ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: VII SECOLO a.C.
AREA: GOZO, MALTA
parole chiave: Relitto, Gozo, nave fenicia
La scoperta nel 2007 del relitto di un naufragio avvenuto al largo della costa di Gozo, Malta, ha offerto agli archeologi marini una rara opportunità di studiare il relitto di una nave fenicia di oltre 2700 anni.
Abbiamo già incontrato nei nostri articoli i Fenici, un popolo (o meglio un insieme di popoli) che occuparono la costa del Levante per oltre 1000 anni, spingendosi in terre lontane anche oltre il mar Mediterraneo. Sono state scoperte le loro basi navali, straordinariamente moderne per quell’epoca antica, ma la conoscenza della loro rete commerciale resta ancora misteriosa. Nel 2007, un antico relitto contenente un grande deposito di contenitori commerciali in ceramica fu scoperto al largo di Gozo, Malta. Questa nave si rivelò essere una delle poche navi fenicie conosciute nel Mediterraneo. Dal 2014, le esplorazioni del sito, condotte in maniera scientifica, hanno prodotto risultati estremamente interessanti. Il direttore del progetto Timmy Gambin ha recentemente rivelato alcuni dei suoi misteri e le sfide per continuare uno scavo archeologico condotto a 110 metri sotto il livello del mare.
Una scoperta casuale
Tutto iniziò nel 2007 quando la National Science Foundation francese condusse un’indagine sistematica dei fondali marini con un side scan sonar ai margini esterni della splendida baia di Xlendi a Gozo e scoprirono un’anomalia che richiese ulteriori indagini. Con grande entusiasmo dei ricercatori, l’anomalia si rivelò essere un naufragio arcaico risalente al VII secolo a.C., che ancora presentava lo strato superiore del carico esposto sul fondo del mare. Dozzine di anfore erano chiaramente visibili in varie forme e dimensioni. Un ritrovamento di grande interesse ma gli scavi rappresentarono da subito una seria sfida; il relitto, poi identificato come fenicio, si trova ad una profondità di 110 metri, i mezzi subacquei hanno difficoltà ad effettuare manovre delicate ed i subacquei potevano trascorrere solo pochi minuti sul sito prima di tornare in superficie. Le operazioni iniziarono con queste premesse e recentemente un team di subacquei tecnici guidati dall’archeologo marittimo Timmy Gambin, del Dipartimento di archeologia dell’Università di Malta, è sceso per esplorare nuovamente il sito. Il loro scopo era quello di studiare quanto scoperto negli anni precedenti e recuperare alcuni manufatti intatti (inclusi dei campioni del carico di anfore) nella speranza di rivelare nuove informazioni sulle antiche rotte commerciali fenicie.
Cercare nelle profondità del mare
Fare delle ricerche su un relitto di 2700 anni è un’avventura affascinante. Dopo poco più di un decennio di ricerca gli archeologi subacquei hanno recuperato dodici oggetti, alcuni dei quali precedentemente sconosciuti nella documentazione archeologica. Di particolare interesse un piccolo numero di urne che sembrano essere di produzione locale (gozitana). Apparentemente un ibrido di stili locali e importati, i campioni di questi oggetti sono stati sottoposti ad analisi approfondite, comprese quelle del DNA, dei lipidi e di sezioni sottili. I risultati di questi test dovrebbero fare luce non solo sulla provenienza delle urne, ma anche sui materiali che contenevano.
A luglio del 2014, il sito era stato accuratamente esaminato ed erano stati prelevati campioni del carico; un team fotogrammetrico aveva poi assemblato le oltre ottomila fotografie scattate per creare un modello tridimensionale ad alta risoluzione dell’area. L’indagine sul naufragio era stata effettuata nell’ambito del progetto Groplan, finanziato dall’Agenzia nazionale di ricerca francese.
quattro anfore nordafricane cilindriche e due di produzione maltese conservate al museo archeologico di Gozo, provenienti da un relitto – autore foto © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons / CC-BY 2.5 Xlendi Bay 5th century amphoras GMA.jpg – Wikimedia Commons
Quest’anno un gruppo di dodici operatori tecnici subacquei, provenienti da vari Paesi (Regno Unito, Francia, Malta, Italia e Finlandia) si è nuovamente immerso sul luogo del naufragio della nave fenicio. Per recuperare i campioni, i subacquei hanno dovuto affrontare non poche limitazioni tecniche legate alla grande profondità. Per poter operare sul relitto sono stati impiegati subacquei tecnici. La profondità ha ovviamente richiesto di pianificare gli interventi massimizzando il limitatissimo tempo di fondo. Dirigendosi direttamente sul sito, i subacquei sono scesi in circa otto minuti dalla superficie (circa dodici metri al minuto) e, dopo hanno trascorso dodici minuti sul sito, hanno iniziato la risalita effettuando alle diverse quote lunghe soste di decompressione. Per dare un’idea della durata essi hanno impiegato due ore e trenta minuti per poter tornare in superficie.
Per creare un percorso diretto dalla superficie al sito, è stata posata una zavorra da una tonnellata sul fondo collegata sulla sua verticale ad un sistema di ancoraggio per la nave appoggio dei subacquei. A causa della pericolosità dell’immersione, il team di scavo è stato selezionato tra i subacquei più esperti disponibili. Medici iperbarici specializzati erano sempre presenti in superficie durante le immersioni, supportati da un gommone a chiglia rigida da impiegare in emergenza per una eventuale evacuazione medica al più vicino ospedale.
Dato il tempo di immersione limitato, non era possibile porre manualmente delle targhette fisiche e per la marcatura sono state implementate tecniche sperimentali tra cui l’etichettatura digitale di tutti i reperti basata sulla mappa ottenuta grazie al sondaggio fotogrammetrico del 2014. Durante quell’indagine si era scoperto che la nave trasportava almeno sette tipi di contenitori ceramici diversi, tra cui anfore provenienti dalla regione tirrenica italiana e dalla Sicilia occidentale. Inoltre, il professore Jean Christophe Sourisseau dell’università di Aix-Marseille aveva individuato la parte superiore di una anfora fenicia insieme ad una grossa macina. Nell’ultima ispezione del sito, a parte l’identificazione di sette diversi tipi di anfore, il team ha anche scoperto venti pietre laviche probabilmente utilizzate per realizzare delle macine per macinare il grano. A tal proposito è stato confermato che il tipo di roccia vulcanica utilizzato per la costruzione della macina da trentacinque chilogrammi, che era stata recuperata nel 2014, proveniva dall’isola italiana di Pantelleria.
Il team è stato in grado di recuperare sei oggetti ceramici completi, oltre a numerosi frammenti di ceramica. Questi contenitori includevano ulteriori esempi delle anfore tirreniche, una piccola urna e un’anfora dal fondo piatto che non è stata ancora identificata. I frammenti sono in corso di studio e, una volta restaurati, restituiranno due anfore fenicie occidentali complete. Inoltre, sono stati prodotti modelli fotogrammetrici di ciascun oggetto. La ricerca continua.
in anteprima lo splendido fiordo di Xlendi, Gozo
LINK di interesse
https://www.world-archaeology.com
https://www.timesofmalta.com
Exploring the Phoenician Shipwreck di Xlendi, Gozo è l’ultima mostra di Heritage Malta. La mostra è dedicata alla scoperta del naufragio fenicio risalente al VII secolo a.C. scoperto a Xlendi nel 2007, ad una profondità di 110 metri. Questa misteriosa nave ha attirato l’attenzione di tutto il mondo poiché è il più antico relitto mai trovato finora in questa regione. La mostra è stata ufficialmente inaugurata dall’on. Dr Justyne Caruana, Ministro di Gozo, Dott. Anton Refalo, Presidente di Heritage Malta, e Prof. Timmy Gambin, Capo dell’unità Underwater Cultural Heritage di Heritage Malta, presso l’Ufficio Area di Gozo. Il pubblico potrà visitare questa interessantissima mostra fino al 31 agosto 2019. |
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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