ARGOMENTO: NAUTICA E NAVIGAZIONE
PERIODO: XV SECOLO
AREA: GOLFO PERSICO – OCEANO INDIANO
parole chiave: navigazione, Ahmad bin Majid, Fawa’d-Usl Ilm al-Bahrwa-al-Qawaidah (Il libro dei benefici dei principi della navigazione marittima), Kitab al-Fawa’id, isharat, kamal
il Kamal
Nel mio ultimo servizio in Golfo Persico, localmente ancora chiamato Golfo Arabico, ho avuto modo di visitare il bellissimo museo di Al Manama, Bahrain, e di apprendere la storia della navigazione in quel mare orientale che fu per secoli controllato da marinai arabi. Essi si spingevano con i loro antichi Dhow lungo la costa orientale dell’Africa, fino a Malindi in Kenya, creando basi commerciali dove vendevano le loro merci pregiate. Una cosa curiosa è che tutti i naviganti di quei mari venivano chiamati dagli Indiani con il nome “Arabi”, un qualcosa di simile di quanto era avvenuto un millennio prima, nel Mediterraneo, quando i naviganti venivano genericamente chiamati Fenici.
Questi audaci navigatori commerciavano nel Medioevo spezie e prodotti pregiati con musulmani, ebrei e cristiani ma anche con i grandi regni dell’India come quello del Zamorino di Kalikut. Un commercio che andò avanti per secoli fino al 1498, ovvero fino all’arrivo in quei mari di un portoghese, Vasco da Gama.
I Portoghesi compresero immediatamente l’importanza di quelle rotte commerciali; pur non avendo basi di appoggio, essi possedevano degli alleati importanti, le loro canne da fuoco, che spezzarono il monopolio degli Arabi e gli permisero di aprire un commercio fiorente tra l’Europa e l’India.
Ma come navigavano gli Arabi del golfo arabico nel Medioevo?
Ahmad bin Majid
In quell’epoca gli Europei navigavano in alto mare osservando il sole, mentre gli Arabi usavano principalmente le stelle per determinare la loro posizione. La loro conoscenza era tramandata per generazioni dal capitano della nave, il Mu’allim, ai loro figli. Di fatto essi venivano addestrati praticamente all’uso dei pochi strumenti disponibili, un insegnamento che doveva però restare segreto. Il testo madre sulla navigazione araba fu scritto da Ahmad bin Majid. Esso venne redatto sotto forma di brevi scritti per facilitarne la memorizzazione. Il segreto fu svelato, per cosi dire, quando Vasco De Gama si avvalse di un pilota locale (molto probabilmente un musulmano indiano del Gujerat) che si era formato sui testi di Ahmad bin Majid. Tra i suoi numerosi libri sull’oceanografia, il Fawa’d-Usl Ilm al-Bahrwa-al-Qawaidah (Il libro dei benefici dei principi della navigazione marittima) è considerato uno dei migliori. Ahmad scrisse anche il Kitab al-Fawa’id (Libro delle lezioni sulla fondazione del mare e della navigazione) raccogliendo in brevi composizioni la sua esperienza di navigatore e quella di suo padre, nonché la tradizione di generazioni di marinai dell’Oceano Indiano.
Ahmad fornisce molte informazioni, parlando del metodo in uso nell’Oceano Indiano per la “grigliatura” del cielo notturno: lo zodiaco lunare. È basato su 28 ripartizioni del cielo corrispondenti a 28 stazioni giornaliere dell’orbita mensile della luna. All’interno di questa si inseriscono i segni dello zodiaco solare, il resto delle stelle fisse e i pianeti. Sono descritti ogni singolo astro o costellazione che possono essere presi come riferimento per determinare la propria posizione in mare o la posizione del porto d’arrivo.
Quanto alla navigazione arabo-islamica, si dava importanza alla conoscenza delle maree, dei venti (in particolare dei monsoni), e della colorazione delle acque per individuare le correnti marine. Questa parte della teoria della navigazione va sotto il nome di “isharat”, cioè “segnali” visibili sull’orizzonte terrestre durante il giorno. Viene di seguito la “scienza delle relazioni” (majra), legata all’uso della bussola (al-ibra) come strumento per la navigazione quando le stelle non potevano essere utilizzate (ad esempio nelle notti con scarsa visibilità). Essi dividevano l’orizzonte in 32 porzioni, seguendo un sistema più raffinato di quello in uso nel Mediterraneo, dove le porzioni erano 16. A differenza dell’area mediterranea, i 32 “rombi” non portavano il nome dei venti ma delle stelle maggiori.
La stella fondamentale per la loro navigazione era la stella polare, la cui altezza era facile da misurare di notte, specialmente a quelle basse latitudini. Come sappiamo questa misura fornisce una buona approssimazione della latitudine anche se, a causa della precessione dell’asse terrestre, non indica esattamente il Nord geografico. Gli Arabi avevano osservato che durante la notte la sua altezza non variava e le altre stelle ruotavano intorno a quel punto, il cui cerchio era il minore in quanto la stella era la più vicina al Nord. Navigando verso Sud, la stella poteva però non essere più visibile per cui la direzione veniva ricavata studiando il moto delle altre stelle descritte nell’opera di Ahmad bin Majid.
L’altezza della stella polare veniva misurata con il Kamal, in pratica una cordicella legata a un pezzo di legno quadrato. Il fondo del quadrato veniva allineato con l’orizzonte e la cima con la stella polare. La distanza misurata lungo la corda dava la latitudine. I navigatori avevano un aiuto ingegnoso: lungo la corda erano posizionati dei nodi che si riferivano a latitudini di interesse riferite alla posizione geografica delle città principali per i loro commerci. Uno strumento astronomico semplice ma tanto efficace, al punto che fu portato da Vasco de Gama in Portogallo, venendo chiamato tábuas-da-índia, ed usato nei suoi viaggi atlantici dal navigatore Pedro Álvares Cabral. Il navigatore arabo, quando all’interno del Mare Arabico, procedeva verso oriente (o verso occidente) seguendo l’altezza della latitudine del porto. Un metodo pratico che veniva completato con un calcolo approssimativo delle distanze e dalla direzione della bussola. Ovviamente la determinazione della longitudine non poteva essere risolta in quanto non erano ancora stati inventati i cronometri, necessari per determinarla.
La loro conoscenza nautica e astronomica era legata a quella indiana. Gli Indiani avevano identificato un sistema geografico matematico di latitudine (aksha-amsa) e Longitudine (rekha-amsa). Il primo meridiano passava attraverso la città di Ujjaini. In pratica era un sistema geografico di riferimento simile a quello attuale che ha come riferimento la città di Greenwich.
In un trattato di cosmografia, l’Aryabhatiya (V secolo), gli Indiani identificavano una sfera terrena Khagola ed una sfera celeste, la Bhagola. Si trattava di un modello matematico semplificato della Terra su cui stabilire un sistema di coordinate per eseguire calcoli astronomici.
Su questa sfera esisteva un punto lungo l’equatore che consentiva di poter osservare il movimento delle stelle. Ad esempio, l’Aryabhatta riportava che un navigatore in tale punto (chiamato Lanka) vedrebbe le stelle muoversi esattamente verso est-ovest. Nel testo il Polo Nord (Meru) è posto al centro della Terra e il Polo Sud (Naraka) al centro dell’Oceano. Per prima approssimazione, la maggior parte della terra si trovava nell’emisfero nord e il sud era prevalentemente oceanico. Il Lanka di Aryabhatta era ovviamente un’astrazione matematica, un punto in cui due grandi cerchi si incontrano e non ha niente a che fare con lo Sri Lanka. Ma c’è qualcosa di più. Il meridiano passava per la città di Ujjaini come meridiano principale.
Perché questa scelta?
Il piano dell’eclittica (il piano dell’orbita della Terra intorno al Sole) interseca la Terra a 23° 26’N di latitudine, in quello che chiamiamo Tropico del Cancro. Come sappiamo l’asse della rotazione terrestre non è perpendicolare al piano della sua orbita attorno al Sole e provoca le stagioni nel clima della Terra. Per cui, al di sopra del Tropico del Cancro, il Sole non sarà mai direttamente sopra la testa (allo zenit). Al di sotto di questa latitudine, il Sole sarà invece allo zenit a mezzogiorno del giorno in cui la sua declinazione nord diventa uguale alla latitudine. All’equatore questo accade due volte all’anno ovvero agli equinozi. In particolare al Tropico del Cancro ciò accade nel solstizio d’estate (21 giugno) e Ujjaini … vi si trova molto vicino.
Quando l’Aryabhatiya venne conosciuto dagli Arabi, essi utilizzarono quindi Uijaini come Meridiano Primo. Interessante notare che nei loro traffici Kalcut era il punto in cui il primo meridiano incontra la costa dell’India, ed era esattamente alla metà della distanza di Ujjaini dal Lanka (11° 15’N), ed un’ottavo della distanza dal Polo. Curioso vero?
Ma come potevano i marinai arabi navigare oltre l’India verso Sumatra, fino alla Corea? Come avrebbero potuto navigare verso le isole nell’Oceano Indiano meridionale? Majid descrive l’abilità dei navigatori della dinastia Chola, una delle principali dinastie della zona tamil dell’India, che erano stati citati nel I secolo dal geografo Claudio Tolomeo. Questi marinai erano esperti nella navigazione nell’oceano orientale ben oltre Malacca. Maijd non ne descrive però i metodi di navigazione. Esistevano conoscenze cosmografiche ancora non note? O forse quegli audaci marinai, che navigavano nel mar cinese meridionale, utilizzavano i metodi impiegati dai polinesiani, mantenendo a mente la rotazione delle stelle e la direzione delle correnti oceaniche?
Come vedete la navigazione antica era tutt’altro che primitiva e ci riserva ancora molte sorprese.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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