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Viaggio nel sistema solare: il gigante gassoso Giove

tempo di lettura: 12 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: ASTRONOMIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Giove

Dopo un lungo viaggio, abbiamo attraversato la cintura degli asteroidi e ci dirigiamo verso Giove, il più grande pianeta del sistema solare, di dimensioni maggiori del doppio di tutti gli altri pianeti messi insieme.

Un gigante gassoso  sempre in costante movimento
Giove è uno degli oggetti più luminosi ad occhio nudo nel cielo notturno, in media il terzo oggetto naturale più visibile nel cielo notturno dopo Luna e Venere. È un pianeta gigante gassoso con un diametro di 142.984 km al suo equatore. A causa della sua rapida rotazione, la forma del pianeta è quella di uno sferoide con un evidente rigonfiamento attorno all’equatore. La sua distanza dal Sole varia di 75 milioni di km tra il perielio e la distanza più lontana (afelio). Avendo una bassa inclinazione del suo asse (poco più di 3 gradi), i poli ricevono costantemente meno radiazioni solari rispetto alla regione equatoriale del pianeta. Di conseguenza, raffrontato alla Terra, non subisce significativi cambiamenti stagionali. Ciononostante la convezione termica all’interno del pianeta trasporta più energia ai poli, bilanciando le temperature a livello delle nuvole. Un fattore bizzarro come vedremo inseguito. La rotazione di Giove è la più veloce di tutti i pianeti del Sistema Solare, completando una rotazione sul suo asse in poco meno di dieci ore (rispetto alle 24 ore terrestri).

Come si formò Giove?
Il modo in cui si formarono i pianeti rimane oggetto di dibattito. Attualmente ci sono due teorie: la prima ritiene che ci sia stato un accrescimento centrale, che giustifica la formazione e dei pianeti interni ma mal si concilia con pianeti giganti come Giove. Un modello più recente noto come instabilità del disco può aiutare a risolvere alcuni dei problemi che l’accrescimento centrale non riesce a risolvere.

Circa 4,6 miliardi di anni fa il sistema solare era di fatto una nebulosa ovvero una grande nuvola di polveri e gas. La gravità fece collassare il materiale su sé stesso mentre iniziava a ruotare, formando il Sole al centro della nebulosa. Con la formazione del Sole, il materiale rimanente cominciò a raggrupparsi. Piccole particelle si unirono, legate dalla forza di gravità, in particelle sempre più grandi. Il vento solare spazzò via gli elementi più leggeri, come l’idrogeno e l’elio, lasciando solo i materiali pesanti che formarono i pianeti interni. Allontanandosi dal Sole, i venti solari ebbero un impatto minore sugli elementi più leggeri, come l’idrogeno e l’elio, permettendo loro di fondersi “rapidamente” in giganti gassosi.

tempeste cicloniche su Giove – NASA 

Mentre i pianeti rocciosi ebbero molto tempo per costruire le loro atmosfere più pesanti quelle dei giganti gassosi erano troppo leggere e scomparirono rapidamente. Ad esempio, Giove è composto quasi completamente da idrogeno, con circa il 10 percento del suo volume costituito da elio.  Secondo la teoria dell’instabilità del disco, polveri e gas si legarono insieme e, nel tempo, si compattarono in un pianeta gigante, raggiungendo rapidamente una massa posta in un’orbita stabile che gli impedì di dirigersi verso il Sole. Essendosi formato “rapidamente” ebbe un impatto anche sulla formazione e sulle orbite degli altri pianeti, alterandone, a causa della sua enorme massa, il percorso e facendoli deviare o verso i confini più esterni del sistema solare o verso il Sole. I ricercatori dell’Università di Lund hanno scoperto che la migrazione di Giove andò avanti per circa 700.000 anni, in un periodo di circa 2-3 milioni di anni.

Lo studio di Giove incominciò sin dall’antichità
Le prime osservazioni di Giove risalgono almeno agli astronomi babilonesi del VII o VIII secolo a.C.. Nel II° secolo a.C. l’astronomo ellenistico Claudio Tolomeo costruì un modello planetario geocentrico per spiegare il movimento di Giove rispetto alla Terra, descrivendo il suo periodo orbitale attorno alla Terra di circa 11,86 anni.

Nel 1610, Galileo Galilei scoprì le quattro più grandi lune di Giove, precedendo di un giorno Simon Marius. Fu quest’ultimo però, pubblicando la sua scoperta nel 1614, ad  assegnargli i nomi di Io, Europa, Ganimede e Callisto. Intorno al 1660, Giovanni Cassini scoprì le bande colorate su Giove ed osservò che il pianeta appariva appiattito ai poli. Fu anche in grado di stimare per primo il periodo di rotazione del pianeta. La scoperta della Grande Macchia Rossa, l’elemento forse più caratteristico di Giove, potrebbe risalire nel 1664 a Robert Hooke o nel 1665 a Cassini. Di fatto il primo disegno noto per mostrare i dettagli della Grande Macchia Rossa fu prodotto dal farmacista Heinrich Schwabe. La Macchia fu persa poi di vista in diverse occasioni, tra il 1665 e il 1708, prima di ritornare piuttosto evidente nel 1878. Fu registrata di nuovo in dissolvenza nel 1883 e all’inizio del XX secolo. Nel 1892, E. E. Barnard osservò un quinto satellite di Giove in seguito chiamata Amalthea. Fu l’ultima luna planetaria ad essere scoperta direttamente dall’osservazione visiva.

Nel XX secolo le scoperte si moltiplicarono. Nel 1932, Rupert Wildt identificò le bande di assorbimento di ammoniaca e metano negli spettri di Giove. Nel 1938 furono osservati tre sistemi anticiclonici di lunga durata, chiamati ovali bianchi. Per diversi decenni rimasero come elementi separati nell’atmosfera, a volte avvicinandosi l’uno all’altro ma senza fondersi mai. Infine, i due ovali si fusero nel 1998, per poi assorbire il terzo nel 2000, diventando l’Oval BA. Non ultimo, nel 1955, Bernard Burke e Kenneth Franklin rilevarono dei segnali radio provenienti da Giove alla frequenza di 22,2 MHz. Ma non solo. Un pioniere della radio astronomia australiano, Charles Alex Shain, analizzò le registrazioni di Giove fatte nel 1950-51 alla frequenza di 18.3 MHz e scoprì che il pianeta emetteva più rumore radio quando era rivolto verso la Terra. Questo voleva dire che i radio segnali provenivano da sorgenti localizzate a particolari longitudini. Nel 1964 E. Keith Bigg scoprì una connessione tra le tempeste radio di Giove e la posizione orbitale del suo satellite Io. Il periodo delle emissioni corrispondeva alla rotazione del pianeta e permise di affinare la velocità di rotazione. Gli scienziati ritengono oggi che queste emissioni siano generate anche dalla magnetosfera di Giove.

Le esplorazioni spaziali
Lo sviluppo dell’ingegneria astronautica portò dal 1973 all’invio di numerose sonde verso Giove. Le missioni Pioneer ottennero le prime immagini ravvicinate dell’atmosfera di Giove e di alcune sue lune.

la sonda Voyager 1 – NASA 

Sei anni dopo, le missioni delle sonde Voyager migliorarono notevolmente la comprensione delle lune e scoprirono gli anelli di Giove. Confermarono anche che la Grande Macchia Rossa era una enorme tempesta, che ruotava in modo differenziato rispetto al resto dell’atmosfera, a volte più veloce e a volte più lentamente, cambiando colore, dall’arancione al marrone scuro. La missione successiva della sonda Ulisse condusse studi sulla magnetosfera di Giove. Ulisse non aveva telecamere, quindi non furono scattate immagini. Il primo veicolo spaziale ad orbitare attorno a Giove fu la sonda Galileo, che entrò in orbita il 7 dicembre 1995, orbitando attorno al pianeta per oltre sette anni, e conducendo diversi voli di tutte le lune della Galilea e Amalthea. La navicella spaziale ha anche assistito all’impatto della cometa Shoemaker – Levy 9 mentre si avvicinava a Giove nel 1994, un punto di vista unico per l’evento.

Una sonda atmosferica in titanio da 340 kg fu rilasciata nel luglio 1995, entrando nell’atmosfera di Giove il 7 dicembre. Scendendo attraverso 150 km di atmosfera e raccogliendo dati per 57,6 minuti prima che il segnale fosse perso ad una pressione di circa 23 atmosfere ad una temperatura di 153 °C. I dati di quella missione rivelarono che l’idrogeno costituisce fino al 90% dell’atmosfera di Giove. La temperatura registrata era superiore a 300 °C e la velocità del vento più di 644 km / h.  Nel 2000, la sonda Cassini sfiorò Giove sulla sua strada per Saturno e fornì alcune delle immagini ad alta risoluzione mai realizzate sul pianeta. Nel 2007, la sonda New Horizons usò la gravità di Giove per aumentare la sua velocità e piegare la sua traiettoria lungo il percorso per Plutone. L’approccio più vicino fu il 28 febbraio 2007, e permise la misura della produzione di plasma dai vulcani sulla luna Io e di studiare in dettaglio le lune, comprese due di quelle esterne, Himalia ed Elara.

la missione di Juno

La missione Juno della NASA arrivò a Giove il 4 luglio 2016 e si prevede che completerà 37 orbite nei prossimi 20 mesi. Il 27 agosto 2016, la navicella spaziale completò il suo primo sorvolo di Giove e restituì le prime immagini in assoluto del polo nord di Giove. Juno ha scoperto otto vortici uguali al polo nord disposti ai vertici di un’ottagono (l’ottagono di Giove), con al centro un nono vortice, e 5 vortici uguali al polo sud disposti come i vertici di un pentagono (il pentagono di Giove), con al centro un sesto vortice. Una scoperta interessante che richiama quella dei sei vortici di Saturno che scopriremo più avanti.

JUICE Juppiter Icy Moon Explorer 

La prossima missione pianificata per il sistema gioviano sarà Juppiter Icy Moon Explorer (JUICE) dell’Agenzia spaziale europea, il cui lancio è previsto nel 2022. L’obiettivo sono le tre lune ghiacciate di Giove: Ganimede, Europa e Callisto che presentano discrete quantità di acqua liquida sotto la superficie e sono candidate ideali per la ricerca di vita.  La sonda arriverà nel sistema di Giove nel 2030 dopo aver sfruttato quattro volte l’assistenza gravitazionale della Terra e di Venere. Dopo una serie di fly-by (sorvoli) di Europa e Callisto, JUICE entrerà in orbita nel 2032 attorno a Ganimede per un ulteriore studio che verrà completato nel 2033.

La missione di JUICE sarà seguita dalla missione NASA Europa Clipper nel 2023. Gli obiettivi futuri da esplorare nel sistema di Giove includono il probabile oceano liquido coperto di ghiaccio della sua luna Europa. Ma di questo ne parleremo in un prossimo articolo.

Scendiamo ora su Giove
Ci stiamo avvicinando a questo gigante tempestoso, un pianeta decisamente inquietante. Vediamo di conoscerlo meglio per capire se, in qualche modo, potrebbe essere un candidato per una futura colonizzazione. Giove ha la più grande atmosfera planetaria nel Sistema Solare, che si estende per oltre 5.000 km di altitudine. La parte più esterna è visibilmente separata in diverse bande a diverse latitudini, con evidenti turbolenze e tempeste lungo i loro confini interagenti. Forse la particolarità più nota è la Grande Macchia Rossa, una tempesta gigantesca che persiste da almeno il XVII secolo, quando fu osservata per la prima volta al telescopio. Le zone variano in larghezza, colore e intensità di anno in anno.

Immagine rielaborata da Bjorn Jonsson della Great Red Spot realizzata da Voyager 1 nel 1979 rivela un’incredibile ricchezza di dettagli. La macchia è una enorme tempesta, simile a un uragano, situata tra opposte correnti a getto nell’emisfero meridionale di Giove. Credito: NASA 

La base della sua atmosfera è generalmente considerata il punto in cui la pressione atmosferica è pari a 1 bar. Il pianeta è perpetuamente coperto di nuvole composte principalmente da cristalli di ammoniaca, che si trovano nella tropopausa disposte in bande a diverse latitudini. La colorazione dall’arancione al marrone è causata da diversi elementi chimici che cambiano colore quando esposti alla luce ultravioletta del Sole. Questi sono suddivisi in zone di colore più chiaro fra cinture più scure.

Lo strato di nuvole ha una profondità di circa 50 km ed è costituito da almeno due strati nuvolosi. Potrebbe anche esserci un sottile strato di nuvole d’acqua alla base dello strato di ammoniaca. A sostegno di questa teoria sono i lampi rilevati nell’atmosfera di Giove. Queste scariche elettriche possono essere fino a mille volte più potenti dei fulmini sulla Terra. Le nuvole d’acqua generano temporali allo stesso modo dei temporali terrestri, spinti dal calore che sale dall’interno. Tutto questo con venti che possono superare i 360 km orari. L’atmosfera superiore di Giove è composta da circa l’88-92% di idrogeno e l’8-12% di elio. La sua atmosfera contiene anche tracce di metano, carbonio, etano, idrogeno solforato, neon, ossigeno, zolfo vapore acqueo, ammoniaca e composti a base di silicio. Lo strato più esterno dell’atmosfera contiene dei cristalli di ammoniaca congelata. Penetrando all’interno le percentuali dei gas cambiano, 71% idrogeno, 24% elio e il 5% di altri elementi, percentuali vicine alla composizione teorica della nebulosa solare primordiale.

Un mistero da chiarire
Il diametro di Giove è circa il 10% minore di quello del Sole ma irradia ancora più calore di quello che riceve dal Sole in quanto la quantità di calore che produce al suo interno è simile alla radiazione solare totale che riceve. Questo calore aggiuntivo viene generato quando la superficie di una stella o di un pianeta si raffredda causando di conseguenza una diminuzione della pressione idrostatica che viene compensata comprimendosi per ristabilire l’equilibrio idrostatico.

Immagine artistica della grande macchia rossa di Giove che riscalda l’atmosfera superiore. I ricercatori del Center for Space Physics del Boston University ritengono che la Grande Macchia Rossa di Giove possa fornire l’ energia richiesta per riscaldare l’atmosfera superiore del pianeta ai valori insolitamente alti osservati. Giove è oltre cinque volte più distante dal Sole, eppure la sua atmosfera superiore ha temperature, in media, paragonabili a quelle trovate sulla Terra. NASA Photo credit: Art by Karen Teramura, UH IfA con James O’Donoghue e Luke Moore

Per la legge della conservazione dell’energia in un sistema isolato, questa compressione genera a sua volta un riscaldamento del nucleo. Il processo fa restringere Giove di circa due centimetri ogni anno. E’ stato calcolato che quando Giove si formò il pianeta era molto più caldo e aveva circa il doppio del suo diametro attuale. Penetrando tra le nubi, attraverseremo una atmosfera interna trasparente di idrogeno al di sotto della quale avremo un mantello di idrogeno metallico liquido, con tracce di elio. Al di sotto troveremo un nucleo denso con una miscela di elementi, probabilmente di natura rocciosa e composto da carbonio e silicati. La temperatura e la pressione all’interno di Giove aumentano costantemente verso il suo nucleo. Per dare un’idea, ad una pressione di 10 bar (1 MPa), la temperatura è di circa 67 °C. Nel 1997, l’esistenza del nucleo fu suggerita da misure gravitazionali, indicando una massa da 12 a 45 volte quella della Terra.

La grande macchia rossa
La caratteristica forse più nota di Giove è la sua grande macchia rossa, una persistente tempesta anticiclonica con dimensioni maggiori della Terra, situata a circa 22° a sud dell’equatore gioviano.  Ha forma ovale e ruota in senso antiorario, con un periodo di circa sei giorni, e si colloca a circa 8 km (5 miglia) sopra le nuvole. I modelli matematici suggeriscono che la tempesta sia geograficamente stabile e potrebbe essere una caratteristica permanente del pianeta. Le sue dimensioni, misurate alla fine del 1800, erano di circa 41.000 km ma le osservazioni  seguenti, effettuate con le sonde, hanno mostrato che ha subito nel tempo delle variazioni di ampiezza, con una diminuzione attuale di circa 1000 km all’anno in lunghezza.

Questa tempesta non è l’unica e sul pianeta è possibile notare altri ovali bianchi e marroni: quelli bianchi sono nuvole relativamente fresche all’interno dell’atmosfera superiore, mentre i marroni sono più caldi e si trovano all’interno. Tali tempeste possono durare poche ore o protrarsi per secoli. Nell’aprile 2017, gli scienziati hanno scoperto un “Grande punto freddo”, denominato Spot, nella termosfera di Giove nel polo nord di Giove con dimensioni di 15.000 miglia di larghezza, 7.500 mi di larghezza e 200° C più fresco rispetto al materiale circostante.

NASA rappresentazione della magnetosfera di Giove, ci si aspetta che la sonda Juno possa chiarire molti dei suoi misteri

Il campo magnetico di Giove è quattordici volte più forte di quello della Terra, rendendolo il più forte nel Sistema Solare. Si pensa che questo campo sia generato da correnti parassite (movimenti vorticosi di materiali conduttori) all’interno del mantello di idrogeno metallico liquido. Il vento solare allunga la magnetosfera sul lato sottovento di Giove, estendendolo verso l’esterno fino a raggiungere quasi l’orbita di Saturno.

Potremo mai atterrarci?
Giove appare essere un pianeta poco favorevole per poter impiantare delle basi di colonizzazione. I valori di temperatura e pressione sono di molto superiori a quelli sulla superficie del sole. Ammesso riuscissimo a raggiungere il nucleo roccioso, vi troveremmo temperature stimate di circa 36.000 °C e pressioni di 44,5 milioni di atmosfere, fattori che non consentirebbero nessun tipo di esplorazione diretta.

Sotto la spessa crosta ghiacciata di Europa, gli scienziati credono ci sia un grande specchio d’acqua di dimensioni volumetriche tre volte superiori a quello dell’acqua sulla Terra, aumentando quindi le possibilità di qualche vita organica (Image credit: © NASA/JPL/Ted Stryk)

Quella che potrebbe essere interessante è però una sua luna, Europa, che supera di dimensioni anche Plutone. Anche di questo ne parleremo approfonditamente nel prossimo articolo dedicato alle tante lune di Giove.

Al di là della sua abitabilità, un fattore da non trascurare, è lo sfruttamento della gravità di Giove come fionda gravitazionale, ovvero quella tecnica di volo spaziale che utilizza la gravità di un pianeta di grandi dimensioni per alterare il percorso e la velocità di un veicolo spaziale. Per ottenere questo effetto, il mezzo spaziale deve effettuare un volo ravvicinato del pianeta. Quando il mezzo si avvicina, la gravità del pianeta la attrae aumentando la sua velocità. Dopo aver passato il pianeta, la gravità continua ad attrarre il veicolo, rallentandolo, ma  cambia la direzione del veicolo che viene sparato moltiplicando la sua velocità iniziale. Già sfruttata con successo da molte sonde spaziali, essa ci consentirà di poter raggiungere lo spazio esterno verso gli altri grandi pianeti.

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