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Immergersi negli abissi: una giornata con gli Operatori Tecnici Subacquei

tempo di lettura: 7 minuti


livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: LAVORO SUBACQUEO
parole chiave: OTS

 

Il Golfo del Messico ed il Mare del Nord condividono una storia di trivellazioni offshore, scatenata dalla crisi petrolifera mondiale degli anni ’70, che fece salire i prezzi alle stelle e portò allo sviluppo di numerose piattaforme petrolifere in mare aperto. La stragrande maggioranza delle immersioni effettuate in saturazione in campo civile è finalizzata proprio al mantenimento e manutenzione delle infrastrutture petrolifere. In campo militare gli operatori subacquei di alto fondale sono invece addestrati per il soccorso ai sommergibili sinistrati. 

Immersioni al limite del possibile
Immergersi a qualsiasi profondità implica respirare delle miscele gassose pressurizzate. I gas inerti contenuti si dissolvono nel sangue e nei tessuti, in relazione della pressione assoluta a cui il sommozzatore è sottoposto. Il problema nasce con la risalita verso la superficie: la pressione diminuisce ed i gas disciolti nei nostri tessuti incominciano a desaturare più o meno velocemente. Ritornando verso la superficie, i gas hanno però bisogno di tempo per lasciare i tessuti del nostro corpo in sicurezza; in caso contrario, una risalita rapida potrebbe causare gravi danni all’organismo con la formazione di pericolose micro bolle.

Nei corsi subacquei di primo livello impariamo che una cattiva gestione dell’immersione, ad esempio senza effettuare le soste di sicurezza, potrebbe farci incorrere nella malattia di decompressione, una patologia dolorosa e debilitante che, in certe situazioni può essere fatale. Per ridurre il rischio associato bisogna effettuare delle soste a quote diverse per consentire il graduale smaltimento dell’azoto. A volte i tempi possono essere molto lunghi, anche di ore e potrebbe essere necessario impiegare miscele diverse. Una domanda che ci possiamo porre è come conciliare le esigenze commerciali con i limiti fisiologici?

L’off shore
Il mondo, e in particolare l’industria petrolifera e del gas, ha bisogno di subacquei iperbarici che devono operare anche a grandi profondità per eseguire le delicate manovre necessarie per assemblare, mantenere e smontare pozzi, piattaforme e condutture , serrare bulloni con martinetti idraulici, lavorare in spazi ristretti in condizioni di temperature e visibilità molto basse se non nella totale oscurità. Sebbene la tecnologia moderna abbia a disposizione veicoli filoguidati (ROV remote operated vehicles), che consentono di effettuare operazioni delicate in remoto senza mettere a rischio la vita umana, in certe situazioni l’impiego di operatori tecnici subacquei è ancora obbligatorio.

Esperimenti svolti negli anni ’30 dimostrarono che, dopo un certo tempo, i corpi degli operatori subacquei in ambiente iperbarico diventano completamente saturi di gas inerte. Questo gli consente di poter operare per lungo tempo  alla quota raggiunta. La prime esperienze avvennero nel 1964, quando fu creata la prima stazione subacquea, il Sea Lab, posta ad una profondità di 192 piedi. Gli acquanauti operarono per lungo tempo dimostrando l’enorme potenziale commerciale delle immersioni in saturazione. Di contro, al fine di far desaturare i sommozzatori, i tempi di decompressione si rivelarono molto lunghi per cui divenne presto evidente che sarebbe stato più facile, e meno costoso, monitorare e supportare gli operatori subacquei all’asciutto invece che nel volume d’acqua

Oggigiorno, in tutto il mondo, i subacquei commerciali vivono in ambienti pressurizzati all’interno di sistemi di saturazione (principalmente posti su navi appoggio o su piattaforme o chiatte). Attraverso delle campane pressurizzate vengono trasportati da e verso i loro luoghi di lavoro. Un lavoro duro e non per tutti. Questi sommozzatori, chiamati alto fondalisti, non sono comuni subacquei ma personale altamente specializzato che percorre un iter addestrativo e operativo complesso prima di poter essere impiegato in profondità.

Ma come vivono questi professionisti del mare?
Un operatore subacqueo addestrato ad operare in saturazione, dopo l’addestramento, trova normalmente impiego presso ditte specialistiche che imbarcano sulle navi di supporto per le immersioni (DSV). A bordo vi sono tecnici, ingegneri, meccanici, medici il cui scopo è supportare gli operatori tecnici subacquei (OTS) nel loro lavoro. Un lavoro di team in cui tutto ruota intorno alla figura dei sommozzatori. 

Vediamo una loro attività tipica. Prima di entrare nella camera di saturazione, ogni sommozzatore deve superare un esame medico che deve escludere qualsiasi segno di infezione o affezione fisica. Anche un semplice raffreddore può essere incredibilmente pericoloso per il sommozzatore; orecchie e seni nasali intasati non consentiranno di equalizzare la pressione esterna e causare danni permanenti che possono porre fine ad una carriera. Prima di entrare nel sistema di saturazione. Gli operatori effettuano una doccia lavandosi sempre con un sapone antibatterico per eliminare qualsiasi germe autoptico. Nel loro periodo in camera respireranno diverse miscele in relazione alle profondità dove dovranno operare.

Ma quali sono gli effetti sul loro corpo?
L’aria che normalmente respiriamo è una miscela gassosa composta principalmente da Azoto (78%) e Ossigeno (21%). Man mano che ci immergiamo questi gas si disciolgono nei nostri tessuti. Al di sotto dei 30 metri, tutti i subacquei, compresi quelli ricreativi, possono sviluppare la narcosi da azoto, una condizione simile a quella di un’ubriacatura che può essere molto pericolosa. Tutto è legato alla profondità ed alla quantità di azoto respirato: man mano che si scende il sommozzatore si sente sempre più disorientato e può commettere errori anche fatali. A questo spiacevole effetto si aggiunge la pericolosità dell’ossigeno che, aumentando con la profondità, diventa tossico. Nel 1919, un ingegnere elettronico, Elihu Thompson, comprese che i palombari potevano evitare la narcosi di azoto respirando una miscela di elio e ossigeno. Nei decenni successivi fu sviluppata una miscela composta da elio ed ossigeno,  chiamata heliox, che divenne uno standard di miscela di lavoro.



Normalmente i subacquei in saturazione respirano HELIOX per tutto il tempo in cui sono in profondità. Se da un lato riduce i pericoli dell’azoto, dall’altro, essendo l’elio circa sette volte più leggero dell’aria, vi è un curioso effetto  … sonoro. Come ricorderete le onde sonore viaggiano molto più rapidamente in certi gas, come l’elio. Questo comporta che le voci dei subacquei, che respirano miscele di elio, appaiono distorte, rassomigliando molto a quella dei personaggi dei cartoni animati. Per fortuna i sommozzatori e le squadre di supporto si adattano abbastanza rapidamente a questa distorsione vocale, e possono comunque effettuare comunicazioni essenziali. Inoltre, le navi supporto sono solitamente dotate di una sorta di descrambler per mantenersi in costante comunicazione con il team di supporto di bordo.

Ora è il momento di entrare in camera iperbarica, il locale che li ospiterà per oltre una settimana; i subacquei passano attraverso un portello circolare stretto ad un’estremità sigillata per mantenere sotto pressione la camera. Gli spazi abitativi all’interno dei sistemi di saturazione sono decisamente ristretti. Attraverso il portello di una minuscola stanza circolare, i subacquei si trasferiscono alla campana subacquea. Un tragitto che faranno al contrario al termine del loro turno di lavoro.

Nello spazio abitativo c’è spazio per 4-6 posti letto in cui, per circa sei settimane, i subacquei trascorreranno le ore di non lavoro ad una pressione equivalente alla profondità in cui stanno operando. Una volta che i subacquei si saranno sistemati nella camera di saturazione, il personale di supporto vitale inizierà a pompare heliox e inizierà lo spurgo, detto “blowdown“. Il tempo necessario per gli operatori per essere completamente pressurizzati dipende ovviamente dalla profondità del sito di lavoro.

Durante lo spurgo, il rapido aumento della pressione rende la camera molto calda e umida (ricordate la legge dei gas P= V*T. Successivamente, viene aumentata la temperatura interna perché le scarse proprietà termiche dell’elio lascerebbero i subacquei perennemente al … freddo. Man mano che la pressione aumenta gli operatori compensano. sbadigliando e deglutendo come farebbero in acque libere. Ma non è l’unico effetto che subiscono: la cartilagine delle articolazioni è porosa e, a volte, fanno male anche per ore.

Una volta che i sommozzatori sono sotto pressione, si accomodano nella loro nuova casa. Gli scambi con l’esterno sono assicurati tramite due camere di equilibrio – una nella zona abitativa, conosciuta come il medlock, e una più grande, per le loro mute. Un assistente tecnico del supporto vitale si occupa di raccogliere vestiti sporchi e biancheria attraverso il medlock. Inoltre vengono regolarmente scambiati libri, strumenti e registri delle immersioni, un operazione semplice e veloce che viene effettuata in poco tempo (circa un paio di minuti). Quattro volte al giorno vengono consumati pasti abbondanti (i sommozzatori potrebbero necessitare di 6.000 calorie al giorno per stare al passo con i loro impegnativi lavori subacquei).

Un lavoro di team
Normalmente i sei uomini si dividono in squadre di due o tre OTS che lavorano in turni alternati. Si svegliano un’ora prima di dover lasciare la camera e, dopo essersi nutriti ed avere bevuto (l‘idratazione è importante), indossano le mute stagne che sono dotate di sistemi di circolazione dell’acqua calda per prevenire l’ipotermia.

La squadra di immersione entra nella campana, attraverso il portello nel soffitto, ed inizia il “trasferimento sotto pressione”. La campana ha una forma simile ad un uovo ed è dotata di sistemi di comunicazione con la nave madre e di tubi, detti ombelicali, che trasportano gas, elettricità, acqua calda e segnali video tra i caschi dei sommozzatori e la nave, attraverso la campana. 

Una volta che la campana si stacca dalla camera, viene portata alla profondità di lavoro. Un subacqueo rimane nella campana per monitorare la respirazione, l’acqua calda, la comunicazione e i sistemi elettrici. L’altro sommozzatore (o gli altri due) indossano il casco e incominciano il lavoro sul fondo per periodi di sei ore.

Una curiosità: durante quel periodo, la minzione non è un problema; esiste un circuito nella muta in cui il sommozzatore può urinare. Ultimato il lavoro la campana effettua il percorso inverso e la squadra rientra nella camera. Una vita dura, non sempre ben pagata, e che gli OTS possono effettuare solo per pochi anni a causa della durezza del lavoro.

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1 commento

  1. morena comuzzi morena comuzzi
    15/07/2021    

    credo che questi uomini debbano essere pagati molto di piu’ solo per il coraggio di lavorare a queste profondita’ con tuttti i rischi che cio’ comporta

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