ARGOMENTO: NUOTO
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: stili di nuoto, stile rana
“La Virtù, simile all’acqua, prendendo senza lottare la forma di ogni cosa, ad ogni cosa è adeguata.” (Tao-te-king, Cina, sec V a.C.) |
“Entrando nella foresta, non muove un filo d’erba; entrando nell’acqua, non produce un solo cerchio di superficie” (Zenrin-kushū, Giappone, XV sec.) |
Queste due famose definizioni orientali utilizzano l’acqua come l’esempio più elevato per descrivere il flusso della natura e il comportamento dell’Uomo virtuoso, quello che si uniforma alle sue leggi, quello che segue il “Te”, appunto la virtù, del Tao-te-king.
Acqua nell’acqua
E proprio in acqua, l’Uomo virtuoso si traspone nel nuotatore ideale: colui che conosce il suo corpo tanto quanto il fluido che lo circonda, e che grazie alla compiuta consapevolezza di sé e dell’acqua interagisce con semplice naturalezza con l’ambiente nel quale è immerso, con atteggiamento mentale, tempi, attività, passività sempre adeguate alle situazioni.
E per poter far ciò, l’Uomo che segue la via non può che nuotare a rana. Ogni altro stile, forse più veloce ma molto più fracassone, romperebbe la superfice dell’acqua e l’incanto naturale del sistema: non sarebbe altrettanto virtuoso.
sopra e sotto: stile rana o breaststroke – autore fxqf Breaststroke.gif – Wikimedia Commons
Lo stile della rana
Non sappiamo di sicuro quando, e perché, l’Uomo sia diventato, o forse sia tornato ad essere, un nuotatore: siamo però quasi certi che nei suoi primi, timidi, tentativi… ha nuotato a rana. Perché la rana è l’unico stile che può essere nuotato in modo quasi identico in superfice come in profondità; perché si può interpretare molto personalmente, variando a piacere, con infiniti gradi di libertà la postura da terrestre/verticale ad acquatica/orizzontale e oltre, verso il fondo e poi per tornare a galla; perché è lo stile meno rumoroso, meno plateale e per tale motivo poteva permettere fughe, o avvicinamenti a prede, o nemici.
Perché la gambata a rana, magari sul dorso, permette di trasportare oggetti, armi od utensili di caccia o pesca fuori dall’acqua. Perché è alla portata di tutte le età, come dimostrato dalle miriadi di cuffie fiorite e variopinte che emergono allegramente dalle superfici di qualsiasi bacino balneabile nei mesi estivi. Perché tuttora è il primo stile che si insegna ai bambini in molti paesi nordeuropei, anche come stile propedeutico alle tecniche di salvamento, per le quali è lo stile principe. E in fondo, perché è l’unico stile che permette di comunicare a voce, nuotando fianco a fianco…per scambiarsi informazioni verbali di caccia, militari, o soltanto per spettegolare sulla nuova vicina di ombrellone.
A solido supporto della nostra tesi, esistono le pitture della “Caverna dei Nuotatori”, scoperte nell’ottobre del 1933 dall’esploratore ungherese László Almásy. Nella grotta, situata nell’altopiano di Gilf Kebir, nella sezione del deserto del Sahara Egiziano al confine con la Libia, sono contenute pittografie neolitiche, databili tra diecimila e cinquemila anni fa, di persone che nuotano a rana.
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Ranisti nel deserto?
Sembrerebbe davvero un pò strano, se non fosse che nel 2007 è stato scoperto un antico ed enorme lago sepolto sotto la sabbia del Grande Sahara nella regione del Darfur settentrionale, in Sudan… altre prove scientifiche e ritrovamenti di resti di animali e piante ci raccontano che, proprio nel periodo al quale risalgono le pitture nella grotta, il clima in quella regione doveva essere decisamente diverso da quello, desertificato attuale.
Da allora ci rimangono ben poche altre testimonianze dipinte, o scritte sul nostro stile e dobbiamo attendere fino all’anno 1538 quando Nicolas Wynmann, un professore di lingue tedesco, scrisse il primo libro sul nuoto: “Colymbetes, sive de arte natandi, dialogus et festivus et iucundus lectu“, nel quale si descrive, anche se approssimativamente, la nuotata a rana.
Al libro di Wynmann seguirono nei secoli successivi altri testi più o meno analoghi: “L’arte del nuoto” del francese Thèvenot (1696), “Il piccolo libro di autoinsegnamento dell’arte del nuoto” del tedesco Guttes Muths (1797) e “L’uomo galleggiante” dell’italiano Oronzio De Bernardi (1794).
Ma dobbiamo attendere il XIX secolo, l’Impero Britannico e la cultura romantica per la prima, vera, codifica della tecnica e, soprattutto, della didattica del nuoto a Rana. D’altra parte, prima di allora, la didattica del nuoto era da considerarsi “darwiniana”: coloro che non sapevano nuotare (i “non-nantes”) venivano iniziati al fiume scaraventandoli in acqua da una barca, a volte sotto la supervisione di “istruttori” che si limitavano ad indicare di agitare vorticosamente senza criterio le braccia e le gambe. Gli inevitabili annegamenti dovuti a questo sistema portarono, nel 1828, degli studenti di Eaton ad organizzare i primi veri e propri corsi di nuoto, molto prima che nel resto dell’Inghilterra. La pubblicazione di un libro “l’arte del nuoto nello stile di Eaton” ne certificò, infine, il sistema didattico.
Lo stile di Eaton era caratterizzato dalla gambata a rana una bracciata lentissima: “le mani sono inutili per sospingere il corpo. Tale compito spetta esclusivamente ai piedi”. L’approccio mentale era, con ogni evidenza, ancora molto “terrestre”. L’autore, il sergente Leahy, riteneva che questo stile fosse il migliore del mondo e sosteneva che “Solo a Eaton”, non a caso dove insegnava nuoto proprio lui, “il nuoto è diventato una scienza”.
C’era anche il tuffo alla Eaton: “il nuotatore deve entrare nell’acqua il più dolcemente possibile, come una lontra che abbandoni la tana, e tornare in superficie con la testa non appena i piedi sono scomparsi”. E qui, invece, ci avviciniamo e davvero molto di più, all’Uomo virtuoso orientale.
Nel precedente articolo dedicato allo stile libero, ho già raccontato la traversata dell’Ellesponto ad opera di Lord Byron; nella prima metà dell’800 gli Inglesi erano unanimemente considerati i migliori nuotatori del mondo e continuarono ad essere i movimenti della rana ad essere presi come esempio di nuotata perfetta. Si osservavano i piccoli anfibi dentro tinozze a fianco delle piscine come modello da imitare, prestando particolare attenzione al movimento “a elica” delle zampe. Osservando i movimenti delle rane, un allenatore del tempo consigliava di ammirare “per prima cosa al modo in cui scalcia, e poi come appoggia il petto sull’acqua”. Sulla bracciata poco o niente; diciamo pure che per i tecnici di allora la bracciata doveva accompagnare, nel modo più dignitoso possibile, la spinta delle gambe. Come quando si insegna un corretto ed educato portamento sulla terraferma.
Queste immagini sono tratte da un articolo dell’aprile 1844. Ci sono alcune cose da notare. L’indiano a sinistra è “Strong Wind”, uno dei nove uomini della tribù degli ojibway tra cui Flying Gull e Tobacco che visitarono Londra nel 1844
Il culto per lo stile a rana, considerato il più veloce e anche quello esteticamente più valido, durò fino alla fine del secolo, nonostante la scoperta, o meglio la riscoperta, del crawl a seguito della famosa gara del 1844 a Londra tra un inglese e i due nativi, Flying Gull e Tobacco, che ho raccontato nell’articolo precedente. In quell’occasione il Times commentò che “i pellirosse sferzavano l’acqua con violenza, le braccia simili alle pale di un mulino a vento” mentre l’inglese nuotava a rana “con la testa elegante e bilanciata in modo superbo. Come si possono adottare altri stili? Sono sicuro che anche i Greci lo usassero”.
Queste granitiche certezze degli anglosassoni cominciarono ad incrinarsi davvero solo a partire dal 1896, con le prime Olimpiadi dell’era moderna. Le gare di nuoto con le partecipazioni di atleti provenienti da tutto il mondo portarono ad un sano ed inevitabile confronto agonistico e culturale tra atleti, stili e scuole di pensiero; da allora lo stile a rana perse progressivamente la sua aura mitica venendo sorpassato, quantomeno in velocità, da tutti gli altri, e anche dalle evoluzioni nate anche da quello stesso stile. Nella finale dei 200 metri rana alle Olimpiadi di Berlino del 1936, infatti apparve per la prima volta lo stile “a farfalla” (gambe rana e recupero aereo della bracciata) nuotato da un americano, che rapidamente si trasformò in “delfino” diventando uno degli stili più veloci del nuoto moderno, secondo solo al crawl.
Ma se guardiamo da vicino la nuotata a rana dell’attuale pluricampione olimpico e mondiale Adam Peaty (britannico, e non può essere un caso), ecco che ci appaiono improvvisamente illuminate le antiche definizioni del Tao-te-king e dello Zenrin-kushū; chiudiamo allora con queste immagini in movimento – a velocità normale e rallentata – senza inutili commenti; del resto le dimostrazioni dei Maestri si osservano in religioso silenzio.
Giancarlo De Leo
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architetto ed atleta, istruttore, coordinatore tecnico, allenatore e maestro di salvamento della Federazione Italiana Nuoto, per la quale dal 1992 al 2021 ha svolto funzioni di ricerca e docenza nei corsi di formazione degli istruttori, dedicando particolare attenzione al tema della consapevolezza: in acqua e dell’acqua.
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