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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XII SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Ugolino della Gherardesca, battaglia della Meloria, Pisa, Genova
Si…è proprio lui! “La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator … “
Questi celebri versi del Canto XXXIII dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri fanno parte del patrimonio culturale dell’umanità ed è ben nota la fine leggendaria e truculenta di Ugolino della Gherardesca, Conte di Donoratico. Tutti si fermano a questo e non sono molti coloro che hanno approfondito gli eventi della sua vita che si è dipanata fra le intricatissime vicende delle lotte fra guelfi e ghibellini nella Toscana medievale, e certamente ancora meno sono coloro che conoscono la storia del Conte quando si trovò ad indossare, più per le cariche ricoperte che per vocazione, i panni del marinaio, anzi, dell’ammiraglio (1).
Ritratto del Conte Ugolino. Il ricordo dei versi di Dante ha sempre spinto gli artisti a raffigurarlo con qualcosa di sinistro nell’aspetto (Incisione da un dipinto di Johann Caspar Lavater, XVIII secolo)
Ugolino della Gherardesca, nato verso il 1210, apparteneva ad una nobile e antica famiglia pisana e, come tutti i suoi concittadini, era di parte ghibellina sostenendo i diritti dell’Imperatore in Italia. Dopo il 1250 coprì più volte importanti incarichi in Sardegna sulla quale Pisa aveva influenza e interessi e di cui nel 1252 fu nominato Vicario imperiale: in queste occasioni, sia per i viaggi compiuti fra la Toscana e l’isola, sia in quanto responsabile del pattugliamento dei mari circostanti, sicuramente maturò una certa conoscenza della navigazione e delle problematiche ad essa connesse.
Inoltre, l’ostilità e gli interessi contrapposti di Pisa e di Genova per il controllo della Corsica e della Sardegna dettero luogo fra le due città a un crescendo di scontri sul mare, sbarchi e frequenti episodi di guerra di corsa; per la sua posizione politica Ugolino non poteva essere estraneo alla loro ideazione ed alla loro pianificazione anche se non risulta, in questi casi, aver mai preso il mare. La feroce ostilità fra le due città si era già delineata negli anni precedenti: nel maggio 1282 una grossa flotta genovese si era fronteggiata con quella pisana davanti la foce dell’Arno, ma i due nemici non vollero entrare in contatto e poco tempo prima, nella battaglia di Tavolara, i Genovesi riportarono una significativa vittoria catturando anche il comandante pisano Bonifacio Della Gherardesca, parente di Ugolino.
Il ben noto scontro definitivo fra le due potenze navali avvenne nell’agosto del 1284 (6 agosto) su un ampio specchio di mare al largo della costa pisana (Fra Salimbene da Parma lo situa fra “Capo Corso e la Gorgona”) anche se per tradizione prende il nome dallo scoglio litoraneo della Meloria. Genova si presentò con una flotta di almeno cento galee – Giovanni Villani afferma che fossero 130 – una parte delle quali venne sagacemente tenuta fuori vista pronta a prendere di sorpresa il fianco di quella pisana una volta che questa fosse uscita in mare.
Galea medievale. Nonostante quanto comunemente si crede, l’impiego dei forzati e degli schiavi turchi è di epoca successiva; fino aI XVI secolo i rematori erano uomini liberi e facevano parte dell’equipaggio. (Stampa dell’epoca)
Il profilo dei comandanti mostrava una forte disparità. A capo della flotta genovese si trovava Oberto Doria, homo valde famosus, imbarcato sulla San Matteo, con alle spalle varie campagne navali nel Tirreno e nel Mediterraneo Orientale, affiancato a Benedetto Zaccaria che aveva già comandato una flotta al servizio della Francia, cacciatore di pirati ed esperto cartografo. I Pisani non potevano opporre granché: comandante supremo era il Podestà Albertino Morosini, Signore generale de la guerra di mare. Era veneziano, ma l’essere nato nella città lagunare non significava necessariamente che fosse un abile marinaio e infatti tutta la sua carriera si era svolta con incarichi istituzionali nella terraferma.
In sottordine aveva il conte Ugolino che, come abbiamo visto, qualcosa di navigazione e di tattica navale doveva averla imparata, ma fra questo ed essere un abile ammiraglio ci corre molto. Inoltre, aveva già passato i settant’anni, un’età che all’epoca era considerata quasi veneranda e per questo gli fu affidata la squadra di riserva. Peraltro Raffaello Roncioni nelle sue Istorie pisane, pubblicate nel XIX secolo, scrive che … dell’armata pisana ne fu creato generale ammiraglio Ugolino Gherardeschi tutto gonfio di superbia per quell’onorato grado. Tuttavia, dopo questa affermazione e contraddicendosi implicitamente, sembra riconoscergli il ruolo assolutamente marginale che ricoprì durante la battaglia, perché non lo cita più. Durante lo scontro fu determinante per i Genovesi l’effetto sorpresa operato dalla divisione dello Zaccaria, in un primo tempo tenuta discosta dal resto della flotta, la cui presenza fu ignorata dai Pisani fino al momento in cui non intervenne nella mischia.
La battaglia, nei cui particolari non ci addentreremo, fu sanguinosissima con perdite umane enormi da entrambe le parti e si fece ricorso a tutti i sistemi e alle macchine da guerra tradizionali dei combattimenti navali: abbordaggi, speronamenti, balestre e catapulte (2). I morti e i prigionieri furono migliaia: qualche cronista arriva a stimare le perdite, comprese quelle degli scontri del periodo immediatamente precedente, a 16.000-20.000 uomini, mentre Fra Salimbene da Parma, più prudente, nella sua Cronica preferisce non sbilanciarsi e non indica nessuna stima evidenziando esplicitamente come in questo campo i dati disponibili fossero molti ma troppo contrastanti.
La torre sullo scoglio della Meloria. Non è un monumento a ricordo della battaglia, ma una costruzione più recente che segnala i bassifondi circostanti, eretta sul posto di un antico faro – Autore Foto Filippo Gini –
Primo bagno della stagione.jpg – Wikimedia Commons
Per il centinaio di galee pisane – è inutile tentare di dare numeri precisi per l’appena ricordata contraddittorietà delle fonti – non vi fu scampo: solo sette furono affondate, ma almeno 40 furono catturate e tre, malconce, riuscirono a rifugiarsi in Corsica. Si salvarono solo quelle comandate da Ugolino che, peraltro, si dimostrò una figura evanescente sul teatro operativo perché non intervenne, restando estraneo al campo di battaglia e privando i Pisani dell’aiuto nel momento più drammatico.
La ragione della sua inerzia non è nota. Da quanto suggeriscono alcune fonti, sembrerebbe che non sia stato capace di dare gli ordini necessari a coordinare la manovra per portare le sue navi in soccorso. Forse, quando ci si accorse delle difficoltà che stava incontrando la flotta pisana, aveva preso posizione troppo lontano per seguire visivamente l’evolversi della situazione e non è escluso, in considerazione dell’età, che la sua vista l’avesse ingannato. E’ più verosimile pensare che la pesante foschia di quella torrida giornata di agosto limitasse fortemente la visibilità del teatro dello scontro e dei segnali; quest’ultima eventualità, in particolare, potrebbe dare una giustificazione a chi sostiene che le manovre non furono ben eseguite.
Inoltre, dando credito ad altre leggende (3) durante il viaggio di ritorno la flotta genovese fu sorpresa da una tempesta e non è detto che Ugolino non ne avesse intuito i sintomi premonitori e, pur compiendo un errore di valutazione sui tempi e sul luogo dove sarebbe scoppiata, avesse preferito un comportamento prudente, conscio dei rischi che correvano le fragili galee lontano dalla costa e con il mare agitato. La sua inerzia (4) permise di salvare una parte delle forze pisane e, soprattutto, restituire tanti uomini alla città, limitando, anche se involontariamente, la prostrazione dovuta alle fortissime perdite. Ma fu vista come un rifiuto di combattere e cominciò ad alimentare il sospetto che Ugolino fosse un traditore.
Ugolino, accusato di tradimento perché ritenuto responsabile del disastro della Meloria, venne rinchiuso a Pisa nella Torre della Muda insieme ai figli Gaddo e Uguccione, e ai nipoti Anselmuccio e Nino. Dopo alcuni mesi di prigionia vennero lasciati morire di fame (la Muda fu in seguito ribattezzata «Torre della Fame»). Nella Divina Commedia Ugolino racconta a Dante la loro agonia che durò circa sei giorni, durante i quali vide morire i figli, uno ad uno senza poter far nulla; per due giorni aveva brancolato sui loro cadaveri chiamandoli per nome, poi il digiuno aveva prevalso sul dolore – autore Jan van der Straet – Inferno
Pur passato da tempo alla parte guelfa, il Conte Ugolino tenne alcuni comportamenti successivi tali da fa prendere sempre più corpo alle voci di un ripensamento e anche Dante è di questo parere, immaginandolo all’Inferno fra i traditori della patria.
Guglielmo Evangelista
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NOTE
- La carica e le funzioni di ammiraglio nell’Italia medievale e moderna venivano in realtà denominate quasi costantemente in modo diverso come, ad esempio, Capitano generale del naviglio (Milano), Generale delle galere (Stato Pontificio) Capitano da mar (Venezia), Capitano Generale delle Galere (Piemonte), Peraltro il vocabolo era già ben noto a Dante che nel XIII canto del Purgatorio scrive, ricordando l’intenzione di Siena di avere uno sbocco sul mare e una grande flotta: … tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch’a trovar la Diana;
ma più vi perderanno gli ammiragli. - Ovviamente non erano presenti le armi da fuoco anche se si era alla vigilia della loro introduzione. Infatti le prime artiglierie navali furono impiegate dagli Inglesi nel 1338 in occasione della battaglia di Arnemuiden al largo dei Paesi Bassi e piace pensare che forse qualche giovanissimo marinaio presente alla Meloria le avrebbe conosciute decenni dopo.
- Una di queste afferma che a causa dell’acqua penetrata nelle stive i marinai furono costretti a mangiare una poltiglia di ceci intrisi di acqua di mare e di olio proveniente dalle giare rotte dalle onde, tanto disgustosa che molti preferirono restare digiuni. Tuttavia il giorno successivo scoprirono che il sole estivo aveva in qualche modo cotto gli avanzi lasciati in coperta rendendo il cibo molto più appetibile e questa sarebbe stata l’origine della famosa farinata genovese.
- Curiosamente questa vicenda ha qualche analogia con i sospetti di tradimento caduti sul Conte di Carmagnola ch, centocinquant’anni dopo, non intervenne a rinforzo dei veneziani che stavano combattendo una battaglia navale contro i milanesi. Tuttavia il quadro è un pò diverso perché il Carmagnola doveva giungere con truppe appiedate e lo scontro avvenne sul Po all’altezza di Cremona.
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nasce a Broni (PV) nel 1951. Laureato in giurisprudenza è stato ufficiale delle Capitanerie di Porto e successivamente funzionario di un Ente Pubblico. Ha al suo attivo nove libri fra cui “Storia delle Capitanerie di porto” , “Duemila anni di navigazione padana” e “Le ancore e la tiara – La Marina Pontificia fra Restaurazione e Risorgimento” ed oltre 400 articoli che riguardano storia, economia e trasporti. Collabora con numerosi periodici specializzati fra cui la Rivista Marittima”.
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