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Le trivellazioni dei fondali del mar Jonio e nel golfo di Taranto

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: CONSERVAZIONE
PERIODO: XXI SECOLO

AREA: MAR MEDITERRANEO – MAR IONIO
parole chiave: Trivellazioni, mar ionio, Taranto
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Nel gennaio 2010 il ministero dello Sviluppo economico aveva scritto una nota all’ENI, e per conoscenza al ministero dell’Ambiente,  in cui invitava la compagnia a presentare una richiesta di Valutazione dell’impatto ambientale su un suo progetto inerente eventuali trivellazioni nel golfo di Taranto. Dopo quasi tre anni di silenzio, non avendo ricevuto alcun progetto dell’ENI da valutare, nel dicembre scorso il ministero dell’Ambiente ha scritto al ministero dello Sviluppo economico e all’ENI spiegando che il progetto sarà valutato quando sarà presentato.

altri-permessi-e-concessioni-nel-mar-Jonio

Il progetto, qualora approvato, potrebbe prevedere l’installazione di piattaforme nel golfo di Taranto, coprendo un’area complessiva lungo le coste occidentali della Puglia e della Basilicata. Le multinazionali che sembrerebbe abbiano ottenuto le concessioni per il trivellamento dei fondali sono l’ENI (per la parte pugliese) e la Consul Service (per la parte lucana), alla quale nello scorso autunno avrebbe lasciato il posto l’Appennine Energy srl. 

Ultimamente (ottobre 2015) il Ministero dell’Ambiente ha comunicato di non aver  dato alcun via libera all’ENI per fare perforazioni nel golfo di Taranto e che la notizia circolata su alcuni organi di stampa secondo cui il ministero avrebbe concesso un’esclusione alla Valutazione di impatto ambientale (Via) ad un progetto ENI nello Ionio consentendo così le trivellazioni non trova fondamento.  Il ministero ha dichiarato che non essendo il progetto mai stato presentato non si può esprimere una valutazione e quindi dare una relativa autorizzazione (fonte). La situazione permane fluida visto che e’ stata approvata la concessione Petrolcetic BR 274 EL al largo delle Tremiti, il giorno prima dell’arrivo della fascia protettiva. Uno statista italiano scomparso diceva che pensare male è peccato ma spesso ci si azzecca …

Rischio
Che succederà ora? Il pericolo non sembra essere finito ma solo demandato. La biologa Rossella Baldacconi, in un articolo su Tarantonatura.it, ha analizzato attentamente i rischi connessi a queste attività. Per opportuna conoscenza di tutti, ne riassumiamo le parti principali invitando ad una attenta lettura dell’originale.

Come è noto le attività di  la ricerca del petrolio nei mari italiani sono ancora in corso e prevedono la ricerca degli idrocarburi mediante sistemi air-gun per le prospezioni geofisiche come mezzi di generazione di onde attraverso un compressore che crea e fa esplodere una bolla d’aria sott’acqua. Queste onde vengono riflesse dal fondo e possono fornire informazioni sulla presenza o meno degli idrocarburi nel sottosuolo.

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L’elevato livello sonoro raggiunto dalle esplosioni può arrivare fino a 262 decibel e le onde sonore, nel loro percorso, investono gli organismi marini (Necton) che si trovano nelle vicinanze della sorgente con danni temporanei o permanenti anche gravi all’apparato uditivo. Nei casi più severi, le onde provocano emorragie interne e la morte dell’animale che successivamente spiaggia sulle coste.

La dottoressa Baldacconi riferisce che, oltre al danno biologico, ne deriva un danno economico per le economie locali. Un recente studio condotto nell’oceano Atlantico ha dimostrato che le catture del merluzzo bianco e dell’eglefino (Melanogrammus aeglefinus), conosciuto anche come Asinello o con il nome inglese Haddock, è un pesce d’acqua salata, appartenente alla famiglia dei Gadidae) sono diminuite dal 40% all’80% in tutta l’area sottoposta a prospezione. Altri studi hanno evidenziato come l’impatto maggiore dell’air-gun venga esplicato sulle uova, larve e avannotti delle specie ittiche che mostrano un alto tasso di mortalità.

Questa evidenza indica come gli effetti negativi degli air-gun possano essere disastrosi nelle aree scelte dagli animali marini per riprodursi e dove gli individui giovanili trascorrono le prime fasi della loro vita. Questo può essere il caso del Golfo di Taranto che racchiude moltissime aree di nursery, considerate habitat prioritari di salvaguardia per la Convenzione di Barcellona e Habitat di interesse comunitario per la Direttiva Habitat.Tra le più importanti nursery sono le praterie di Posidonia oceanica ed il coralligeno … .

Dopo una prima fase di prospezione segue la perforazione dei pozzi per l’estrazione degli idrocarburi. La perforazione prevede l’utilizzo di fanghi di perforazione costituiti da miscele acquose di polimeri che servono principalmente per lubrificare e raffreddare la trivella di perforazione che altrimenti riscaldandosi, per l’attrito potrebbe rompersi; convogliare in superficie i frammenti di terra e roccia (comunemente noti col termine tecnico inglese di cutting) prodotti dall’azione dello scalpello; esercitare una contro pressione idrostatica al fondo foro e lungo le sue pareti scoperte (ossia non tubate) per contenere la fuoriuscita dei fluidi di strato ed evitare il rischio di una eruzione del pozzo; sostenere le pareti del foro onde evitarne franamenti facendo da “pannello” “intonacando” le pareti del pozzo.

Non ultimo i detriti della perforazione vengono espulsi  con i fanghi sul fondo circostante andando a distruggere l’ambiente biologico. “Dopo la perforazione, sono stati riscontrate alte concentrazioni di metalli pesanti pericolosi come il cromo, l’arsenico e il mercurio.” cita la Baldacconi.

L’inquinamento permane anche durante il normale funzionamento della piattaforma petrolifera a causa del possibile riversamento in mare di idrocarburi di scarto, acque di lavaggio e rifiuti. Inoltre sembra che, per aumentare la produttività dei pozzi, “vengono iniettate soluzioni acide ad alta pressione che contribuiscono all’inquinamento del sottofondo marino“. Inoltre, “L’estrazione petrolifera implica anche  il rischio di possibili blowout ovvero fuoriuscite incontrollate di ingenti quantità di idrocarburi che possono disperdersi in mare provocando i noti disastri di cui troppo spesso abbiamo visto l’impatto ambientale tramite i mass media.  Baldacconi cita “Se accadesse uno sversamento simile nel Golfo di Taranto, tutta l’intera superficie marina pari a poco più di 4200 miglia quadrate verrebbe invasa dal petrolio!

Il petrolio, spinto dalle correnti arriva sulle coste, porta alla distruzione delle comunità marine litorali rocciose, sabbiose e lagunari con tempi di recupero lunghissimi, anche  dell’ordine di anni (vedasi il litorale della Louisiana) . Gli effetti a breve termine del petrolio sugli animali sono disastrosi e provocano soffocamento, avvelenamento e morte di tutti gli organismi che si vengono a trovare nella marea nera, dai minuscoli organismi planctonici ai pesci, rettili, mammiferi marini e uccelli acquatici.

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Anche molto tempo dopo lo sversamento, gli idrocarburi persistenti possono accumularsi negli animali marini per poi bio-magnificarsi attraverso la rete trofica raggiungendo l’uomo che si alimenta di pesci ed altri animali contaminati. In sintesi un avvelenamento lento e costante che pregiudicherà il futuro delle nuove generazioni.

La componente più persistente e pericolosa del petrolio è quella degli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) che vengono facilmente accumulati dagli animali e dall’uomo all’interno dei tessuti adiposi. All’interno dell’organismo, gli IPA vengono convertiti da enzimi in composti più reattivi che si legano al DNA e inducono errori nella trascrizione e nella replicazione della molecola.” Ciò può provocare l’insorgenza di forme tumorali.

Ma il rischio derivante dalle  attività di trivellazione non finisce qui … come segnalato da molti geologi,  quando queste attività sono svolte in zone a rischio sismico esse possono indurre sismi di magnitudo medio-bassa. Si pensi all’area siculo meridionale ove sussistono condizioni vulcanologiche profonde ad alto rischio che, se sollecitate, potrebbero indirettamente causare degli tsunami simili a quello che colpì Porto Empedocle.

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Anche il Golfo di Taranto è caratterizzato da numerose faglie attive, e si trova proprio sulla linea di contatto delle due principali placche del Mediterraneo, la placca africana e la placca euroasiatica. “Infine, nel promontorio compreso Crotone e Capo Rizzuto esiste una gigantesca mega-frana che si estende fino a grande profondità. Attualmente il corpo franoso si muove molto lentamente ma l’induzione di sismi potrebbe innescare violente frane sottomarine e maremoti.

Un rischio che ci fa chiedere se il gioco valga la candela. Naturalmente se avete qualche rettifica o precisazione saremo  lieti di pubblicarla.  

Se non diversamente indicato le schede sono state prodotte da Rossella Baldacconi

 

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Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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