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livello difficile
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ARGOMENTO: FISIOPATOLOGIA SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: tossicità da ossigeno, tossicità CNS, tossicità polmonare, immersioni, rebreather a circuito chiuso
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Le attività subacquee militari, in particolare nell’ambito delle forze operative speciali (SOF), sono una delle forme più estreme di immersione. Esse richiedono attrezzature e prestazioni fisiche ovviamente particolari, che differiscono da quelle commerciali o civili.
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SOF olandesi in addestramento di uscita dal sommergibile HNLMS Dolphin
Le Special Operations Forces (SOF) utilizzano principalmente sistemi rebreather a circuito chiuso (CCR) impieganti ossigeno puro. Il funzionamento di un CCR è fondamentalmente diverso da quello dei sistemi di immersione a circuito aperto o semi-chiuso in quanto, invece di rilasciare l’aria espirata nell’ambiente circostante, essa viene fatta ricircolare all’interno dell’apparato. Questo consente di recuperare l’ossigeno e allungare il tempo di immersione.
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In pratica, l’anidride carbonica espirata (CO2) viene “lavata” tramite uno scrubber, un sistema filtrante, che contiene un composto chimico chiamato “calce sodata” (composto da idrossido di calcio e idrossido di sodio) o nei modelli più evoluti da molecole di sintesi, che ha la proprietà di fissare l’anidride carbonica che lo attraversa. Per tale motivo in ogni rebreather vi è un filtro (chiamato anche canister o capsula) la cui efficacia è legata a diversi fattori come la dimensione dei granuli, temperatura ambiente e umidità. I moderni CCR possono essere utilizzati con aria, miscele binarie/ternarie e ossigeno puro. Essendo un circuito chiuso, il consumo del gas è molto limitato, aumentando notevolmente il tempo di immersione. Nel caso il gas respiratorio sia composto da ossigeno puro, il subacqueo ovviamente non accumulerà azoto o altri gas respiratori inerti e, pertanto, non avrà necessità di decompressione. Ma c’è un problema: la tossicità dell’ossigeno.
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Oxigen toxicity
Come è noto, l’esposizione a pressioni parziali elevate di ossigeno (PO2) causa principalmente danni al sistema nervoso centrale ed al sistema polmonare. Ad esempio, l’esposizione a un PO2 maggiore di 1,4 ATA può causare tossicità del sistema nervoso centrale (CNS), portando a una vasta gamma di disturbi neurologici tra cui le convulsioni. Invece la tossicità dell’ossigeno polmonare (POT) si sviluppa nel tempo con un’esposizione ad una PO2 maggiore di 0,5 ATA; essa può portare ad infiammazioni e fibrosi del tessuto polmonare anche gravi. Inoltre, l’ossigeno può essere anche tossico per il sistema oculare e avere effetti sistemici sul sistema infiammatorio, in alcuni casi irreversibili. Un recente studio della marina olandese ha cercato di valutare quanto gli studi sugli effetti tossici dell’ossigeno sul sistema nervoso centrale (CNS) e sul sistema polmonare possano essere applicati al personale delle SOF. Questo interessantissimo studio ci dà spunto per poter parlare della tossicità dell’ossigeno.
Partiamo dalla tossicità sul CNS
La letteratura scientifica fornisce un’idea dei pericoli (potenzialmente letali) che l’ossigeno rappresenta ma non possono essere utilizzati per determinare i limiti di sicurezza o di esposizione all’ossigeno. Nello studio, vengono quindi riassunti gli effetti patologici sull’organismo dell’ossigeno (principalmente sul sistema nervoso centrale e sul sistema polmonare. Il fenomeno della tossicità del sistema nervoso centrale è comunemente definito come l’effetto Bert (dal nome del fisiologo francese Paul Bert che lo descrisse per primo nel 1878). In molti esperimenti di immersione a secco, Bert dimostrò che l’ossigeno era tossico e potenzialmente letale per molte specie organiche tra cui semi, funghi, insetti e diversi piccoli mammiferi. In seguito fu dimostrato che la tossicità del CNS dipendeva dalla PO2 e dal tempo esposto.
Nel 1910 Bornstein fu probabilmente il primo a sperimentare in camera la respirazione di ossigeno iperbarico con un PO2 di 2,8 ATA per 30 minuti; esperimento che non comportò danni apparenti ai due volontari. C’è da dire che la tolleranza in camera iperbarica è molto più elevata rispetto alle immersioni in acqua. In un ambiente immerso, un PO2 maggiore di 1.4 ATA può infatti portare a nausea, intorpidimento, vertigini, contrazioni, disturbi dell’udito e della vista, incoscienza e convulsioni. Sebbene la suscettibilità alla tossicità dell’ossigeno abbia un’alta variabilità tra individuo e individuo, le fonti riportano che generalmente l’Uomo non presenta convulsioni indotte dall’O2 ad una PO2 inferiore a 1,3 ATA. Mentre le convulsioni possono verificarsi senza alcun sintomo precedente, i disturbi visivi generalmente le precedono. Secondo lo studio esistono diversi fattori da valutare sull’incidenza della tossicità in quanto essa è legata a diverse esposizioni nel tempo e in profondità, oppure a diverse definizioni dei sintomi. Esiste anche il dubbio che la mancanza di elementi correlabili possa essere in qualche modo legata alla natura riservata delle immersioni dei SOF per cui la significatività dei dati potrebbe essere falsata.
Patogenesi e fattori di rischio
Sebbene l’esatto meccanismo non sia stato completamente compreso, al momento, la spiegazione più plausibile è legata a un flusso eccessivo di ossigeno nel cervello dopo un aumento del flusso sanguigno cerebrale (CBF). A causa dell’aumento del PO2 nel plasma si verifica un’auto ossidazione dell’ossido nitrico (· NO) di cui il perossinitrito (ONOO-) è il più importante. L’esatto meccanismo attraverso il quale questi ROS (reactive oxigen species), prodotti intermedi dei processi cellulari di riduzione dell’ossigeno (come superossidi, perossidi d’idrogeno, etc.) non è però del tutto chiaro. Si ritiene che i ROS influenzino direttamente varie conduttanze ioniche che regolano l’eccitabilità cellulare, oltre ad interrompere la trasmissione chimica sinaptica. Sempre secondo lo studio, alcuni agenti farmacologici, come la scopolamina (frequentemente usata per prevenire e curare il mal di mare), non sembrano attenuare o sensibilizzare la tossicità dell’ossigeno. La Caffeina sembra essere efficace nel ritardare le convulsioni nei ratti, ma la sua efficacia negli esseri umani deve ancora essere confermata.
Lo studio cita che, dopo un primo modello di predizione (Harabin et al.), ne venne sviluppato un ulteriore da Arieli et al. basato su 2.039 immersioni con CCR. Questo modello risulta ancora oggi il più accurato. Nel tentativo di identificare i subacquei militari a rischio, è stato a lungo sostenuto il “test di tolleranza all’ossigeno“, in cui i soggetti sono stati esposti a respirare ossigeno al 100% a 2,8 ATA per 30 minuti. Tuttavia, questo test sembra essersi rivelato obsoleto perché mancante di un valore predittivo.
Conseguenze operative
Anche se i meccanismi fisiopatologici e i fattori di rischio non sono ancora stati chiariti, esiste una chiara relazione tra PO2 e tempo di respirazione. La tossicità da ossigeno sul CNS è una complicazione rara ma potenzialmente pericolosa in caso di esposizione a PO2 elevato. Se si verificano sintomi lievi che possono essere riconosciuti tempestivamente, è possibile evitare le convulsioni riducendo subito la profondità. Purtroppo gli esiti di questo accorgimento sembra non essere immediato e le convulsioni qualche volta permangono per un certo tempo. Nelle immersioni sportive, i limiti di PO2 raccomandati vanno da 1,4 a 1,6 ATA (Lang, 2001). Ovviamente i limiti per i militari delle SOF sono diversi, a causa delle differenze nelle attrezzature e della quantità di “rischio accettabile”. Le differenze possono essere significative: ad esempio il modello di Arieli et al. consente 24 minuti a un PO2 di 2,5 ATA accettando un rischio di tossicità CNS massima del 5% (Arieli et al., 2002) mentre il ben noto manuale di immersioni della US Navy consente un PO2 di 2,5 ATA per soli 10 minuti (NSSC, 2008). Tuttavia, questi rischi elevati dovrebbero essere sono presi solo dopo una adeguata formazione e solo quando le esigenze operative non lasciano alternative.
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Le curve mostrano un tipico decremento della capacità vitale polmonare durante la respirazione di ossigeno. Lambertsen concluse nel 1987 che 0,5 bar potevano essere tollerati indefinitamente – da wikipedia
Tossicità polmonare dell’ossigeno (POT)
Nel 1899, il patologo scozzese James Lorrain Smith pubblicò gli effetti patologici dell’aumento della tensione inspiratoria dell’ossigeno su numerosi piccoli animali. In questi esperimenti, essi furono esposti a pressioni crescenti di ossigeno per lunghi periodi di tempo. Oltre a numerosi episodi di tossicità del sistema nervoso centrale, la maggior parte degli animali morì a causa dell’ipossia dovuta ad una ventilazione insufficiente che provocò un’infiammazione polmonare acuta o cronica. Nel 1987, Lambertsen concluse che 0.5 ATA era il limite di tollerabilità massimo. Sebbene, rispetto alla tossicità del sistema nervoso centrale, la tossicità polmonare possa avvenire ad una pressione parziale di ossigeno (0,5 ATA), il tempo di esposizione deve essere molto più lungo (da ore a giorni).
Nell’Uomo, i primi sintomi includono irritazione tracheobronchiale con dolore retrosternale e tosse, fino al danneggiamento della mucosa tracheale con ridotta clearance del muco. L’incidenza nei subacquei non è però ancora nota.
Notate nella tabella dello studio, la differenza tra i limiti del US Navy Diving Manual (seconda colonna) con il rischio associato per la tossicità del sistema nervoso centrale basato sul modello di Arieli (terza colonna). L’ultima colonna mostra il tempo di fondo quando si accetta un rischio massimo di tossicità CNS del 5%.
La tossicità dell’ossigeno polmonare (POT) può essere suddivisa in due fasi:
Una prima fase essudativa (Figura 2, lato sinistro), caratterizzata da un’infiammazione locale con edema capillare ed endoteliale, una diminuzione delle cellule alveolari di tipo I e un flusso di cellule infiammatorie. Questi cambiamenti sono reversibili e il polmone ritorna al suo stato normale (Figura 1) se la pressione di ossigeno inspirata viene ridotta al di sotto di 0,5 ATA.
Nella seguente fase proliferativa (Figura 2, lato destro) le fratture e le cellule alveolari di tipo II infiltrano l’endotelio infiammato.
In definitiva, una continua infiammazione porta in definitiva ad una fibrosi alveolare e ad un aumento da quattro a cinque dello spessore della membrana aria-sangue e, di conseguenza, alla perdita della capacità di diffusione. Questi cambiamenti sono irreversibili.
La velocità con cui si verificano questi cambiamenti è direttamente correlata al PO2 ispirato e può verificarsi già dopo 3 ore ad un PO2 di 3 ATA in camera. Quando i subacquei sono immersi, molti processi fisiologici sono alterati. Il volume circolante viene ridistribuito a causa della pressione idrostatica sul corpo e della vasocostrizione periferica in acqua fredda, con conseguente spostamento del volume e raggruppamento intratoracico. Anche se l’immersione nei mammiferi riduce la frequenza cardiaca, il risultato netto di entrambi i processi è un’ipertensione polmonare, a causa dell’aumento della gittata cardiaca, per cui lo scambio di gas nel polmone durante l’immersione è sostanzialmente diverso da quello delle immersioni in camera. Purtroppo pochissimi studi hanno riportato i fattori di rischio per lo sviluppo di POT nei subacquei.
Conseguenze operative
Sotto un certo aspetto il POT è più insidioso della tossicità del CNS. Il modello UPTD rimane lo standard di riferimento, nonostante i suoi limiti. Nello studio si riporta che la Royal Netherlands Navy attualmente utilizza un LAR 5010 della Dräger con limiti molto simili a quelli riportati dal US Navy Diving Manual (Dipartimento della Marina degli Stati Uniti NSSC, 2008).
L’esposizione all’ossigeno è limitata a 450 unità di dose di tossicità polmonare (UPTD) al giorno e 2250 UPTD alla settimana. Una singola esposizione fino a 1425 UPTD è considerata il valore massimo assoluto e dovrebbe essere considerato solo in circostanze eccezionali (con sufficiente supporto medico disponibile). Applicando i limiti suddetti, sembrerebbe che il Royal Netherlands Navy Diving Medical Center, autore dello studio, non abbia mai riscontrato (in questi ultimi 20 anni) cambiamenti significativi nella funzione polmonare e nella capacità di diffusione dei subacquei SOF rispetto agli altri subacquei della Marina. Interessante vedere che il test annuale fisico mostra che i valori massimi di VO2 superano regolarmente 50 ml/kg /min e tutti i subacquei rimangono idonei alle attività subacquee durante la loro carriera. Ciò può essere dovuto al tempo di “recupero” tra immersioni estreme o perché le esposizioni non sono state abbastanza gravi da causare danni irreversibili.
In sintesi, lo studio sottolinea che l’immersione con elevate pressioni parziali dell’ossigeno può causare complicazioni neurologiche acute potenzialmente letali o cambiamenti strutturali polmonari irreversibili. Tuttavia, la misura in cui si verificano questi problemi nell’immersione con ossigeno rimane sconosciuta, a causa della mancanza di studi sull’Uomo durante l’immersione e/o di studi epidemiologici.
Riassumendo, gli attuali limiti per l’esposizione a ossigeno 100% nella Royal Netherlands Navy prevedono che valori superiori a 1.3 ATA siano da considerarsi rischiosi per lo sviluppo di tossicità sul CNS. Per quanto concerne la tossicità dell’ossigeno polmonare (POT) sono considerati tossici per il sistema polmonare valori al di sopra di 0,5 ATA e la massima quantità di “unità di dose di tossicità polmonare” (UPTD) è stata posta a 615 UPTD. Limiti che, secondo lo studio citato, i subacquei civili o commerciali potrebbero utilizzare nelle loro attività.
Uno studio interessante ricco di informazioni che si suggerisce di leggere integralmente nella sua integrità.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
Interessante studio e ottimo lavoro di divulgazione.
Grazie
Interessante, chiaro, esauriente (almeno in prima battuta), mai banale o dispersivo. È un vero piacere leggere i suoi articoli