Rodi. Nel tragitto, riuscì anche ad evitare la flottiglia di Cortoglu (o Curtogoli), uno dei più grandi corsari di sempre, cui gli Ospitalieri avevano ucciso due fratelli ed imprigionato un terzo proprio a Rodi. Giunto sull’isola, il Gran Maestro lavorò alacremente al miglioramento delle difese e a preparare le vettovaglie per resistere all’assedio: fu aumentata la profondità dei fossati, la resistenza delle mura e la produzione delle macine. Mura e fossi non potevano bastare, quindi l’Isle Adam sguinzagliò diversi uomini alla ricerca di mercenari e munizioni. Antonio Bosio si recò a Creta e comprò una buona quantità di munizioni, ma il governatore dell’isola, onde evitare di attirarsi l’ira ottomana, pubblicò un pubblico bando con cui vietava l’assoldamento di mercenari sull’isola. Lavorando dietro le quinte, Bosio riuscì comunque ad ottenere 400 uomini (arcieri, dice il De Caro) e l’ingegnere veneto Gabriele Martinengo, esperto in fortificazioni ed artiglieria.
Anche a Rodi i preparativi erano frenetici. Per le strade si vedevano solo officine di fabbri, intenti a fabbricare corazze elmi e scudi, e immense fornaci ove si fondevano cannoni e colubrine. I campi d’addestramento provavano manovre e tattiche giorno e notte. Sotto la guida di Gabriele Tadino di Martinengo, centinaia di uomini venivano istruiti sull’uso dell’artiglieria, si piazzavano mine per evitare che i turchi scavassero dei tunnel sotto le mura, si fortificavano i palazzi più importanti della città e si trinceravano le vie, in modo da tentare una resistenza casa per casa nel caso le mura avessero ceduto. Grosse catene e navigli affondati impedivano l’ingresso nel porto.
Un lungo bastione nel mezzo del fossato. Una delle misure prese dai Cavalieri dopo l’assedio del 1480. Era raggiungibile attraverso tunnel sotterranei che venivano fatti saltare quando il bastione cadeva in mano nemica
Il Gran Maestro passò in rassegna le sue truppe: 5.000 uomini. I Cavalieri erano 600, 400 i mercenari cretesi guidati da Antonio Bosio. C’erano anche altri mercenari, galeotti, marinai, oltre ai rodiani più prestanti. Senza stare ad enumerare la disposizione precisa delle truppe rodiane (che ci è giunta integralmente), bisogna ricordare che l’Isle Adam scelse di difendere il punto più debole delle mura: il quartiere di Santa Maria della Vittoria. Prima dell’attacco, Solimano spedì una lettera al Gran Maestro, dove prometteva che avrebbe permesso a rodiani e Cavalieri di abbandonare l’isola con i loro averi (o rimanere senza alcun pregiudizio per l’esercizio della religione cristiana) se ci fosse stata una resa immediata, altrimenti “piglieremo voi schiavi e mala morte morirete“. Il Gran Maestro non rispose, ma agì. Fece terra bruciata intorno alle mura di Rodi e avvelenò i pozzi nei dintorni, incendiò i boschi e distrusse le fattorie.
La guerra iniziò senza troppo clamore, con l’arrivo di trenta imbarcazioni presso l’isola di Lango, retta dal Cavaliere Prégeant (Pregianni o Pier Gianni) de Bidoux. Il Guglielmotti, ne La guerra dei pirati e la marina pontificia dal 1500 al 1560 (1876), ci informa che il nome di Pregianni appare spesso sia negli scontri con i corsari sia nelle razzie poste in essere dagli Ospitalieri. Era famoso per la statura colossale e la forza fisica, e si diceva che con il suo spadone, probabilmente un’adorata zweihander, fosse capace di tagliare a metà un uomo. Il De Caro riassume piuttosto bene il pensiero del capitano francese, dicendoci che “Amava la guerra, odiava i turchi.” Il violento Pregianni fece sbarcare i Turchi e li aggredì immediatamente con i suoi uomini, costringendoli alla ritirata. Non pago, ne massacrò diverse decine nell’inseguimento (come il famoso frate francescano nell’assedio del 1480). Poco più di una scaramuccia, il peggio doveva arrivare. Anzi, arrivò presto.
Il 26 giugno 1522 una enorme flotta apparve a largo di Rodi. Se Maometto II, quarant’anni prima, aveva fatto sbarcare 100.000 uomini, Solimano non voleva essere da meno. Le sue 400 navi trasportarono 100.000 uomini e migliaia di schiavi danubiani sulle sponde dell’isola. Il Gran Maestro L’Isle-Adam, per evitare il panico fra i cittadini, decise di tenere ugualmente la processione programmata, e poi celebrò la messa nella Chiesa di San Giovanni in Collacchio. Le vele turche riempivano il mare circostante, e tutta la cittadinanza ascoltava la messa, uno scenario decisamente surreale. Finita la messa, si chiusero i cancelli e si issarono gli stendardi sulle torri. L’Isle-Adam, rinomato per lo zelo religiose e le doti di soldato (era anche dotato di una struttura fisica impressionante, “gigantic frame“, ci dice W. Porter), indossò l’armatura, la sua seconda pelle. L’Isle-Adam cercò di tenere a freno l’ardore dei suoi, che volevano addirittura impedire lo sbarco dei Turchi. Infatti, la preoccupazione più grande del Gran Maestro durante tutto l’assedio fu quella di non perdere uomini inutilmente: i Turchi potevano sostituire i loro morti, i Cavalieri no. Un fiorentino, Girolamo Bartolini, propose un progetto che prevedeva la distruzione della flotta nemica attraverso l’utilizzo di una qualche sostanza esplosiva (sarebbe interessante conoscere questo progetto nel dettaglio!), ma il Gran Maestro non lo considerò. Il Turchi sbarcarono senza problemi tre miglia ad est della città, e per 13 giorni prepararono il campo e sbarcarono altre truppe. La mossa successiva dei turchi fu quella di scavare delle trincee, ma i manovali valacchi usati per il lavoro venivano continuamente massacrati dalle sortite dei Cavalieri. Anche le prime batterie di cannoni piazzate dai turchi furono distrutte dall’artiglieria di Rodi. Intanto, giunse in porto Pregianni de Bidoux che, sfruttando il vento propizio con il suo “brigantino”, riuscì a passare fra le navi turche senza essere colpito.
In realtà, l’assedio era cominciato senza troppa convinzione
I Turchi, ricordando cos’era accaduto l’ultima volta, non avevano alcuna voglia di buttarsi sotto le cannonate degli Ospitalieri. Sappiamo anche che un disertore si gettò in acqua con le navi ancora a sei miglia dalla costa e raggiunse la Torre di San Nicola, informando gli Ospitalieri del malcontento che serpeggiava fra le fila nemiche, in particolar modo fra i Giannizzeri, che nell’assedio precedente avevano subito delle perdite pesantissime. Fir Mehemed pasha, uno dei generali di Solimano, si rese conto della situazione e decise di informare il Sultano, che giunse sull’isola il 28 Agosto (con altri 15.000 Giannizzeri) e riportò l’ordine fra le proprie fila. Nel frattempo, i Cavalieri riuscirono a smascherare un complotto ordito da alcuni schiavi turchi, capeggiati da una donna, che avevano intenzione di appiccare il fuoco in diversi punti della città ed aprire le porte a Solimano nel caos che ne sarebbe seguito. Gli schiavi vennero cristianamente torturati ed uccisi. Tuttavia i Cavalieri covavano in seno una serpe ben peggiore, il Cancelliere D’Amaral, che era stato battuto da l’Isle-Adam nell’elezione del nuovo Gran Maestro. Il D’Amaral mantenne i contatti con i Turchi per tutta la durata dell’assedio, ma alla fine fu scoperto anch’egli. Di un altro episodio di tradimento fu incolpato un medico. Secondo le fonti, questi avrebbe comunicato (con l’SMS del XVI secolo, ovvero freccia con messaggio incorporato) al nemico di colpire il campanile dietro la chiesa di S. Giovanni, che veniva utilizzato dai Cavalieri come punto di osservazione privilegiato dell’esercito turco. Effettivamente, il campanile fu cannoneggiato e abbattuto, ma anche il buon medico fu scoperto solo un paio di mesi dopo, mentre tentava di comunicare che le risorse della città si stavano esaurendo. Il medico fu giustiziato seduta stante.
Le truppe di Solimano circondarono completamente Rodi. Da sud a nord erano schierati i soldati di Fir Mehmed Pasha (vicino ai bastioni di S. Giovanni), seguiti quelli di Cassim Pasha (divisioni dall’Anatolia), di Mustapha Pasha e di Achmet Pasha. Chiudevano il cerchio i Giannizzeri, guidati da Baly Aga. L’impressionante parco d’artiglieria giunto al seguito dei Turchi era costituito 6 pezzi da 3 palmi, 15 da 5/6 palmi, 12 bombarde da 9/11 e 2 da 11 palmi, 12 basilischi da 8 palmi, 15 doppi cannoni , 12 mortai per il tiro verticale (7/8 palmi).
Una colubrina con lo stemma di L’Isle-Adam. Bersagliò i Turchi con palle di ferro da 22 libbre per diversi mesi da Кулеврина | это… Что такое Кулеврина? (academic.ru)
Solo nella prima parte dell’assedio, le fonti ci dicono che arrivarono sulla città 1.713 pietre e otto palle d’ottone incendiarie (fuoco greco?). Successivamente, Solimano fece erigere dei terrapieni, uno di fronte alla Posta d’Italia e l’altro fra quella di Spagna e di Germania, in modo che la sua artiglieria potesse colpire la città da un livello dieci piedi superiore a quello delle mura di Rodi. Un fuoco pesante si abbatté sulla Torre di San Nicola e sulla Posta d’Alvernia, su quella d’Italia e sui bastioni di Santa Maria. Per quasi un mese fu guerra d’artiglieria. I Turchi causavano danni enormi, ma i Cavalieri continuavano con le riparazioni e la costruzione di barricate sopra le rovine e dietro di esse. Intanto, sotto le mura si combatteva un’altra battaglia. Da una parte c’erano i minatori turchi, che scavavano tunnel sotto le mura per farle saltare dalle fondamenta, dall’altra gli uomini dell’artigliere veneziano Gabriele Tadino di Martinengo, che aveva fatto piazzare diverse contro-mine prima dell’inizio dell’assedio. Dopo 32 tentativi a vuoto, il 4 settembre gli Ottomani riuscirono ad aggirare le difese del Martinengo e causarono una grossa esplosione sotto il bastione inglese, facendone crollare buona parte. Sentito il botto, drappelli di Turchi uscirono dalle trincee e raggiunsero la sommità delle mura crollate, piantando i loro vessilli. Dopo un momento di confusione, i Cavalieri si riorganizzarono e lo stesso Gran Maestro si precipitò alle mura con la sua guardia personale, brandendo un martello d’arme. I Turchi di Mustapha Pasha arretrarono, sorpresi dalla reazione dei difensori, ma fu lo stesso generale ad uccidere diversi soldati in ritirata e a guidare un nuovo attacco. Le fonti ci dicono che combatté con grandissimo coraggio, ma le mura crollate erano ora presidiate da parecchi uomini ed anche il secondo attacco fallì.
Gli attacchi continuarono contro la Posta di Spagna, d’Inghilterra, di Provenza e d’Italia. Cannoni, archibugi, fuoco greco, spadoni, mazze, martelli d’arme, picche, alabarde, scimitarre, sparavano e si incrociavano sulla breccia. Si combatteva nel fumo spesso delle artiglierie. I Cavalieri ed i soldati mercenari, quasi sicuramente in armatura a tre quarti e dotati di armi pesanti, riuscirono a resistere al fuoco e alle scimitarre. Oltre ai soldati, combattevano con ardore anche i frati, in particolar modo i francescani. I vecchi ed i bambini tiravano pietre, acqua e olio bollente e pece. Le donne facevano da infermiere, maneggiavano gli archibugi e i cannoni, alcune combattevano addirittura sugli spalti.
Il resoconto turco descrive un assalto:
I coraggiosi soldati dell’Islam caddero a centinaia, e gli angeli aprirono alle loro anime le porte del Paradiso, poiché dalla sommità della fortezza venivano scagliate un’infinità di pietre e metalli sulle scale gremite di soldati… A mezzogiorno il numero dei morti era divenuto talmente grande che fu necessario sospendere l’attacco, i corpi dei musulmani erano così tanti che venivano gettati nelle trincee senza neanche contarli…
E ancora:
Obbedendo agli ordini ricevuti, i vittoriosi dell’Islam corsero all’assalto pieni d’ardore. Il combattimento fu sanguinoso, i morti dell’armata musulmana cadevano come montoni destinati al sacrificio sotto il terribile fuoco delle armi nemiche. Il numero delle vittime fu indicibile, ma la fortezza riusci a resistere all’eroico sforzo contro gli infedeli. Esausti, i vittoriosi dell’Islam furono costretti a ritirarsi.
Un altro attacco:
Si gettarono nei fossati…combatterono come eroi, ma lo sforzo fu vano. Furono costretti a ritirarsi, lasciando il fossato pieno di morti e inondato dal loro sangue generoso.
I Turchi assaltarono in massa il 13, il 17 ed il 24 settembre. Il 17 fu ucciso in combattimento il Turcopiliere (capo della Lingua inglese) John Buck e molti altri cavalieri persero la vita, ma i Turchi non riuscirono mai a sfondare. Solimano cercò di spronare i suoi promettendo loro il saccheggio della città e facendosi costruire una posizione sopraelevata, in modo da osservare la battaglia. Alla Posta di Spagna, i suoi Giannizzeri sembrarono avere la meglio per qualche tempo, ma poi i 20 Cavalieri e 300 soldati della Torre di San Nicola li aggredirono alle spalle. Solimano fu quindi testimone di una lunga serie di ritirate. Furioso, condannò a morte i due pasha, Mehmed e Mustapha (il De Caro parla solo di quest’ultimo), i quali gli avevano lasciato credere che contro una simile forza d’attacco Rodi avrebbe resistito per poche settimane. Fortunatamente per loro, Fir Pasha riuscì a far cambiare idea al sovrano, che si limitò a rispedirli sul continente. Anche l’ammiraglio-corsaro Kurtoglu Muslihiddin Reis attirò le attenzioni di Solimano, che lo fece fustigare sulla poppa della galea che capitanava per poi esiliarlo. I Turchi concentrarono gli sforzi verso il baluardo d’Inghilterra, affidando l’impresa ad i Mamelucchi, rivali dei Giannizzeri per coraggio e capacità guerresche e vogliosi di dimostrare il loro valore al nuovo sovrano (I Mamelucchi erano stati sconfitti nel 1517 dagli Ottomani, e le province di Siria ed Egitto erano state annesse da Costantinopoli).
Ma anche la sfortuna si accanì con i Turchi. Fir Pasha riuscì a far piazzare una mina sotto il terrapieno d’Italia e a farla brillare il 4 ottobre, ma l’esplosione sfiatò verso i Turchi pronti all’assalto, facendone strage. La conta dei morti fra i turchi iniziava ad esser impietosa. Achmet Pasha optò per un nuovo cannoneggiamento, stavolta prendendo di mira il baluardo di Spagna con tutti i pezzi a sua disposizione (ne fece anche smontare diversi dalle navi). I suoi soldati riuscirono a penetrare, ma alla fine furono respinti. Achmet si rivolse allora al baluardo d’Inghilterra. Il 12 ottobre, i suoi soldati giunsero alle mura nel cuore della notte e poggiarono le scale, ma furono scoperti. In cima si trovarono la sagoma imponente di Pregianni de Bidoux, che riuscì a respingerli con i suoi uomini. In Ottobre il Gran Maestro ebbe la definitiva conferma da Roma che il Papa non disponeva delle finanze per correre in soccorso dei Cavalieri. Il disastro protestante, le Guerre Italiane e le spese sostenute per rimpinguare Roma di meraviglie architettoniche ed artistiche aveva lasciato a secco l’erario.
La storia è meravigliosa, tutto è collegato
Chi l’avrebbe mai detto che potesse esserci un nesso, seppur minuscolo, fra la caduta di Rodi, le imprese di Giovanni delle bande nere e l’arte di Michelangelo? Ormai c’erano diversi punti da cui i Turchi potevano fare irruzione, ma venivano presidiati dalle mura e dalle barricate erette in loro corrispondenza. La battaglia continuava anche sottoterra, da dove gli assedianti cercavano di distruggere ed aggirare le rimanenti fortificazioni. In quel periodo, fu finalmente scoperto il complotto del Cancelliere d’Amaral, il rivale di L’Isle-Adam. Un suo servo fu scoperto sulle mura con arco e balestra (sembra più di una volta), quindi fu arrestato e condotto alle prigioni, dove confessò di essere il tramite fra d’Amaral e Solimano. In particolare, confessò di aver recapitato un messaggio a Solimano per non farlo desistere dall’attacco, poiché la città mancava di munizioni, soldati e cibo. D’Amaral respinse le accuse anche sotto tortura, ma fu condannato a morte assieme al suo servo. Quest’ultimo fu impiccato, mentre il d’Amaral subì una veloce decapitazione davanti alla folla urlante, era il 4 Novembre. Il suo corpo fu squartato e diviso in quattro parti.
Nel campo ottomano, Solimano insisteva che si desse il via all’attacco finale. Le mura della città erano distrutte in più punti, alcuni baluardi occupati, rimanevano solo le barricate interne e alcuni tratti delle fortificazioni. Il generale Achmet invece temporeggiava. Prevalse il sovrano. Il 29 Novembre i turchi tentarono di entrare in massa dalla posta di Spagna. Purtroppo per loro, parecchi cannoni erano puntati verso la breccia, e furono falcidiati. Giunse poi Pregianni, alla testa di 100 Cavalieri, per continuare lo scontro. Ferito più volte e con l’armatura in pezzi, continuò a combattere. Il suo spadone andò in frantumi, ma egli non smise di colpire con il pesante pomolo dell’arma, usandolo come un martello. Una ritirata disordinata ruppe le file nemiche, tanto che sul campo ne rimasero almeno un migliaio (3.000 per il De Caro).
La Resa
Ma la situazione di Rodi era disperata. Scarseggiavano polvere da sparo e generi alimentari, tanto che fu necessario razionarli ulteriormente. Le mura erano a terra, i difensori praticamente dimezzati, la popolazione in preda agli stenti, i feriti ammucchiati in tutte le case come cataste di legna. Inoltre, la notizia che non sarebbero arrivati aiuti aveva gettato nel panico più completo i sopravvissuti, che ora vedevano chiaramente il loro futuro: nessuno ne sarebbe uscito vivo. L’Isle-Adam aveva tutta l’intenzione di rendere Rodi un fortezza di martiri, ma la popolazione non era dello stesso avviso, tanto che gli mandò alcuni ambasciatori per fargli considerare la possibilità di scendere a trattative con i Turchi. In realtà, la memoria presentata dai cittadini aveva il sapore della minaccia, visto che si chiedeva al Gran Maestro di trattare oppure avrebbero provveduto i cittadini stessi alla salvezza della città.
Sulle prime, l’Isle-Adam si rifiutò di prendere in considerazione la proposta/minaccia, poi però volle sentire il parere dei suoi due uomini più importanti, Martiniego e Pregianni, il primo a capo delle fortificazioni (e appena ristabilitosi da un colpo d’archibugio che lo aveva reso cieco di un occhio), il secondo dell munizioni (con la gola fasciata per un colpo che lo aveva passato da parte a parte). Entrambi, pur essendo uniti dall’odio per il nemico, fecero capire al Gran Maestro che la città sarebbe capitolata. Non c’erano più uomini per le riparazioni, le mura avevano talmente tante brecce da non essere più difendibili ed era rimasta polvere da sparo sufficiente ad un solo assalto, forse neanche quello.
L’Isle Adam radunò il Consiglio dell’Ordine, dove prevalsero i favorevoli ad una trattativa. Martiniego e Pregianni andarono a prendere una lettera di Solimano. Le sue condizioni erano chiare: avrebbe permesso a tutti di abbandonare l’isola con i propri averi, rodiani compresi, e non avrebbe danneggiato o vessato coloro i quali fossero rimasti. Il Consiglio ordinario accettò le condizioni, ma L’Isle-Adam non si arrese e si rivolse al Consiglio Compito (ovvero il Consiglio Ordinario con l’aggiunta di 16 membri anziani, 2 per ognuna delle 8 Lingue), ma anche in quella sede prevalsero i “pacifisti”. L’11 dicembre 1522 furono inviati a Solimano due ambasciatori per chiudere le trattative. A sua volta, il monarca Ottomano spedì in città due ostaggi, confermando una tregua di tre giorni. Durante i colloqui, Achmet Pasha confessò a uno degli ambasciatori, il de Grolee, che nell’assedio erano morti 44.000 turchi e altri 40.000 erano rimasti feriti. La cifra appare esagerata, ma di certo è più verosimile dei 20.000 morti complessivi riportati dalle fonti moderne. Inoltre, spesso non vengono computate le migliaia di zappatori e minatori ungheresi che aprirono la strada scavando trincee e tunnel. Ecco, possiamo dire che, considerando l’esercito ottomano nella sua interezza, 35.000 morti sembrano una cifra plausibile. La tregua fu interrotta dall’idiozia di un Cavaliere, de Fournon, che scaricò un cannone sui Turchi che stavano inermi nei pressi delle mura. Solimano rispose con l’ennesimo cannoneggiamento della città. I cittadini corsero da L’Isle-Adam dicendogli che, fallite le trattative, avrebbero preferito morire con le armi in mano piuttosto che divenire schiavi dei Turchi. Il Gran Maestro colse la palla al balzo e posizionò tutti i soldati rimanenti ed i cittadini sulle mura, facendo impiccare chi si allontanava dalla guardia.
Il 17 Dicembre, i Turchi assaltarono il barbacane di Spagna e piantarono i loro stendardi sulle mura. A difenderle non c’era rimasto quasi nessuno, giusto qualche decina di soldati contro migliaia di ottomani. Cavalieri e cittadini pressarono nuovamente L’Isle-Adam per fargli riallacciare le trattative. Il gran Maestro tentò di corrompere la volontà di Solimano con il denaro, ma il suo generale rispose all’ambasciatore che i forzieri del Sultano traboccavano d’oro. Infine, una nuova ambasciata ottenne da Solimano il trattato favorevole che aveva concesso in precedenza. L’Isle-Adam spedì in ostaggio 25 Cavalieri e 25 Rodiani e Ahmet entrò in città con 300 Giannizzeri, piantando sulle mura la mezzaluna ottomana. Durante questa cerimonia, decine di navi comparvero all’orizzonte, e tutti pensavano che finalmente qualcuno avesse inviato aiuti ai Cavalieri. Si trattava invece di altri 15.0000 Giannizzeri di stanza sul confine ottomano-safavide, corsi in aiuto del sovrano. Solimano agì con grande correttezza, e non sfruttò il nuovo contingente, lasciando invariati i termini dell’accordo.
Il rispetto di Solimano |
Solimano mostrò quindi un rispetto commovente nei confronti dei vinti, di coloro che avevano causato delle perdite così terrificanti nel suo esercito invincibile. Rese loro l’onore delle armi.
Anche i più imperterriti cavalieri non frenarono le lacrime nel dare eterno addio alle sacre mura bagnate del loro sangue, le quali per duecento e più anni avevano resistito e offerto un’insormontabile barriera alle armi ottomane.
Il 1 gennaio 1523, i Cavalieri sopravvissuti abbandonarono Rodi, per sempre. Al loro seguito, 4.000 rodiani. Tra i Cavalieri che sfilavano verso le navi c’era un coetaneo di Solimano, tal Jean Parisot de la Valette. I loro sguardi si incrociarono, forse per un istante, senza sapere che tra loro era appena iniziata una contesa che andrà avanti per quarantatré anni. I Cavalieri iniziarono un periodo di peregrinazioni lungo sette anni. Creta, Messina, Viterbo, Nizza, anni passati a contrattare l’acquisto o la concessione di un nuovo possedimento. Alla fine, nel 1530, Carlo V concesse loro la Porta d’Italia, ovvero l’Isola di Malta, in cambio di un tributo simbolico annuale al Vicerè di Sicilia, un falcone. Fu loro concessa anche Tripoli. Malta erano uno scoglio con un pugno d’abitanti, ma sotto i cavalieri divenne un’isola fortificata, ricca e popolata. L’Isle-Adam si spense proprio a Malta, nel 1534, ma il suo sogno di tornare a Rodi era ancora vivo.
Solimano continuò a conquistare territori in Asia ed Europa. Prese l’Ungheria, assediò Vienna, si alleò con Francesco I di Francia, ma, ormai settantenne, decise di chiudere i conti con i Cavalieri. Nel 1565, a quarant’anni dalla conquista di Rodi, la flotta turca fece rotta su Malta per giocare la partita decisiva. Ad attenderla, ancora una volta, c’erano solo 600 Cavalieri e poche migliaia di mercenari. A guidarli, Jean Parisot de La Vallette; il giovane sconfitto a Rodi che sarà l’artefice della più grande vittoria dell’Ordine durante l’Assedio di Malta del 1565.
articolo pubblicato originariamente su http://zweilawyer.com
Gabriele Campagnano
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Bibliografia
Storia dei gran Maestri e cavalieri di Malta: volume II (1853), Luigi De Caro;
The History of the Knights of Malta (1728), Abate Vertot;
Knight Hospitaller (2) 1306-1565 (2001), D. Nicolle;
A History of the Knights of Malta (1858), W.Porter;
La guerra dei pirati e la marina pontificia dal 1500 al 1560 (1876), A. Guglielmotti
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Diplomato al Liceo Classico Francesco Vivona di Roma e laureato in Giurisprudenza (indirizzo storico comparatistico), ha esercitato la professione di legale d’azienda prima di dedicarsi alla comunicazione d’impresa e istituzionale. Ha conseguito il Master Universitario di 2° livello – CMU2 in Scienze Giuridiche presso la LUISS. La sua passione principale è sempre stata la storia. Ha letto Storia di Roma Antica, di M. Grant, a soli 7 anni, e da allora non si è più fermato. In tutto, la sua biblioteca storica digitale conta più di 4.000 titoli. È il fondatore e presidente di Zhistorica e Necrosword. Ha scritto più di 250 articoli e tre libri: Storia della Presa di Famagosta (2014), I Padroni dell’Acciaio (2017) e Zodd, Alba di Sangue (2018)
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