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I relitti di Yassi Ada

tempo di lettura: 3 minuti

 

livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA DELLE ACQUE
PERIODO: VII SECOLO
AREA: RELITTO
parole chiave: Yassi ada


l’articolo scritto da Ivan Lucherini è stato pubblicato per la prima volta su scubaportal.it e ripubblicato dietro sua autorizzazione
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Yassi Ada
, nelle vicinanze di Bodrum, è una piccolissima isola, pressoché uno scoglio, posta fra la costa turca e l’isola greca Pserimos, in quel mare Egeo, testimone di tanta parte della nostra storia antica. Quella zona del Mediterraneo è stata nei secoli sempre temuta dai navigatori e dai marinai che vi si trovavano a passare, per le caratteristiche di pericolosità, che quei tratti di mare presentano ancora adesso. I numerosi relitti, che giacciono in quei fondali, sono i muti testimoni di quegli antichi naufragi. Si deve a Peter Throckmorton e alle sue prospezioni di oltre cinquanta anni fa, la scoperta di numerosi di essi. La bibliografia è particolarmente ricca di notizie sui relitti di Yassi Ada poiché per la prima volta, si effettuarono degli interventi archeologici subacquei, sperimentando tecniche innovative, con un rigore scientifico mai adottato fino ad allora, almeno nel lavoro archeologico sottomarino.
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Un’equipe dell’Università della Pennsylvania, composta da membri dell’University Museum, guidati dal celebre archeologo George Bass, iniziò le indagini sui resti di un primo scafo, giacenti a circa 35 metri di profondità. Le indagini si effettuarono in tre successive campagne estive nei primi anni ’60 dello scorso secolo e riportarono, sotto i riflettori della storia, le vicende di una nave bizantina con un carico di circa 900 anfore vinarie. Fra i corredi di bordo, e tutto il materiale appartenente all’equipaggio, George Bass ritrovò alcune monete d’oro e di bronzo che gli consentirono di datare il naufragio al 625 d.C., quando sul trono di Costantinopoli sedeva l’imperatore Eraclio (610-641). Come detto in precedenza, le iniziali prospezioni e il successivo scavo furono scientificamente avanzatissimi e per la prima volta, un indagine archeologica sottomarina, vide l’impiego del rilievo stereo fotogrammetrico.

L’indagine completa, del relitto bizantino, richiese 1244 ore di lavoro, svolto da un team di circa 15 subacquei, nel corso di oltre 3500 immersioni individuali, svolte in un periodo di tempo di circa sette mesi fra il 1961 e il 1964. Lo studio successivo dei residui dello scafo naufragato consentì a Frederich H. Van Doorninck di stabilire le dimensioni dell’imbarcazione corrispondenti ad una lunghezza totale di 18,60 metri per una larghezza di 5,10 metri.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è yassi-ada-ricostruzione-nave-bodrum-free-1024x855.jpg

ricostruzione del relitto, museo di Bodrum – autore Georges JansooneFile:Turkey.Bodrum056.jpg – Wikimedia Commons

Di forma slanciata, questo mercantile poteva vantare, un carico di circa 40 tonnellate. La sezione poppiera  era occupata da una piccola cabina, dotata di una copertura in tegole. All’interno, si trovava una piccola cucina, strutturata con un piano, rivestito di mattoni refrattari. A solo una decina di metri dal primo relitto, il team di George Bass indagò negli anni 1964/69 lo scafo di un secondo naufragio. Si trattava di una nave di età tardo romana. Anche in questo caso si effettuarono indagini con tecnologie mai provate in precedenza. Inizialmente fu utilizzato un piccolo sottomarino, denominato Hasherah, che alla profondità di circa quaranta metri effettuò un rilievo stereo fotogrammetrico dell’area archeologica. Successivamente durante la campagna di scavo, condotta dal 1967 al 1969, si utilizzarono una camera di decompressione ed una “cabina telefonica” subacquea che consentirono di innalzare, decisamente verso l’alto, i margini sulla sicurezza degli operatori subacquei impiegati in quelle operazioni. Occorre sottolineare, che a quel tempo, per uno scavo a quelle profondità, si effettuavano anche due immersioni al giorno per ogni operatore, di circa 30 minuti l’una con soste decompressive di oltre un ora per ogni immersione.

I tempi delle decompressioni accelerate e dei circuiti chiusi con pressione parziale dell’ossigeno prefissata, erano ancora nel limbo delle conoscenze subacquee e i gruppi ARA erano l’unico metodo adottato. Il carico del relitto indagato consisteva in circa millecento anfore di tre tipi diversi. Il corredo di bordo comprendeva lucerne, pignatte, vasi, tazze e vetri che consentirono di datare il relitto alla seconda metà del IV secolo d.C.. Quelle prime esperienze di scavo stratigrafico subacqueo, di rilievo stereo fotogrammetrico, l’utilizzo di camere di decompressione e di cabine telefoniche asciutte, posero le basi per dimostrare, che l’applicazione di un rigoroso metodo scientifico. Questo metodo poteva quindi essere applicato anche in condizioni estreme come quelle sottomarine, rendendo possibile agli archeologi subacquei, una più attenta e precisa analisi a tavolino dei risultati conseguiti sul campo, realizzando l’obiettivo di noi tutti: una corretta interpretazione e ricostruzione storica, attraverso il ritrovamento, il riordino, l’analisi di un singolo frammento, di questa storia del Mediterraneo.

Ivan Lucherini
archeologo subacqueo 

 

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