ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: sottomarino, marina argentina, Ocean Infinity, ritrovamento San Juan
L’ARA San Juan, il sommergibile argentino scomparso negli abissi nel 2017, fu finalmente trovato nel 2018 in un canyon sottomarino a più di 900 metri di profondità dal Seabed Constructor, una nave della OCEAN INFINITY.
Cronaca di un dramma del mare
Il sommergibile, appartenente alla classe TR-1700, stava rientrando da una missione di routine a Ushuaia, all’estremità meridionale del Sud America, verso la sua base a Mar del Plata, circa 240 miglia a sud di Buenos Aires. Il San Juan era uno dei tre sommergibili della flotta argentina, costruito nel 1983 dalla tedesca Thyssen Nordseewerke ma che aveva subito un refit di sette anni tra il 2007 e il 2014 per prolungare la sua vita di altri 30 anni.
Il sommergibile diesel elettrico era considerato uno dei più veloci mezzi subacquei a propulsione diesel del mondo. L’ARA Saint Juan era dotato di sei tubi lanciasiluri da 533 millimetri a prua e poteva navigare fino a una profondità massima di 980 piedi.
Il giorno in cui scomparve, prima di interrompere le comunicazioni, il San Juan riferì che vi era stata una falla d’acqua che aveva provocato un incendio delle batterie. Il sottomarino fece un’ultima comunicazione, riferendo che stava comunque procedendo in rotta. Poi … la Marina argentina perse il contatto. Alle 10:31 ora locale, una stazione di monitoraggio registrò un “evento impulsivo” subacqueo in una posizione stimata latitudine: -46,12 gradi – longitudine: -59,69. Nonostante un’intensa opera di ricerca da parte delle forze della Marina argentina, con il supporto della Marina degli Stati Uniti, i resti del sottomarino non furono però mai ritrovati. Le speranze della Marina argentina risiedeva nel fatto che, sebbene la sua resistenza a scafo fosse dichiarata intorno ai 300 metri, il battello era teoricamente in grado di sopportare profondità fino a circa 600 metri ovvero al doppio della loro profondità di prova. Una fatto che alimentò la speranza dei familiari per molti mesi.
Il ritrovamento
La ricerca continuò, affidata alla OCEAN INFINITY, una delle maggiori compagnie mondiali di ricerca oceanografica. Finalmente il 17 novembre 2018, fonti della Marina argentina, comunicarono il ritrovamento del relitto del San Juan.
Il battello fu scoperto dai ricercatori in un canyon alla profondità di 920 metri, circa 600 km a est di Comodoro Rivadavia nell’Oceano Atlantico. OCEAN INFINITY rivelò che aveva scoperto diversi contatti sonar nell’area poi identificati come formazioni geologiche naturali, stranamente assomiglianti al San Juan, sia nella forma che nelle dimensioni. La nave a cui era stata affidata la ricerca, la Seabed Constructor, nel corso delle identificazione dei contatti inviò i suoi veicoli AUV HUGIN per indagare i contatti e, alla fine, i loro sforzi furono premiati. Il veicolo subacqueo riportò in superficie oltre 60.000 foto del sommergibile, una conferma del drammatico evento per i familiari che continuavano a vivere nel dubbio sulle sue sorti.
Operazioni ai limiti del possibile
OCEAN INFINITY è una delle società oceanografiche tecnologicamente più avanzate al mondo, che impiega per le sue ricerche diversi tipi di sonar e di droni subacquei per l’analisi delle morfologie del fondo marino. I loro AUV sono in grado di operare in acque profonde da 5 a 6.000 metri, coprendo rapidamente vaste aree abissali. Come abbiamo raccontato in altri articoli, questi mezzi (AUV) non sono collegati alla nave ospite durante le operazioni ed operano in maniera autonoma una volta ricevuti i dati di pianificazione via software. Gli strumenti in dotazione alle sue navi comprendono sonar a scansione laterale, videocamere ad alta definizione HD, ecoscandagli multibeam e sonar ad apertura sintetica. OCEAN INFINITY è in grado di dispiegare nello stesso tempo più mezzi subacquei ed attrezzature di sollevamento di oggetti dal fondo in grado di recuperare fino a 45 tonnellate di carico utile da 6000 metri di profondità.
I sei AUV in dotazione alla Compagnia sono degli HUGIN di costruzione norvegese, Questi mezzi furono sviluppati negli anni ’80 sulla base di prototipo per scopi militari e civili. Nei primi anni ’90 il progetto HUGIN fu avviato come cooperazione tra Stato, il Norwegian Defense Research Establishment (FFI), Norsk Undervannsintervensjon (NUI) e KONGSBERG. Ne furono realizzate varie versioni che differivano principalmente per la quota massima operativa (da 3000, 4500 a 6.000 metri di profondità).
Un fattore innovativo è la capacità di far operare più veicoli simultaneamente in modo da ispezionare vaste aree del fondo marino, in modo rapido e con una altissima precisione. Nello schema sottostante le caratteristiche degli AUV HUGIN.
HUGIN AUV |
Carico utile – sensori |
Side Scan Sonar – EdgeTech 2205 Ecoscandaglio a più raggi – Kongsberg Maritime EM 2040 Profiler sotto-Bottom – EdgeTech 2-16 kHz Videocamera HD – Telecamera Cat Still Ocean a colori Sensore di conduttività / temperatura / profondità – SAIV Magnetometro auto compensante – Geofisica del fondo marino Sensore di torbidità – FLNU (RT) D Sensore laser a metano e catetere |
Lunghezza 6,2 metri peso – 1,850 kg Posizionamento acustico HiPAP 502 Endurance 60 ore a 3,6 kn con Funzionamento SSS / SBP / MBES |
Applicazioni commerciali Mappatura ad alta definizione e velocità dei fondali marini (mapping e imaging) Ispezioni geofisiche di fondali e strutture sommerse Survey oceanografiche Monitoraggio ambientale Ricerche di relitti |
Applicazioni nel campo della Difesa Contromisure mine – MCM Rapid environmental assessment – REA Intelligence, surveillance e reconnaissance – ISR |
OCEAN INFINITY ha recentemente firmato un accordo di ricerca e sviluppo con il Comando per la meteorologia e l’oceanografia navale degli Stati Uniti (NMOC), con sede presso il Centro Spaziale di Stennis, MS. Nel corso dei prossimi cinque anni la collaborazione tra la Compagnia e il NMOC si concentrerà sull’ottimizzazione delle tecnologie in acque profonde, propedeutica alla prossima sfida negli abissi, lo sfruttamento delle risorse profonde abissali.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
Un paio di puntualizzazioni.
1 – A quanto pare non fu una falla che provocò l’ingresso di acqua che poi mandò in corto le batterie: l’acqua entrò dallo snorkel a causa delle pessime condizioni meteorologiche (onde di 6-8m) in cui il sottomarino stava cercando di ricaricare le batterie. In tali condizioni non è infrequente che il sistema di chiusura dello snorkel (simile concettualmente a quello delle maschere da sub usate per i bambini, con il tubo che entra nella maschera e il galleggiante che lo tappa) non riesca a tapparsi bene, magari anche in conseguenza di ondate e forti rollate, in quantità tale da superare la capacità di esaurimento della pompa posta nel pozzetto dello snorkel stesso.
2- Fu valutato che l’evento impulsivo (corrispondente all’implosione del sottomarino) ebbe una durata inferiore a quella necessaria al riconoscimento cognitivo dell’evento da parte della mente umana: diciamo che presumibilmente i membri dell’equipaggio non soffrirono fisicamente, in quel momento. Una piccola consolazione nella tragicità dell’evento.
ammiraglio, grazie dell’aggiornamento