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livello elementare
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: ODIERNO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Medicane, cambiamenti climatici
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Zorbas e gli uragani mediterranei
E’ notizia di questi giorni della formazione di un ciclone mediterraneo nello Ionio meridionale che presenta un’intensa attività temporalesca attorno al suo centro depressionario con un valore di 989 hPa. Proprio in queste ore nel mar Ionio e mar Libico un grosso nucleo di aria fredda ha creato un profondo vortice di bassa pressione davanti alle coste della Libia e si sta muovendo nel mar Ionio meridionale, a metà strada tra Italia e Grecia, divenendo a tutti gli effetti un ciclone simil-tropicale con venti medi attorno all’occhio centrale intorno ai 120 km/h.
Nella giornata di sabato 29 settembre (2018) il vortice si potrebbe potenziare tanto da raggiungere lo stadio di “Medicane” (uragano del Mediterraneo), con raffiche di vento superiori ai 160 km/h ed onde di 8 metri sulle coste greche che potrebbero causare danni anche ingenti.
Innanzitutto cosa sono i cicloni e gli anticicloni? Quale è la differenza?
Semplice nei cicloni la pressione centrale è più bassa di quella all’esterno con circolazione in senso antiorario nell’emisfero settentrionale e orario in quello meridionale. I cicloni sono caratterizzati da violenti moti d’aria ascendenti. Nel caso dei sistemi anticiclonici abbiamo esattamente il contrario ovvero la pressione centrale è più alta di quella esterna e in questo caso la circolazione sarà oraria nell’emisfero settentrionale e antioraria in quello meridionale, con moti d’aria discendenti verso il suolo. Questo ciclone, chiamato Zorbas, è stato generato da una discesa di aria fredda dal bordo orientale dell’anticiclone, ed ha poi raggiunto il Mediterraneo orientale spingendosi verso il Nord Africa dove si è scontrato con una massa d’aria più calda desertica.
Il fenomeno non è eccezionale in quanto, anche se raramente si verificano sul Mediterraneo vortici molto intensi con sembianze di uragani tropicali caratterizzate da una nuvolosità a spirale con, in alcuni casi, il classico occhio caratteristico dei grandi cicloni tropicali. Questi rari fenomeni mediterranei, ancora in fase di analisi e studio da parte dei meteorologi, sono chiamati “Medicane” (Mediterranean Hurricane) o TLC (Tropical Like Cyclones ovvero Cicloni di tipo tropicale) e sono caratterizzati da venti molto forti, mari tempestosi ed intense precipitazioni.
Pur non raggiungendo la forza e la dimensione degli uragani tropicali la loro conformazione vista dai satelliti è comunque impressionante. Per quelli più recenti, sono disponibili molte osservazioni satellitari che ne mostrano la loro imponenza. Callisto (1983), Celeno (1995), Cornelia (1996), Zeo (2005) e Vega (2014) sono alcuni tra i più famosi e quello attuale, Zorbas (2018), potrebbe non essere da meno con il suo carico distruttivo. Questi cicloni sembrano evolversi come i normali uragani tropicali e traggono energia dal mare a causa delle sempre più calde temperature superficiali.
il Medicane Zeo del dicembre 2005. Durante la sua formazione, a sud della Sicilia, ha provocato sull’isola venti tempestosi, alluvioni, danni e vittime – Fonte NASA File:Mediterranean Hurricane TLC dic 2005.jpg – Wikimedia Commons
Da un punto di vista fisico si comportano proprio come degli uragani. Inizialmente essi si formano sui mari mediterranei meridionali a causa dell’arrivo di un potente vortice in quota. Una volta che il vortice al suolo si forma aumenta il processo di estrazione dei flussi energetici marini a causa del rinforzo dei venti richiamati nel centro depressionario. L’enorme energia che si sprigiona deriva dal flusso di calore e di umidità fornito proprio dal mare. Come gli uragani tropicali, il fenomeno nasce sul mare e tende poi ad attenuarsi una volta raggiunta la terraferma dove porta distruzione causando vittime e danni alle infrastrutture costiere.
Oltre ai Medicane sono stati documentati altri sistemi convettivi che non presentano un occhio ma che hanno sembianze di tempeste o depressioni simili a quelle tropicali. Inutile dire che la loro pericolosità non è da meno considerando che le coste mediterranee sono molto popolate. Pur essendo dei fenomeni rari, la loro frequenza sembra aumentare con un’incidenza maggiore nei mesi tra settembre a novembre quando l’acqua del Mar Mediterraneo, ancora relativamente calda, è in grado di contribuire al sostentamento del vortice e fornisce l’energia necessaria per la sua evoluzione. Le regioni italiane che possono essere maggiormente colpite sono i versanti orientali di Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia. Nel loro transito questi vortici attraversano la Grecia, l’isola di Creta e poi tendono a scaricarsi e a perdere potenza sulle coste della Turchia. Inutile dire che in quelle aree sono diramati allarmi di massima allerta a causa del pesante impatto sulle infrastrutture umane.
A seguito dei cambiamenti climatici possiamo aspettarci un aumento di questi fenomeni?
E’ ancora presto per dirlo; i dati in nostro possesso non ci consentono di fare delle valutazioni a lungo termine. Sicuramente siamo in una fase di riscaldamento che prosegue la tendenza dopo la piccola glaciazione avvenuta dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo, un periodo in cui si registrò un brusco abbassamento della temperatura media terrestre. Si tratta di un fenomeno ciclico del clima del nostro pianeta, come potete vedere nel seguente diagramma che mostra le variazioni di temperatura dall’Olocene ai giorni nostri.
Comparazione fra dieci ricostruzioni pubblicate sui maggiori cambiamenti di temperatura avvenuti negli ultimi 2000 anni di Ed Hawkins – elaborato da RCraig09 File:2000+ year global temperature including Medieval Warm Period and Little Ice Age – Ed Hawkins.svg – Wikimedia Commons
E’ interessante notare che il periodo della piccola glaciazione (Little Ice Age) fu preceduto da un lungo periodo di temperature relativamente elevate, detto periodo caldo medievale, seguito nel 1300 da un graduale avanzamento dei ghiacciai che nel periodo precedente si erano ritirati o addirittura scomparsi.
Questo andamento sinusoidale era avvenuto anche in epoca romana, basti ricordare il passaggio delle Alpi dell’esercito di Annibale grazie allo scarso innevamento delle montagne. Tali ghiacciai arrivarono al culmine della loro estensione intorno al 850, quando le temperature ripresero poi ad aumentare causando una riduzione della massa dei ghiacci. La piccola era glaciale causò inverni molto freddi in molte parti del mondo anche se le fonti storiche documentano solo gli eventi nel continente europeo e nell’America del Nord. Il freddo intenso invernale portò al congelamento del fiume Tamigi e di molti canali dei Paesi Bassi. Nell’inverno del 1780 anche il porto di New York ghiacciò, consentendo il passaggio a piedi da Manhattan a Staten Island. Il fenomeno del mare ghiacciato circondante l’Islanda e la Groenlandia si estese per molti chilometri in tutte le direzioni, causando l’interdizione dei porti con sensibili danni economici. In particolar modo viene ricordato l’inverno del 1709 che è ancora considerato il più freddo degli ultimi 500 anni per il continente Europeo. Gli effetti per le popolazioni furono drammatici: le frequenti carestie (quella del 1315 uccise 1,5 milioni di persone) e le morti per le malattie polmonari aumentarono. Intorno al 1850, il clima terrestre iniziò gradualmente a modificarsi con il lento rialzarsi delle temperature, un trend che sta ancora proseguendo, come chiaramente dimostrato anche dall’arretramento dei ghiacciai del mondo. Questa fase è tuttora in corso, certamente aggravata da fattori umani che producono l’aumento dell’effetto serra sull’atmosfera, il cosiddetto riscaldamento globale.
In sintesi, fenomeni di riscaldamento o di raffreddamento non sono mai casuali e, indipendentemente dalle loro cause, influenzano fortemente il clima del nostro pianeta.
Da cosa dipendono questi cicli?
I cicli oceanici contribuiscono, assieme alle variazioni dell’output solare e cosmico, del riscaldamento del pianeta. Ci sono molte teorie che vanno da un’analogia con i cicli solari (di circa 11 anni, caratterizzati da periodi di minimo e massimo dell’attività solare) che hanno effetti anche sul clima terrestre con diminuzioni, nella fase di minima, della temperatura globale di circa 0,2°C. Altre teorie sono legate alle dinamiche termiche degli oceani che potrebbero contribuire al ciclo di rilascio energetico.
Queste connessioni hanno un’influenza a scala stagionale, nel caso di quelle atmosferiche, e a scala stagionale o multi-decadale per le oceaniche (più lente a causa dell’isteresi nelle cessioni termiche da parte degli oceani). Di fatto, qualunque sia la causa, il riscaldamento dei mari favorisce il generarsi di fenomeni estremi come gli uragani che, per fortuna, possiamo oggi monitorare costantemente grazie ai satelliti ed ai moderni mezzi tecnologici disponibili. Una maggiore conoscenza della genesi e comportamento di questi vortici è quindi necessaria non per scopi puramente accademici ma per poterne ridurre gli impatti sul territorio al fine di mitigare i loro pericolosi effetti sulle attività umane.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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