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Il ritrovamento dei coralli bianchi in Mar Ligure di Andrea Peirano

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare 
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ARGOMENTO: BIOLOGIA MARINA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR LIGURE
parole chiave: coralli duri, cold water corals, Madrepora oculata, Lophelia pertusa 
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Madrepora oculata NURC/UNCW and NOAA/FGBNMS

I coralli bianchi, noti nell’ambiente scientifico anche con l’acronimo CWC o Cold Water Corals, sono un insieme di specie formata da coralli duri e gorgonie che danno origine ad ecosistemi profondi molto particolari, presenti in ogni parte del mondo e che si possono ritrovare anche a oltre 1000 metri di profondità.

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Lophelia pertusa, NOAA – profondità 450 metri 

Nel Mar Mediterraneo, i coralli bianchi annoverano, tra le specie più conosciute, la Madrepora oculata e la Lophelia pertusa entrambi coralli duri, di aspetto arborescente i cui ventagli possono superare il metro di altezza. Queste due specie hanno un limite termico caratteristico di sopravvivenza e si ritrovano in acque la cui temperatura è inferiore a 12°C. A riprova che la temperatura rappresenta un fattore limitante per la specie Lophelia pertusa, che in Mediterraneo è stata ritrovata a partire da profondità di circa 600 m, in Norvegia forma colonie estese osservabili già a profondità di 40 metri.

La presenza di queste colonie, là dove abbondanti, ha dato origine nel corso dei millenni a veri e propri accumuli o banchi, formati nella loro parte basale dai residui fossili dei rami morti e sepolti nel sedimento. Questi banchi possono formare estensioni lunghe chilometri e il loro spessore o altezza dalla base della formazione, può raggiungere le decine di metri.

Coralli bianchi
I coralli bianchi rappresentano delle vere e proprie barriere coralline che, come le affini barriere tropicali (reef) annoverano una biodiversità impressionante con centinaia di specie tra sessili (fissate al fondo) e vagili. In tal modo queste barriere a coralli bianchi sono vere oasi di vita che si ergono sui fondali profondi deserti e fangosi. L’effetto di concentrazione e di attrazione per pesci e crostacei fanno di questi reef i luoghi ideali per la pesca a strascico pratica che però distrugge irrimediabilmente i coralli con reti e divergenti. Per questo motivo nel Mare del Nord alcuni siti sono stati vietati a tale tecnica di pesca.

La ricerca dei coralli bianchi nel Mediterraneo
Per quanto riguarda i nostri mari la presenza di coralli bianchi è conosciuta da tempo; tuttavia è solo da una decina di anni che la ricerca sulle caratteristiche biologiche dei fondali oltre i 100-200 metri di profondità sta progredendo, accumulando segnalazioni e ricerche sugli ambienti profondi.

In questo particolare ambito, l’occasione di poter esplorare i fondali del Mar Ligure è stata offerta, nel biennio 2013-2014, da una convenzione tra ENEA e Marina Militare che ha permesso di concentrare le ricerche sui coralli bianchi della zona del Canyon del Levante Ligure, al largo delle Cinque Terre. La ricerca è iniziata con una raccolta preliminare di informazioni effettuata dai ricercatori del centro ENEA di ricerche marine di La Spezia. Presso il Museo di Storia Naturale di Genova sono stati ritrovati i primi reperti di Madrepora oculata raccolti nella zona di interesse che risalivano al 1920. Le informazioni storiche hanno evidenziato inoltre come pezzi di corallo profondo fossero stati raccolti tramite dragaggio nel 1957 dalla nave ‘Calypso’ del mitico comandante Cousteau nel Golfo del Tigullio, non molto lontano dalla zona di interesse.

Ma l’attenzione dei ricercatori si è concentrata soprattutto sulla prima vera cartografia dei fondali che riportava la localizzazione dei banchi a coralli. Tale cartografia era stata redatta nel 1967 dal 1° tenente di vascello Nicola Fusco che aveva avuto il compito di preparare degli opuscoli e carte da pesca per una collana edita dal Ministero della Marina Mercantile.

E’ proprio sulla base di tale cartografia e sulla base dei reperti di corallo raccolti dai pescatori a strascico di Santa Margherita Ligure e dai pescatori con palamiti di Monterosso al Mare che si sono svolte nel 2013 e 2014 le campagne di ricerca nella zona del Canyon di Levante. Grazie al programma ‘dual-use’ della Marina Militare e alla collaborazione con l’Istituto Idrografico della Marina di Genova sono state programmate delle campagne di prospezione con le navi oceanografiche Ammiraglio Magnaghi e nave Aretusa che, con l’ausilio di Side Scan Sonar e sonar Multibeam hanno permesso di eseguire una cartografia di dettaglio dell’area del Canyon di Levante e dei banchi cartografati dal Fusco nel 1967.

I primi rilevamenti sui banchi hanno evidenziato subito una situazione compromessa, con molteplici ‘strisciate’ di reti a strascico, situazione poi confermata visivamente dall’immersione nel 2013 di un ROV modello Pluto Gigas in dotazione alla Nave cacciamine Milazzo. Attraverso le telecamere dei ROV si è potuto constatare che i coralli sui banchi, posti a circa 400-500 metri su un fondo piatto e regolare, erano stati completamente distrutti dalle reti a strascico e oramai dal fondale fangoso emergevano solo piccoli frammenti morti.

Nonostante l’amarezza causata da questa scoperta, nell’anno successivo fu deciso di spostare l’attenzione sui fianchi del canyon, quelli che in teoria dovevano risultare più protetti dall’azione delle reti a strascico. Nel luglio del 2014, dopo un’attenta rilettura di tutte le zone monitorate precedentemente fu programmata la discesa del ROV Pegaso, in dotazione alla sezione Palombari del COMSUBIN di La Spezia, su una zona ritenuta degna di attenzione.

Con il supporto di Nave Leonardo, il ROV, munito di un sistema sonar (Blue View) ha individuato da subito delle possibili emergenze nel punto indicato dai ricercatori, a circa 100 metri di distanza dal punto di calata. Dopo cinque minuti, quando le telecamere del ROV hanno inquadrato i primi rami di corallo, caratterizzati da un bianco abbagliante, all’interno del piccolo container dove erano riuniti i piloti del ROV ed i ricercatori è esploso un grido di esultanza; finalmente era stata trovata la prova che Madrepora oculata esisteva ancora. L’entusiasmo poi è aumentato nel corso della successiva ora di esplorazione, quando il ROV ha navigato intorno e sopra a tre banchi che si affacciano sul canyon e ha mostrato coperture dense di corallo, con rami che arrivavano a misurare più di un metro.

E’ stata veramente una buona notizia; si è dimostrato che il corallo bianco è riuscito a sopravvivere in tale area e, grazie alla sua vitalità è tuttora capace di colonizzare le aree intorno ai banchi, arrivando a formare piccole colonie su resti di relitti metallici o addirittura a ricoprire alcune delle tante lenze di palamiti sparse all’intorno. Questo ritrovamento di coralli bianchi nel Mar Ligure si è sommato a quelli a quelli effettuati da altri Istituti e centri ricerca in tutti i mari italiani, dal Mar Adriatico, al Mar Ionio, in Sardegna, nel Golfo di Napoli e nel Tirreno, evidenziando l’importanza della limitazione dello sfruttamento di aree profonde che si sono iniziate ad esplorare solo in questi ultimi anni.

Andrea Peirano

 

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2 commenti

  1. Sophie Sophie
    24/05/2021    

    Molte informazioni interessanti

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