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livello medio.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: minisommergibili, motore unico
Per tutti coloro che, ancora oggi, reclamano primogeniture ed inesistenti successi italiani è sufficiente citare il documento ufficiale che pose fine a decenni di studi italiani sul motore unico e sulla propulsione anaerobica.
la Vasca Navale di Roma
Da metà degli anni ‘30 la Vasca Navale di Roma, oltre ad essere il vero Centro Studi della Regia Marina era anche il centro dei confronti periodici tra Marina ed industria italiana, pubblica e privata, con la pubblicazione e discussione dei progetti più interessanti (nazionali e stranieri) e la verbalizzazione di interventi e decisioni attraverso la pubblicazione, divenuta semestrale, degli ANNALI DELLA VASCA NAVALE. Nel Volume VIII – 1939 – verbale del 12 Aprile 1939, si ritrova l’esteso intervento del Capitano di vascello Zannoni che, per conto ed a nome della Regia Marina italiana, trattava la situazione nazionale e mondiale della costruzione dei sommergibili e richiamava la necessità di innovazioni, in particolare sulla propulsione (compreso il motore unico) e veniva liquidato arrogantemente in questo modo
Pag. 35 … DISCUSSIONE …
- Generale Bernardis: … alla chiarissima esposizione del Comandante Zannoni mi sia permesso aggiungere, a complemento, alcune considerazioni di carattere prettamente tecnico, intese ad illustrare il primato della Marina italiana in molte particolarità costruttive de naviglio subacqueo.
…. Omissis …
Pag. 37 … Motore unico per sommergibili …
…. Il relatore, Comandante Zannoni, ha accennato ai vantaggi che si raggiungerebbero con l‘applicazione di un apparato motore unico; ciò̀ è vero per quanto riguarda la velocità, autonomia ed ingombro, ma il sommergibile verrebbe a perdere la sua caratteristica principale che è quella della silenziosità, Bisognerebbe che l’apparato motore unico permettesse di raggiungere velocità analoghe a quelle di un siluro, in modo che il nemico non avesse il tempo cli manovrare appena individuato l’attacco del sommergibile mediante i moderni ed efficaci apparecchi di ascoltazione. ( … di fatto un de profundis, a priori, basato su del tutto opinabili concezioni di impiego, che spiega lo scarso interesse e poi l’accantonamento degli studi e prototipi dello snorkel italiano e dell’apparato motore a ciclo chiuso … ndr …, comunque ancora ben lontani da condizioni di impiego operativo)
…. Omissis ….
dopo aver cosi accettato senza il minimo commento o suggerimento, non parliamo di preoccupazioni, le soluzioni propulsive in atto dei sommergibili italiani (comunque secondo Bernardis fattori secondari) Bernardis concludeva l’esame del rapporto con queste parole … Nell’illustrare il primato della nostra Marina in molte particolarità costruttive del naviglio subacqueo (sic!!), domando venia se ho dovuto spesso (in effetti solamente!) ricordare i miei studi risultanti dal lavoro di trentacinque anni dedicati interamente a questo genere di costruzioni.
È con intima soddisfazione che ringrazio il Comandante Zannoni di aver voluto ricordare nella sua bella relazione come, dal laborioso esame dei diversi tipi di sommergibili, la Marina italiana abbia dato la preferenza alla soluzione da me realizzata, col tipo Vettor Pisani (aggiungerei bloccando l’evoluzione dell’arma subacquea italiana ndr…).
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E’ quindi da escludersi che siano stati successivamente condotti esperimenti su vasta scala, né che siano stati costruiti prototipi, anche se certamente alcuni esperti, tra cui con ogni probabilità Ferretti – in quanto ormai “esterno” – proseguirono studi ed avanzarono proposte.
Il dopoguerra
Nel dopoguerra ci fu un attento esame da parte delle potenze vincitrici dei sistemi di propulsione subacquea, non certamente su quelli italiani (anche se i mezzi italiani furono esaminati, in particolare da statunitensi ed inglesi, solo per i mezzi avvicinatori) in merito alle possibili variabili del sistema Walter tedesco con l’utilizzo della reazione del perossido di idrogeno per la generazione di ossigeno comburente nei “normali” motori diesel oppure l’impiego della reazione esotermica per raggiungere temperature elevate in un fluido in modo da essere sfruttabile in apposite turbine.
Il problema generale era lo stivaggio a bordo di un prodotto instabile ed esplosivo come il perossido di idrogeno (non a caso sin dall’inizio veniva imbarcato dai Tedeschi in sacche flessibili esterne allo scafo resistente, metodo seguito dai successivi sviluppatori seppur con diverse modalità). Comunque non mancarono incidenti, anche molto gravi, soprattutto quando il sistema Walter fu adottato per la propulsione dei, siluri imbarcati ”dentro” la struttura resistente … con risultati disastrosi, non solo in Svezia (con una rapida inversione di marcia senza troppe nefaste conseguenze) ma soprattutto in Gran Bretagna, con la perdita di almeno un sommergibile, il HMS Sidon, mentre era in porto, con dodici vittime e molti feriti.
l’HMS Sidon affondò in porto a Portland, Dorset, il 16 giugno 1955 a causa dell’esplosione di un siluro tipo “Fancy”, che utilizzava il perossido di prova elevato (HTP) come ossidante.
Rischi e pesi dei contenitori di combustibile e comburente, soprattutto nel caso di scelta di bombole ad alta pressione, furono le condizionanti per lo sviluppo di nuovi mezzi, con esponenti di peso proibitivi per piccoli scafi. Mentre nel secondo dopoguerra in quasi tutto il mondo si prospettavano ipotesi in linea con la “scuola tedesca” (tiepidamente negli Stati Uniti che comunque guardavano alla propulsione nucleare) nella ripresa costruttiva italiana si continuò con soluzioni “tradizionali”, soprattutto ibride, e con la prevalente tendenza a costruire dei mezzi avvicinatori. Questo sino alla presentazione, inaspettata e non prevista (non era neppure nel catalogo), non solo di un progetto ma addirittura di un mezzo funzionante da parte della semisconosciuta MARITALIA alla prima Mostra Navale di Genova del 1975.
Tale mezzo segna probabilmente – e non solo in Italia – la punta più alta e finale del motore unico, nella versione di motore a combustione interna per la propulsione subacquea, con buona velocità ma soprattutto buona autonomia del minisommergibile. Agli inizi degli anni ‘70 gli attuali sistemi AIP basati sull’efficiente generazione e sull’accumulo dell’energia elettrica erano ancora fantascienza, e la propulsione era ancora focalizzata sull’impiego a ciclo chiuso di motori termici. Se l’uso a ciclo chiuso dei motori termici era stato sino ad allora condizionato, limitato, dalle dimensioni e soprattutto dal peso dei contenitori (bombole ad alta pressione) che dovevano essere imbarcate, l’intuizione del progettista fu quella che la “bombola” non fosse imbarcata “nel” sottomarino ma fosse essa stessa “il” sottomarino. Non solo un’innovazione, ma un rivoluzione nella costruzione degli scafi dei sottomarini, che diventavano funzionali, in pratica accessori della propulsione anaerobica. Per inciso, un’intuizione confermata da una serie di prototipi quindi ben più di semplici dimostratori tecnologici.
La costruzione toroidale
La fine della Guerra Fredda – che coincise con problemi produttivi e di conversione industriale con limitazioni commerciali legate all’esportazioni di materiali ed equipaggiamenti militari – fece perdere la spinta ad ulteriori sviluppi e relegò nel dimenticatoio la maggior parte di questi progetti che rappresentarono un‘importante fase di transizione.
Questo tipo di costruzione rappresentò anche una rivalsa degli innovatori sulla cantieristica italiana tradizionale, l’apoteosi della saldatura, l’opposto delle tecniche e delle opposizioni che in Italia avevano limitato la costruzione di validi sommergibili sino alla seconda guerra mondiale. Il metodo convenzionale per la costruzione di sottomarini prevedeva la costruzione di un’ossatura (semplice o doppia) su cui venivano fissate, a tenuta stagna tra loro, lamiere sagomate di acciaio, possibilmente ad alta resistenza e di grande spessore; la difficolta costruttiva era il collegamento tra queste parti che, in Italia, era stato illogicamente ed inspiegabilmente mantenuto prevalentemente chiodato, non si capisce se per resistenza, forse insipienza ma certamente speculazione da parte della cantieristica.
costruzione delle ordinate di un sommergibile al cantiere navale del Muggiano, La Spezia
Un processo di costruzione che, anche per piccole unità, richiedeva infrastrutture e macchinari industriali pesanti, con attrezzature e numeroso personale specializzato, quindi un processo altamente complesso ed oneroso. Nel dopoguerra, come superamento di questo sistema e relative difficoltà, venne messo a punto un sistema di costruzione, definito toroidale, un termine che riflette la definizione tecnica di una sorta di ciambella costituita da un tubo di qualsiasi forma in sezione (nel caso in esame circolare) quindi un cilindro a pianta circolare saldato alle estremità.
Negli anni ’70 l’ingegnere italiano Giunio Santi, ex ufficiale della marina militare italiana, progettò un modo per costruire sommergibili con lunghezze di tubo saldate insieme come una serie di ciambelle. Una costruzione facilitata dal fatto che le ossature e successive coperture e collegamenti con lamiere venivano sostituite totalmente da una serie di anelli contigui collegati tra loro rigidamente ed in continuità, ulteriormente facilitato dalla possibilità di utilizzare, come materiale da costruzione, dei tubi senza saldatura (longitudinale) per alta pressione di normale produzione industriale. La genialità del processo era la possibilità di modellare i tubi con una relativamente semplice macchina piega tubi (comunque di grandi dimensioni) saldando testa a testa le due estremità, creando in tal modo anelli di diametro variabile secondo necessità.
La “semplice” (al di là delle dimensioni) attrezzatura a tavola rotante che consentiva la saldatura delle sezioni toroidali in condizioni ottimali (MARITALIA, Mostra Navale di Genova)
Una variabilità che permetteva di adeguare il diametro di ciascuna sezione dello scafo per ottimizzare le forme idrodinamiche, ottenendo persino quelle a goccia (anche se le calotte resistenti dovevano essere formate con sistemi tradizionali). Malgrado questa semplificazione, era un processo comunque non scevro da problemi, come le difficoltà di trattamento e l’inevitabile corrosione all’interno dei tubi, la saldatura continua tra di loro dei vari anelli su tutta la generatrice sia in termini di resistenza che di tenuta stagna, con controlli continui non distruttivi a cui l’industria nazionale non era preparata. Ciononostante il risultato finale era una costruzione non solo più economica ma anche molto più resistente rispetto al metodo convenzionale.
L’interno della struttura, l’interno dei tubi che la costituivano, poteva essere considerato come una serie di grandi bombole che, senza sottrarre spazio ed influire su nuovi esponenti di peso, potevano essere messe al servizio del sistema di propulsione. Volumi interni alla stessa struttura che potevano essere utilizzati per lo stoccaggio ad alta pressione di combustibili e gas (si parlava di poter raggiungere pressioni dell’ordine di 350 Kg/cmq). Si unirono in tal modo due esperienze, sino ad allora considerate separatamente: la costruzione di scafi con struttura tubolare e la propulsione anaerobica. Una tipologia di mezzi all’epoca conosciuta come GST (Gaseous oxygen Stored in Toroidal hull).
Una fase più avanzata di costruzione di una sezione di scafo, sulla stessa macchina di cui alla foto precedente (MARITALIA, Mostra Navale di Genova, 1975)
Dopo quasi sessant’anni di tentativi era stata trovata la soluzione per il motore a ciclo chiuso che poteva disporre di grandi volumi di ossigeno immagazzinati a bordo e disponibili a qualsiasi profondità raggiungibile dal mezzo. Inoltre, via via che lo stesso veniva utilizzato, poteva essere rimpiazzato negli stessi spazi con i gas di scarico, eliminando così la necessità sia di aspirare aria dall’atmosfera sia di scaricare a mare i residui (uno dei problemi che a suo tempo afflissero Ferretti ed i suoi progetti). Una soluzione che aumentava ulteriormente la furtività del mezzo, già favorita in termini di traccia acustica dalla formula costruttiva GST che fungeva da coibente mentre l’involucro esterno in fibra di vetro o resine. di cui aveva bisogno per la miglior forma idrodinamica. fungeva da assorbitore sonar.
Va osservato che i macchinari di bordo, compreso il motore, erano comunque montati su supporti elastici, antivibranti ed antishock, con il risultato di un sottomarino molto silenzioso, ideale per operazioni di attacco che insidiose. Si potevano quindi ottenere velocità subacquee di tutto rispetto e soprattutto autonomie elevate, sia in termini di distanze sia di permanenza in immersione. Un mezzo che, a differenza di altri della stessa categoria, poteva operare anche a grandi profondità, in funzione di uno scafo mediamente cinque volte più resistente di quelli di pari dimensioni costruiti con metodi tradizionali.
In sintesi
Sessant’anni di tentativi con una soluzione di fatto finalmente trovata, anche se fuori tempo massimo ed in condizioni di mercato sfavorevoli, con un industria italiana necessariamente mirata all’esportazione, che non permise ulteriori sviluppi di questa classe di progetti. Rispolverarli, guardare questi risultati ed applicarli retrospettivamente è stato un recente vezzo di scrittori e pseudo storici della materia che non ha portato alcun beneficio alla storia ed alla tradizione della Marina Italiana e dei suoi uomini.
Gian Carlo Poddighe
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foto in anteprima: il prototipo del minisommergibile 3GST9 dove GST stava per Gaseous Oxygen Stored, un sistema ideato dall’ingegner Giunio Santi di Trieste per MARITALIA
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Ufficiale del Genio Navale della Marina Militare Italiana in congedo, nei suoi anni di servizio è stato destinato a bordo di unità di superficie, con diversi tipi di apparato motore, Diesel, Vapore, TAG. Transitato all’industria nazionale ha svolto incarichi di responsabilità per le costruzioni della prima legge navale diventando promotore delle Mostre Navali Italiane. Ha occupato posizioni dirigenziali sia nel settore impiantistico che delle grandi opere e dell’industria automobilistica, occupandosi della diversificazione produttiva e dei progetti di decarbonizzazione, con il passaggio alle motorizzazioni GNV.
E’ stato membro dei CdA di alcune importanti JV internazionali nei settori metallurgico, infrastrutturale ed automotive ed è stato chiamato a far parte di commissioni specialistiche da parte di organismi internazionali, tra cui rilevanti quelle in materia di disaster management. Giornalista iscritto all’OdG nazionale dal 1982, ha collaborato con periodici e quotidiani, ed è stato direttore responsabile di quotidiani ricoprendo incarichi di vertice in società editoriali. Membro di alcuni Think Tank geopolitici, collabora con quotidiani soprattutto per corrispondenze all’estero, pubblica on line su testate del settore marittimo e navale italiane ed internazionali. Non ultimo ha pubblicato una serie di pregevoli saggi sull’evoluzione tecnologica e militare sino alla 2^ Guerra Mondiale, in particolare della Regia Marina, pubblicati da Academia.edu.
Articolo interessantissimo. Complimenti!